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La tenerezza come pelle del cuore: un'arte per il lavoro di cura

venerdì 6 dicembre 2024
di Angelo Palmieri

Ogni gesto di cura autentica nasce da una profonda comprensione dell’altro. È in questo spazio di ascolto e rispetto che la tenerezza si rivela come il cuore pulsante di ogni professione dedicata alla relazione e al sostegno. Non si tratta di un semplice gesto di conforto né di un’attenzione superficiale: la tenerezza è un’arte, un modo di essere che permette di entrare in autentica sintonia con l’altro, di toccarne non solo il corpo, ma anche l’anima. È la pelle del cuore che si trasforma in strumento di ascolto, in un tocco che valorizza e protegge la storia irripetibile di ogni persona.

Proteggere l’essere: la vera trasformazione

La tenerezza si radica nella consapevolezza che nessuno ha bisogno di essere trasformato in modo drastico né costretto ad adattarsi a un’idea predefinita di salute, realizzazione o equilibrio interiore. Piuttosto, ciò che è essenziale è proteggere i contenuti più profondi dell’essere, ciò che rende ogni persona unica e irripetibile.

Un approccio che preserva l’autenticità, aiutando l’altro a ricomporre il filo della propria narrazione senza forzature o sovrascritture. Come affermava Eugenio Borgna, «curare non significa cambiare l’altro, ma aiutarlo a essere pienamente sé stesso, a proteggere le sue ferite senza nasconderle».

La tenerezza nella pedagogia: protezione e scoperta

Con i bambini, questa qualità si manifesta nella capacità di riconoscere e valorizzare la loro identità in formazione. Un bambino non è un contenitore vuoto da riempire, ma un essere che cresce nel legame con gli altri, portando già in sé una ricchezza che deve essere protetta. La tenerezza, dunque, diventa l’arte di custodire questo potenziale, offrendo uno spazio sicuro in cui il bambino possa esplorare il mondo senza paura di perdere sé stesso.

Un educatore che agisce con tenerezza non impone, ma accompagna. È un custode discreto, che consente al bambino di scoprire le proprie risorse, di trasformare le fragilità in punti di forza, di vedere nei limiti un’occasione di crescita. La tenerezza non manipola né costringe: è lo sguardo che accoglie, la mano che sostiene, il silenzio che lascia spazio all’altro per essere, semplicemente, ciò che è.

La tenerezza nella cura dell’anziano: ricostruire una trama di senso

Con gli anziani, la tenerezza assume il delicato compito di aiutare a ricostruire una trama di senso che il tempo e le perdite possono aver frammentato. Un anziano non ha bisogno di essere trasformato, ma di sentire che la propria storia, con le sue luci e ombre, è ancora intatta, degna di essere raccontata e vissuta.

La tenerezza, in questo senso, diventa un gesto che protegge la memoria, che rispetta il passato e lo riporta al presente con delicatezza. È lo sguardo che va oltre la fragilità fisica, che riconosce la dignità di un corpo segnato dal tempo, che si avvicina non per cambiare, ma per accogliere. Nella cura dell’anziano, ogni parola, ogni gesto gentile diventa un ponte verso ciò che è essenziale, verso quel nucleo profondo dell’essere che resta intatto anche di fronte alla vulnerabilità.

La tenerezza e la distinzione vita/non vita

In un mondo che celebra spesso la forza, l’efficienza, la prestazione, la tenerezza ci invita a guardare altrove: verso ciò che è fragile, verso ciò che necessita di attenzione e cura per esistere. Essa sottolinea la distinzione tra la vita, che si manifesta nella sua vulnerabilità, e la non-vita, che si esprime come chiusura, rigidità, assenza di connessione.

La tenerezza, dunque, è un atto di fede nella vita, un modo di dire sì a ciò che è incerto, delicato, imperfetto. È la mano che si tende verso chi è caduto, il gesto che protegge ciò che è esposto, lo sguardo che illumina ciò che è nascosto. È un canto silenzioso che esalta la distinzione tra ciò che vive e ciò che si chiude al respiro del legame.

Come ricordava ancora Borgna, «solo chi accetta la propria fragilità può accogliere quella dell’altro, e solo nella tenerezza la fragilità diventa forza, diventa vita».

Tenerezza e cura: accompagnare senza alterare

La tenerezza non è mai un intervento invasivo, ma un accompagnamento rispettoso. Essa ricorda a chi cura che il compito non è plasmare l’altro secondo un modello, ma aiutare ciascuno a ritrovare e custodire il proprio posto nel mondo.

Eugenio Borgna ci lascia un’eredità profonda, ricordandoci che «la cura è custodia, non controllo; è attenzione, non imposizione. È l’arte di restare accanto senza mai oscurare l’altro». La tenerezza è questa custodia gentile, questo sguardo che protegge e valorizza ciò che l’altro porta dentro di sé, senza aggiungere né togliere. È, in fondo, il dono di un incontro autentico, dove il contatto non modifica, ma rivela ciò che era già lì, pronto a fiorire.

Nella tenerezza, il lavoro di cura trova il suo senso più profondo: essere testimone e custode dell’unicità dell’altro, aiutandolo a riscoprire, anche nelle pieghe della fragilità, la forza e la bellezza del suo essere al mondo. Pelle a pelle, cuore a cuore.