Amico mio, dimmi, tu ci credi alla follia? No, non quella che sgretola il senso e annulla i passi, ma quella che accende gli occhi di stupore, che scavalca il consueto con un lampo di libertà. L’estro indomito, quello che non si lascia imprigionare nel recinto della prevedibilità che avvizzisce. Sai, l’altro giorno ho visto un bambino parlare da solo. O forse no: dialogava con qualcosa che danzava ai confini della realtà.
Le sue mani disegnavano forme nell’aria, i suoi occhi brillavano di un’intesa segreta, il suo sorriso custodiva un mondo che gli altri non vedevano. Era un’immagine che non potevo distogliere dagli occhi. Poi si è voltato verso di me e, con l’aria di chi svela l’ovvio, ha sussurrato: ‘Le cose più belle non sempre abitano la strada più battuta”. E ho pensato che aveva ragione.
Noi costruiamo vite ordinate, parole misurate, scelte ponderate. Ma la vita non è un treno che segue binari perfetti: è più simile a una bicicletta senza freni, a un disegno che si colora fuori dai bordi. E allora perché ostinarsi a rimanere sempre dentro la cornice? Forse la vera saggezza è concedersi il lusso di una deviazione, il coraggio di una scelta illogica, la libertà di fare qualcosa di apparentemente inutile, ma infinitamente vivo.
Raccogliere una pietra e custodirla per giorni solo perché ha una forma strana. Scrivere una lettera senza destinatario. Camminare in un vicolo mai percorso senza motivo. Forse, amico mio, il cuore della questione è proprio questo: lasciare che dentro di noi resti almeno un bambino, uno di quelli che si ostinano a vedere ciò che non si misura, ma si sente. Perché il vero slancio è partire senza mappa verso ciò che di noi ancora attende di nascere.
Che tu possa sempre concederti un viaggio senza biglietto.