"Osservatorio sulle tossicodipendenze: convocarlo è urgente, ripensarlo è necessario"
L’interpellanza della consigliera Beatrice Casasole solleva un tema cruciale per la comunità: la funzione dell’Osservatorio sulle tossicodipendenze e l’urgenza della sua riattivazione. Tuttavia, prima ancora di soffermarci sulla rapidità con cui venga riconvocato, è necessario interrogarci sull’efficacia reale e sull’impatto prodotto negli anni, nonché sulle modalità con cui possa essere ripensato per renderlo realmente incisivo.
Rimettere in funzione un organismo del genere senza una valutazione critica dei suoi risultati rischia di tradursi in un’operazione di mera continuità formale, priva di una concreta capacità di incidere sul fenomeno. Possiamo disporre di dati che attestino il contributo effettivo di questa struttura nel contrasto al consumo di sostanze sul territorio? Quali progetti ha promosso in passato e con quali riscontri? La prevenzione è stata realmente potenziata o ci si è limitati a momenti di sensibilizzazione episodici? Se non abbiamo risposte chiare a queste domande, allora la questione non può risolversi in una semplice ripresa dei lavori, ma deve spingersi più a fondo, fino alla ridefinizione delle sue finalità e delle sue dinamiche operative.
L’idea di un tavolo di confronto tra attori istituzionali, sanitari, educativi e forze dell’ordine è certamente preziosa, ma non possiamo limitarci a riproporre schemi già sperimentati senza verificarne l’efficacia. Serve un ripensamento più profondo sulla logica operativa di questo strumento. Vogliamo un organismo che si traduca in azioni strutturate o che resti un contenitore di buone intenzioni? Per essere incisivo, esso deve agire non solo come centro di analisi e studio dell’emergenza sociale, ma anche come promotore di interventi strutturati e misurabili.
Nel nostro comprensorio, le sostanze circolano in maniera capillare, e a destare particolare allarme sono le droghe sintetiche, sia per la loro accessibilità sia per l’imprevedibilità degli effetti. Il mercato della droga si evolve rapidamente, mentre le risposte spesso restano ancorate a modelli rigidi e poco adattabili. Ha senso limitarsi a iniziative di sensibilizzazione o è necessario un cambio di paradigma?
Un’alternativa concreta potrebbe essere quella di rafforzare l’educativa di strada, un approccio che interviene direttamente nei luoghi di aggregazione giovanile, intercettando situazioni di rischio prima che diventino emergenze conclamate. Il contrasto alla diffusione delle sostanze non può basarsi solo su momenti istituzionali, ma deve prevedere azioni dinamiche e capillari, capaci di entrare in contatto con le realtà più vulnerabili.
L’urgenza di riattivare un coordinamento è indiscutibile, ma occorre evitare che il dibattito si riduca a un esercizio retorico o politico. L’efficacia si misura sui risultati, non sulla sola velocità con cui viene convocato un tavolo di lavoro. Se l’obiettivo è fornire soluzioni concrete, allora servono strategie incisive, modelli più flessibili e strumenti in grado di adattarsi alle trasformazioni del fenomeno. In assenza di questi elementi, il rischio è che la riorganizzazione resti un atto formale, privo di un impatto tangibile sulla diffusione delle dipendenze nella nostra comunità.
Rilanciare un coordinamento operativo non può essere l’ennesima manovra burocratica da spuntare sulla lista delle cose fatte, un intervento di facciata per placare il dibattito pubblico. O si agisce con serietà e il coraggio di superare la retorica, oppure sarà l’ennesimo fallimento della politica locale. E come sempre, a subire le conseguenze di questa incapacità saranno i più fragili.