8 marzo 2009. Uno sguardo di genere sulla crisi economica

Nei giorni scorsi, per l'annuale incontro interassociativo di Emily Umbria, le associazioni di donne presenti nel territorio orvietano hanno creato l'occasione di un incontro e di uno scambio di opinioni sulla situazione politica attuale e sul ruolo che le associazioni possono svolgere in questa fase delicata.
Maria Rita Paggio, segretaria della Camera del lavoro di Orvieto, ha portato l'attenzione sui temi del lavoro e ha fatto una interessante relazione sull'attuale condizione occupazionale delle donne in Italia e in Umbria da cui emerge che, nonostante le donne si siano ritagliate molti spazi in questi anni, nel mondo del lavoro vivono ancora una situazione di svantaggio.
Il posto di lavoro di una donna continua ad essere spesso di basso rango e il divario retributivo tra uomini e donne si attesta intorno al 40%, sia perché le donne pagano il prezzo del loro lavoro di cura, sia per una sorta di "segregazione di genere", per cui si creano delle specializzazioni di genere, legate al pregiudizio e meno remunerative, anche nelle professioni. La maternità e il lavoro di cura continuano a costituire uno dei maggiori ostacoli, che rendono difficile l'accesso ai corsi di formazione aziendale e lo scatto di carriera.
Tutte le indagini in Italia confermano un forte rallentamento della crescita dell'occupazione femminile e un clima "sfavorevole alla maternità e alla paternità" a causa di una divisione dei ruoli ancora troppo rigida e la carenza dei servizi sociali, per cui le donne lavorano in media 18 ore a settimana in più a casa degli uomini. Rita Paggio sottolinea la necessità di "una vera e propria rivoluzione culturale, che passi anche attraverso il trasferimento di buone prassi e attraverso incentivi alle imprese che vogliono darsi un marchio di qualità sociale riferito anche al rispetto delle pari opportunità sul lavoro". Le politiche di conciliazione devono diventare una priorità per gli enti locali e per le imprese, che spesso ignorano gli strumenti per realizzarle e i vantaggi che ne possono derivare.
In Umbria e nel Centro Italia negli ultimi anni l'occupazione è complessivamente cresciuta in termini numerici, ma spesso a scapito della qualità (contratti a tempo determinato, collaborazioni). Anche ad Orvieto c'è stata nell'ultimo anno una ripresa dell'occupazione femminile, ma non si riesce a recuperare il gap occupazionale che continua a persistere. Per cui per rispondere almeno in parte a questa situazione di disagio delle lavoratrici del territorio si individuano alcune priorità: l'ampliamento della rete dei servizi (asili nido, diurni per anziani); la contrattazione sociale in sede di bilanci di previsione; i bilanci di genere per le istituzioni; lo studio da parte del Comune di Orvieto della dinamica dell'occupazione femminile nei vari settori e la distribuzione della ricchezza prodotta e non solo il livello di reddito medio.
Di fronte all'incalzare della crisi ormai da mesi anche diversi gruppi di donne provano a ragionare sui temi politici ed economici cercando un proprio punto di vista. Anche l'ultimo numero della rivista Leggendaria, che già nei mesi scorsi aveva cercato di affrontare il tema della crisi col numero "Donne politica violenza", apre una riflessione sull'economia, a cura di Monica Luongo, col sottotitolo ironico "dall'economia domestica all'economia di mercato", premettendo che "Noi non siamo esperte di alta finanza né di big business ma, in quanto donne -sebbene letterate- ci arrabattiamo con l' economia domestica". La proposta è di interrogarsi sulla crisi economica a partire da sé, chiedendosi chi ne pagherà i prezzi più alti, cosa dovrebbe cambiare nel quadro delle analisi, per immaginare un futuro, se e quanto questa congiuntura negativa possa essere anche un'occasione di cambiamento".
Monica Luongo avverte come manchino anche analisi di dati disaggregati per genere e studi bipartisan che aiutino a fotografare meglio la situazione delle donne nel precariato, nella flessibilità persistente (laddove flessibilità oggi significa non moltiplicare le proprie opportunità di lavoro, ma la morte di ogni speranza); nel lavoro nero e di cura, perché non si può ignorare che nei momenti di grave tracollo economico sono le donne a pagare i prezzi più alti. Invece gli economisti per molti anni non si sono preoccupati di problemi di genere.
Come dice Salvatore Monni, il genere non ha in effetti mai rappresentato una discriminante attraverso cui leggere i problemi economici e in particolare le dinamiche della distribuzione e della disuguaglianza. L'idea piuttosto semplice che ha sempre guidato gli economisti è stata che il reddito si ridistribuisce per classi, per tipologia di lavoro svolto, ma non in base al genere. Anche quando l'oggetto di studio diveniva la famiglia, unico luogo deputato, secondo molti, per le dinamiche di genere, l'idea degli economisti restava semplice: la famiglia ridistribuisce in modo equo tra i suoi componenti oneri e onori, mentre sappiamo bene che ciò avviene, specialmente nella famiglia italiana, in base al genere. Pensiamo soprattutto ai compiti di cura e di assistenza, anche se qualcosa in questo senso ultimamente va cambiando.
D'obbligo a questo punto la domanda di Anna Maria Crispino, nell'intervista a Laura Meschini ("La donna nuova e il progresso sociale", Aracne 2007), se la crisi in corso possa anche essere un'occasione per ridiscutere la presunta "neutralità" della scienza economica. Interessante nella stessa intervista la sottolineatura di come lo stretto legame tra etica, economia e politica si sia col tempo andato affievolendo a favore di "etiche pratiche", tra le quali l'etica liberista (madre del capitalismo), mentre il pensiero delle donne, e in particolare il pensiero femminista, si differenzia dal pensiero liberista e corrisponde ai criteri etici della ricerca di "una vita buona" per sé e per gli altri membri della comunità, nessuno escluso. E' facile trovare questi temi, sostiene l'intervistata, nelle istanze espresse da molte donne, da Mary Wollstonecraft e numerose altre autrici del passato fino a giungere a proposte concrete che trovano oggi espressione nel Gender Budgeting, nell'"eco-femminismo" di Pechino e in Martha Nussbaum.
Se, come ci fa notare scherzosamente Nadia Tarantini, lo stesso mondo editoriale ha rilanciato sul mercato una serie di libri che rinverdiscono una serie di rimedi della nonna e ricette di economia domestica per sopravvivere felicemente nella crisi, ciò che occorre veramente è un nuovo genere di economia domestica, con la testa non voltata all'indietro ma in avanti. Dal piccolo: l'orto biologico, al grande: l'ecodieta per rigenerare la Terra, al commercio equo e solidale per modificare il commercio mondiale.
Con un discorso più generale Federica Giardini ci dice che la crisi dello Stato come l'abbiamo conosciuto negli ultimi secoli del secondo millennio è un fatto, ma una donna potrebbe non partecipare allo stesso modo e con gli stessi sentimenti "civili" a questa crisi che appartiene allo Stato patriarcale. Quindi è bene approfittare della crisi dell'ordine patriarcale, del sistema di inclusioni ed esclusioni che ha istituito, per rilanciare, per guadagnare a idee e pratiche non previste, il campo della vita comune. "La posta in gioco dello scontro è cosmopolitica, sta nel ridisegnare, come ci aveva avvertito Rosi Braidotti, spazi, soggetti, relazioni della politica, al di là dei confini dell'umano, dell'Uomo - bianco, borghese, lavoratore, proprietario e dunque cittadino- di moderna memoria".
Anche questo numero della rivista è ricco, come sempre, di preziose indicazioni bibliografiche.
(Leggendaria N. 73, Dall'economia domestica all'economia di mercato, gennaio 2009, euro 8)
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