Il mondo a portata di mano
sociale

Là dove il dolore sfiora la speranza

venerdì 21 febbraio 2025
di Angelo Palmieri

All’albeggiare, nella sala d’attesa del Bambin Gesù,
il tempo si sospende, trattiene il fiato.
I battiti si fanno silenzio,
mentre i bambini si aggrappano con dita tremanti
alle mani di madri e padri,
con occhi sgranati nel limbo dell’attesa,
tra il presagio di un bisturi e la fragile promessa di un responso.

Un’assenza di suoni densa, intrisa di preghiere non dette,
di sospiri che si rincorrono senza mai raggiungersi,
di pause profonde come abissi.
Il pianto sommesso dei piccoli si leva come un canto fragile,
un inno alla vita che resiste, anche nella prova più aspra.

Alcuni di loro portano sulle spalle il Golgota della crocifissione,
corpi gravati da fardelli visibili e celati,
ma con occhi che brillano di una forza inattesa,
capace di sfidare ogni pronostico, ogni rassegnazione.

Un padre indiano culla il suo bambino,
lo stringe con la devozione di chi sa
che l’amore, nella sua nudità più pura,
è più forte della malattia.
La pelle contro la pelle diventa argine al dolore:
gesto sacro, atto di fede silenziosa.

In quella scheggia di umanità ho compreso tutto:
si deve ripartire da qui,
dal battito che non si arrende,
dagli sguardi che restano fermi,
dalle mani che si tendono senza chiedere nulla in cambio.

Tutto il resto sbiadisce, si dissolve come nebbia al sole.
Siamo più grandi delle nostre miserie,
più saldi delle nostre fragilità.
Siamo ciò che rimane quando tutto trema:
un abbraccio che resiste,
un filo di voce che non si spezza,
l’ostinata speranza di un nuovo giorno.

E allora penso all’angoscia della sofferenza,
soprattutto quando non porta guarigione.
Eppure, anche in quell’ombra,
emerge una verità che la modernità tenta ostinatamente di soffocare:
la vita non è meno degna se non produce,
non è meno nobile se non offre godimento.
Non è il mito della performance a renderci umani,
ma la capacità di resistere, di amare, di sperare.

Ancora una volta, queste piccole creature,
nella loro fragilità assoluta,
ci offrono una lezione di pura “catechesi umana”.
E non è poco.