Nell'intimità delle scelte: il fragile confine tra libertà e ferita
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In "Nell'intimità" di Hanif Kureishi, c’è una notte in cui il protagonista si aggira come una creatura selvatica che avverte la fine: la respira nell’aria, la teme e insieme la desidera. L’amore non è più un asilo, ma una morsa, un peso che grava sulla pelle e nell’anima. "L'amore muore in modi così assurdi, così casuali" scrive Kureishi. Tuttavia, non è solo la passione a spegnersi: si dissolve anche l’idea di sé, quel fragile riflesso che si era costruito nel tempo, la sagoma familiare nello specchio, la mappa affettiva che un tempo indicava la via, come un’impronta genomica dell’essere.
Viviamo in un’epoca in cui l’indipendenza è divenuta un totem, un altare su cui si immola ogni legame, reso sempre più evanescente, a testimonianza di una fuga da un senso di profonda angoscia. Ma quale respiro del sé inseguiamo? Quella che recide ogni radice come un naufrago che taglia le corde della sua zattera, senza chiedersi se sia ancora in mare aperto? Un’autonomia che nutre l’esistenza o un miraggio che la divora celandosi dietro un’illusione spettrale di volontà?
Il protagonista di Nell’intimità si allontana, e nella sua partenza si consuma il dramma di chi non sa più abitare la propria esistenza se non sottraendosi, lasciando dietro di sé fratture, silenzi, spazi vertiginosi, in bianco e nero, che nessuno colmerà. Fino a che punto siamo disposti a sacrificare chi ci è accanto tra le fiamme della nostra autodeterminazione? E, soprattutto: chi è questo io, forse infinitesimale, che rincorriamo? È una presenza vera o soltanto un’ombra in perpetuo mutamento, un anelito verso un altrove che non trova mai forma, mai radici, mai requie?
"La libertà" scrive Kureishi, "è uno stato mentale, ma anche un luogo fisico in cui la gente arriva e si trova a disagio". Forse essa non risiede né nella fuga né nella prigionia, ma in un fragile equilibrio tra la fedeltà e il divenire, tra il legame e la danza della mutazione. Osare credere nel potere generativo senza conoscerne ancora la meta, ma con la consapevolezza che senza l’alterità tutto è impossibile. Privati della relazione, ogni slancio si spegne: è ontologicamente impossibile. L’amore si logora, lo sappiamo. È una possibilità umana concreta, inevitabile a volte, scongiurabile altre.
Ma può dissolversi come una stella che collassa nel proprio buio, inghiottita dal suo stesso splendore, o come un tramonto che si sfalda all’orizzonte, lasciando il cielo intriso di ultimi bagliori. E la libertà? Se si riduce a un distacco cieco, non è che un altro nome per la solitudine. Ma se accetta di misurarsi con il "limite" senza rinnegarlo, forse può ancora essere un atto di creazione, un’apertura che genera nuovi orizzonti invece di disperderli.
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