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sociale

Abitare il tempo: l'attesa che genera frutti

martedì 21 gennaio 2025
di Angelo Palmieri

Nei Vangeli, l’immagine del contadino si carica non solo di un’aura poetica, ma anche di un’interpretazione teologica: essa richiama qualità essenziali del cristiano e della sua testimonianza nel mondo.

Il contadino, figura umile ma indispensabile, si muove con pazienza e fiducia, consapevole che la semina non garantisce frutti immediati e che il prodigio della germinazione avviene nel segreto della terra. Questo paradigma assume un valore particolare nel nostro tempo, segnato dalla frenesia e dalla leggerezza dell’effimero.

La cultura contemporanea, come evidenziato da Anthony Giddens nella sua analisi della modernità riflessiva, si muove con una velocità tale da compromettere la capacità di vivere con profondità il tempo e le relazioni.

Lo studioso sottolinea come la società tenda a privilegiare il “qui e ora”, spingendo verso un’accelerazione continua e un bisogno di risultati immediati, a scapito della capacità di costruire nel tempo. Questo atteggiamento rischia di contaminare anche la vita di fede, dove spesso si cercano verifiche rapide, iniziative che producano visibilità e risultati tangibili, dimenticando che il Regno di Dio cresce con tempi propri e misteriosi.

Il Vangelo di Marco ci offre una chiave di lettura radicalmente diversa: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27). La crescita del seme è affidata a Dio, ma il contadino non è inoperoso: egli lavora la terra, la prepara e si prende cura di essa con pazienza fiduciosa. Questa immagine del contadino richiama il valore dell’attesa evangelica, non come passività, ma come un’azione che accetta i tempi del mistero.

È nella fedeltà quotidiana, fatta di piccoli gesti e scelte coerenti, che si esprime la speranza autentica, non come illusione, ma come forza che orienta e sostiene ogni passo significativo.

Come affermava il sociologo Pierre Bourdieu, “Ogni azione sociale significativa richiede un habitus che sappia dialogare con il tempo, accettando di seminare anche quando i frutti non saranno immediatamente visibili”.

Questo approccio è un invito a riscoprire la profondità della sequela e del servizio, non come ricerca di risultati, ma come espressione di amore gratuito.

Nelle comunità cristiane, dilaniate dall'urgenza febbrile che consuma il nostro tempo, questo dinamico raccoglimento diventa fondamentale. Non è il successo visibile che definisce la fedeltà, ma la capacità di perseverare, seminando parole e gesti che costruiscano il Regno. Il Salmo 126 ci ricorda che “Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo”. Questo non significa evitare le sfide del presente, ma abitarle con fiducia, come il contadino che, in pieno inverno, prepara il terreno sapendo che il tempo della fioritura arriverà.

La prospettiva del divenire, non è un rimandare, ma un costruire paziente. È un tempo di cura e discernimento, di preghiera e servizio. Come scriveva il teologo Bruno Maggioni, “L’attesa è la forma più autentica dell’amore, perché chi ama non forza i tempi, ma li accompagna”. Questo diventa un invito a leggere evangelicamente le situazioni del nostro tempo, trasformando ogni limite in un’opportunità per testimoniare che la speranza cristiana non è un’illusione, ma una promessa che si fonda sulla fedeltà che guida il mistero della vita.

In questo senso, l’immagine del contadino diventa un modello non solo per la vita personale, ma anche per il cammino delle comunità cristiane. Egli semina con pazienza, cura con dedizione e attende con fiducia, certo che ogni seme porti in sé la promessa del frutto. Ed è proprio in questa speranza operosa che si ritrova la forza del credente: imparare a leggere il tempo come un campo fecondo, dove ogni piccolo gesto può germogliare e trasformarsi in una realtà nuova, a suo tempo.