Acqua passata non macina più
Acqua passata non macina più. Me lo ripete spesso mia madre al telefono, quasi fosse un mantra. E mi sorprendo a pensarci, ora che l'anno vecchio si chiude e ci prepariamo ad accogliere il nuovo. Un anno che, come un fiume in piena, ha trascinato via giorni e stagioni, lasciando dietro di sé il fertile limo delle riflessioni, ma anche qualche sasso pesante.
Orvieto, la mia dimora di adozione da dieci anni, è una bellezza che non smette di incantare. Ma non basta il fascino delle sue mura antiche per nascondere le fragilità che albergano nelle pieghe più nascoste. C’è una comunità che fatica a includere, a creare legami nuovi, a mantenere vivi quelli antichi.
Ci sono quartieri dove l’esclusione s’insinua, lasciando gli anziani soli, spesso dimenticati e quasi trascurati, la cui esistenza ignoriamo fino a quando non diventa troppo tardi. È una condizione che si estende a molti altri, aggravata da una medicina territoriale inadeguata, che fatica a organizzarsi per offrire un sostegno efficace e tempestivo.
Una sanità che, se fosse una persona, sembrerebbe un corpo malato: debilitato, senza forza né visione, incapace di rispondere ai bisogni di una “famiglia sociale” sempre più fragile e disorientata, in cerca di cure, vicinanza e ascolto.
E c’è una povertà che non si vede, non perché non esista, ma perché ci rifiutiamo di guardarla. È più nascosta, meno eclatante, e forse proprio per questo più insidiosa. Non si misura solo nei numeri dei rapporti annuali, ma nel silenzio di vite marginali, di persone che restano invisibili nel cuore delle nostre città, dietro porte chiuse e volti abbassati.
E allora, tra una pelliccia e un botto, forse possiamo augurare meno fuochi di artificio e più profondità. "Senso" è la parola che mi viene in mente.
Un augurio per l'anno che viene: una politica che non tema di alzare lo sguardo, non più ridotta a gestione amministrativa o teatro di piccole ambizioni personali. Una prospettiva alta, capace di riscoprire sé stessa come servizio alla famiglia allargata, come lo era per Pasolini: "l’organizzazione del consenso e del dissenso per un fine superiore." Relazioni autentiche che riscoprano il valore della connessione e un futuro davvero condiviso, dove nessuno rimanga ai margini.
Eppure, il senso non si trova. Si costruisce. Forse proprio a partire da quel passato che credevamo sepolto e che invece può ancora insegnarci qualcosa. Il passato può rimettere in moto non solo il mulino arrugginito, ma anche il nostro impegno per trasformare le acque immobili in un corso vitale.
Saremo il vento che muove queste acque stagnanti o resteremo a osservare l’inazione come spettatori di un mondo che scivola via?
Che il nuovo anno porti prospettive più ampie e legami più forti.