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Cristian Esposito, il mediano su cui puoi contare

mercoledì 19 febbraio 2025
di Roberto Pace

Non capita tutti i giorni incontrare un ragazzo nel quale l’umiltà è specchio di una sensibilità che gli fanno onore. Cristian Esposito, professione calciatore / centrocampista, è all’Orvietana dall’inizio dell’attuale stagione. Fa parte dei giovani nati nel terzo millennio  sotto il segno del Cancro e sta cavalcando le ventidue primavere. Basta parlare con lui  un paio di minuti  e ti rendi conto  essere di fronte a  una persona speciale.  Di quelle che, nel corso degli anni, si sono costruite una forza interiore cui affidarsi nei momenti difficili ogni qualvolta  la vita ti porti a affrontarli.

Chiedo a Cristian se ricorda il momento in cui capì che il calcio avrebbe recitato nella sua vita un ruolo importante. 
Risponde senza esitazione: “ Da quando iniziai a giocare con i miei amichetti nella via sotto casa. Avrò avuto poco più di quattro anni”.  La strada, le sfide prolungate correndo tra macchine e muretti nelle quali nessuno ci stava a perdere, rappresentano il primo passaggio della sua formazione calcistica: “ Lì capisci subito alcuni concetti  di vita. Per non perdere la partita devi combattere. Per farlo necessita la cattiveria agonistica. Potrà sembrare strano ma è proprio così”.   

Accadeva a Melito di Napoli, comune della città Metropolitana partenopea. E’  secondo di quattro fratelli, Antonio-Tommaso-Francesca figli  di Gaetano e Elvira. Le simpatie calcistiche di casa Esposito non sono univoche: Antonio e Tommaso tifano Inter. A Gaetano, quand’era più giovane, sarebbe piaciuto fare il giocatore. Ma, la  famiglia cresceva e le priorità erano altre. Cristian, con la sua passione, poteva dare  continuità al sogno. Lo segue, iscrivendolo alla prima Scuola Calcio. Arriva la parentesi con la maglia del “suo” Napoli. Tre anni nelle giovanili con  tecnici bravi (Armando Nocerino – Gennaro Sorano) lo aiutano a crescere calcisticamente.

Alla fine del terzo anno, valutati pro e contro, decide con papà di fare nuove esperienze, stavolta fuori regione. Prima tappa Fondi (LT) con l’Unicusano, poi Terni per un anno alla Ternana prima dell’approdo, più stabile a Rieti, dove, per quattro anni trova le possibilità per frequentare i campionati di C e D pertinenti, nel periodo, al capoluogo sabino.  Nella sua storia c’è una  decisione di fondo che lo caratterizza: non aver mai avuto un procuratore. Una scelta “coraggiosa” che valorizza, ancora di più, le sane abitudini della famiglia.  Cristian, almeno per ora, preferisce  affidarsi a persone di comprovata fiducia  che dimostrino, con i fatti, di tenere a lui quale persona e calciatore. Fra queste c’è  Severino Capretti, ds dell’Orvietana, conosciuto ai tempi del Rieti. Ricorda, come Severino gli sia stato vicino dopo il grave infortunio (legamenti e crociato).  

Guarito, ritrova un Rieti alle prese con grossi problemi. Prepara la valigia e va a Desenzano sul Garda, dove non gioca molto, perché rallentato dai postumi dell’infortunio.  Combatte e si riprende  ma arriva la rottura di un menisco a vanificare quanto fatto. Per la prima volta la sua fede nel pallone tentenna. Ma, non crolla, grazie anche a Fabiana, con la quale è fidanzato da tre anni che lo capisce e sa come prenderlo: “ Non finirò mai di ringraziarla per il sostegno nei momenti veramente difficili. Le sue parole e i suoi modi sono stati e saranno per sempre nel mio cuore. Siamo lontani ma  questo non cambia nulla. Lei è a Napoli, e mi aspetta a casa”.  

Dopo Desenzano ecco la parentesi pugliese che lo porta a Manfredonia, anticamera per l’arrivo a Orvieto. Qui, inutile dirlo, si trova benissimo. Della città, come della Società, apprezza ogni cosa. Il suo rispetto per lo staff, per i compagni e tutte le persone che ruotano intorno alla squadra è immenso. Fa, di nuovo, i conti con la sfiga, materializzatasi con  uno stop che avrebbe potuto rovinargli la stagione: “ Una recrudescenza del passato. Adesso sto bene e sono soddisfatto degli spazi che il mister mi ha concesso finora. C’è ancora tempo e continuerò a lavorare per meritarmene altri. Che siano dieci o novanta minuti non fa differenza”. 

Gli è uscita la parola “merito”, comunque  azzeccata a quantificare  quanto fatto per tornare nel pieno della condizione.  Osservare con quale impegno si prepara  a prendere il posto di un compagno, magari  a qualche giro d’orologio dal fischio finale spiega, ancora meglio, di cosa stiamo parlando: "In quei momenti mi dico che non succede, ma, se il mister dovesse chiamarmi per un solo minuto devo farmi trovare pronto ad andare a mille". Fra le ‘perle’ dei suoi minutaggi spicca il penalty  procuratosi a Montevarchi che dette il successo all’Orvietana. Pure, in questo caso si dimostra altruista: “Sono stato contento per i compagni  che sentivo spingermi a insistere verso quel pallone”. Forse, ciò  di cui difetta è una buona dose di  autostima.