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sociale

Morte al dettaglio: il buco nero delle nostre piazze

martedì 25 febbraio 2025
di Angelo Palmieri

Le piazze delle nostre città non sono più soltanto teatri di passeggiate al tramonto o di chiacchiere leggere al bar. Sono diventate arsenali a cielo aperto, infestate da cocaina, hashish, marijuana e droghe sintetiche, dove il traffico di morte si intreccia con l’indifferenza di chi preferisce voltarsi dall’altra parte.

Luoghi che avrebbero dovuto custodire la vita ora seminano l’ombra della distruzione, tra l’accidia quotidiana e l’inerzia complice di chi sceglie di non vedere. E poi c’è lei, madame l’eroina: è tornata, muta e più letale che mai, a divorare vite senza pietà né distinzione.

Diabolicamente seduce senza fare domande: il ricco e il povero, il professionista e il disoccupato, il giovane in cerca di sballo e l’anziano che vorrebbe solo intorpidirsi. Dieci euro per una "botta" di cocaina. L’eroina? Anche a due euro, cinque se non sei un cliente abituale.

È un azzardo a basso costo, o forse meglio un meccanismo di fredda razionalità, dove il rischio si maschera da scelta tecnica e basta poco per finire nel buco nero di una schiavitù che non guarda in faccia nessuno. E poi c’è il metadone, sottratto ai circuiti legali per finire nel bazar nero, e gli psicofarmaci scambiati come caramelle nei parchetti di periferia. 

Nel centro storico a due passi dal Duomo al sabato sera, tra uno spritz, noccioline e prosecchini, scorre qualche goccia di Tranquirit, facilmente reperibile tra giovani e giovanissimi.  Una deriva lenta, ormai non più invisibile, ma spietata nella sua inesorabile crudeltà.

Conosco Luca, ha 23 anni. Lo incontro nei pressi della libreria: "La prima tiratina a 16 anni, così, per gioco... per fare il figo con gli amici". Poi il crack. "Angelo, mi dà un senso di pienezza, credimi. Ma dura meno di un minuto, e subito dopo sto male da cani". Ora i suoi occhi non riflettono più sogni, ma inghiottono vertiginosi incubi. 

E Andrea non è un’eccezione. È il volto comune di una generazione che si perde, mentre nessuna strategia concreta e comune prova a scompaginare questo lento collasso. Intanto, le promesse si accumulano come polvere sugli scaffali dei discorsi di circostanza.

E chi vive in questi spazi lasciati ai margini stringe i denti, aspettando un cambiamento che resta, puntualmente, un’illusione rinviata. Le comunità terapeutiche autentiche sono sempre più rare, soffocate da rette insostenibili o trasformate in industrie di numeri, dove la redenzione è solo una voce di bilancio e non un obiettivo reale.

Occorre un coraggio diverso. Serve dire, senza arabeschi retorici, che la droga non è più un problema degli altri. È una ferita che sanguina e ci riguarda tutti. Servono mani tese per chi è già caduto e, soprattutto, per chi non ha ancora trovato la determinazione di chiedere aiuto. Abbiamo bisogno di educatori preparati, ascolto reale, formazione vera.

Le risorse pubbliche, già fin troppo esigue, dovrebbero essere impiegate con l’ardore della creatività e il rigore dell’analisi, senza diventare appannaggio di impresari sociali preoccupati unicamente della marginalità economica. Allora, Sindaca Tardani, siamo ancora in tempo per fare qualcosa di concreto con un piano lucido e audace?

La prego, ci eviti illusioni su un semplice osservatorio o su incontri di sensibilizzazione a spot nelle scuole: servono azioni strutturali, non palliativi di facciata. Vogliamo sapere se la politica, questa volta, è davvero pronta ad ascoltare e farsi carico del grido di dolore che ogni giorno si leva dalle nostre piazze e dai servizi pubblici.

Se restiamo a guardare, i cuori della nostra città diventeranno altari di solitudini consumate, senza più spazio per la vita.  E il prezzo da pagare non sarà solo quello di una dose da due euro o una morte per overdose. Sarà il nostro futuro, venduto al silenzio dell’ignavia.

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