Nelle meditazioni che Papa Francesco ha scritto ieri per il rito della Via Crucis c’è una stazione, la prima, che ha grande rilievo e importanza, per capirlo e capirci, al di là della nostra convinzione di essere credenti o secolarizzati. Capire un uomo che ormai è chiaramente il leader morale globale aiuta tutti a capire il nostro tempo, i suoi problemi, e quindi noi stessi, pur nella nostra specificità di credenti o secolarizzati. Ritengo pertanto necessario cominciare presentando la prima stazione e ricordando che Francesco, all’inizio del suo pontificato, a Caserta, nel 2014, disse che lui un cristiano che non cammina non lo riesce a capire.
Che vuol dire? Come parla questo Francesco? Queste parole al tempo non richiamarono soverchia attenzione, eppure Francesco ci ha abituati al fatto che lui definisce i fedeli “Popolo di Dio in cammino”, non più “Popolo di Dio”. Ma questo cammino non è stato adeguatamente spiegato, abbiamo un po’ sorvolato pensando a una stramberia dell’argentino che augura a tutti “buon pranzo”, o buona sera: insomma un’altra sua stranezza, o banalità, non un passaggio cruciale per tutti. Ecco dunque cosa ha scritto il papa a commento della prima stazione della Via Crucis che ha avuto luogo ieri sera:
I stazione - Gesù è condannato a morte
Dal Vangelo secondo Luca (23,13-16) Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà».
Non andò così. Non ti rimise in libertà. Eppure, sarebbe potuta andare diversamente. È il drammatico gioco delle nostre libertà. Quello per cui, Signore, tanto ci hai stimati. Hai dato fiducia a Erode, a Pilato, ad amici e nemici. Sei irrevocabile nella fiducia con cui ti metti nelle nostre mani. Possiamo trarne meraviglie: liberando chi è ingiustamente accusato, approfondendo la complessità delle situazioni, contrastando i giudizi che uccidono.
Persino Erode avrebbe potuto seguire la santa inquietudine che lo attraeva a te: non lo ha fatto, nemmeno quando si trovò finalmente in tua presenza. Pilato avrebbe potuto liberarti: già ti aveva assolto. Non lo ha fatto. La via della croce, Gesù, è una possibilità che già troppe volte abbiamo lasciato cadere. Lo confessiamo: prigionieri dei ruoli da cui non siamo voluti uscire, preoccupati dei fastidi di un cambio di direzione. Tu sei ancora, silenziosamente, davanti a noi: in ogni sorella e in ogni fratello esposti a giudizi e pregiudizi. Ritornano argomenti religiosi, cavilli giuridici, l’apparente buon senso che non si coinvolge nel destino altrui: mille ragioni ci tirano dalla parte di Erode, dei sacerdoti, di Pilato e della folla. Eppure, può andare diversamente. Tu, Gesù, non te ne lavi le mani. Ami ancora, in silenzio. La tua scelta l’hai fatta, e ora tocca a noi. Preghiamo dicendo: Apri il mio cuore, Gesù.
Dunque il papa ci spiega che il popolo di Dio cammina nella Storia seguendo questa Santa Inquietudine, la sua bussola. I tempi cambiano, nella storia non si può camminare sempre con lo stesso passo, con lo stesso ritmo, con la stessa modalità, con la medesima postura, ma tendendo davanti a sé questa Santa Inquietudine sì. Gli esempi portati nella preghiera lo spiegano bene: la Santa Inquietudine ci apre il cuore davanti a una persona giudicata, quando le certezze diventano pregiudizi (nei confronti delle streghe o del Quarto Stato o dei migranti forzati illegali) quando diventiamo rigidi, quando nonostante tutti i guai che ci può provocare seguirlo ci sentiamo attratti dal “bene”. Le condizioni variano, può venire in mente la poesia di Bertold Brecht ad esempio, quella in cui scrive “prima vennero a prendere gli zingari…” , e trovammo l’attenuante nel fatto che “rubacchiavano”…
E gli altri esempi che fa nel notissimo testo ci spiegano pian piano quell’ ”aver paura”, quel temere di rimetterci. Il discorso ovviamente è più complesso di così, ma il “cammino” di cui parla Francesco a chi come lui crede è il cammino che nella condizione dell’oggi nel quale lui si trova gli pone davanti l’esempio di un uomo di nome Gesù. Non è il codice, la prescrizione, la procedura, l’articolo di legge, ma un esempio concreto che invita a seguire, come bussola del suo cammino. E verso che cosa? Verso il bene comune, che poi è l’obiettivo che con altri punti cardinali fissati nel proprio immaginario insegue o persegue anche il secolarizzato. Così dunque il dialogo diviene possibile: non si tratta di imporre la bussola, ma di riconoscere che siamo tutti in cammino verso la stessa meta e allora credenti e secolarizzati hanno una mappa sulla quale convengono e dunque possono dialogare, rispettandosi e riconoscendosi come compagni di viaggio.