opinioni

Ricostruire un (possibile) futuro di Orvieto senza ipoteche e ipocrisie

lunedì 28 aprile 2025
di Davide Orsini

Venerdì 11 aprile ho partecipato all’evento programmatico "Una grande ambizione" organizzato dal Pd orvietano in qualità di portavoce (solo per l’occasione) del Comitato Cittadino "Abitare Orvieto". Il comitato ha deciso di accettare l’invito del segretario Maurizio Talanti perché l’iniziativa è apparsa propositiva, plurale, e inclusiva. Vi hanno preso parte molte associazioni di categoria e altri comitati cittadini che in questi anni hanno saputo catalizzare energie, e raccogliere esperienze e conoscenze utili per ricostruire un dialogo sul futuro di questo territorio che manca ormai da molto tempo.

Fatte le dovute premesse, vorrei svolgere alcune considerazioni personali che esulano dal mio ruolo in "Abitare Orvieto". Come cittadino interessato, mi preme sottolineare che nonostante il ritardo evidente l’iniziativa del Pd va nella direzione giusta. È chiaro a tutti ormai che i partiti organizzati sul territorio hanno fatto molta fatica a stare al passo coi problemi, le esigenze, e le speranze dei cittadini. Negli ultimi decenni le organizzazioni partitiche hanno agito più come comitati elettorali e procacciatori di consensi estemporanei che come elaboratori e organizzatori di progetti politico-amministrativi organici e lungimiranti. Questo traspare in modo evidente dalla proliferazione e dalla quantità dei soggetti che si sono fatti promotori degli interessi dei cittadini per supplire all’assenza dei partiti stessi, e ancor più colpevolmente delle istituzioni locali.

È dunque arrivato il tempo di mettere tutti intorno ad un tavolo per ragionare su cosa fare e come farlo. Nella situazione data sono i partiti che hanno tutto il vantaggio ad andare a “cercare” comitati e le associazioni che hanno acquisito il consenso e il rispetto di molti cittadini sulla base di due elementi: la volontà di conoscere (anche acquisendo ed analizzando dati non sempre disponibili) come stanno le cose; la volontà di adoperarsi affinché si possa arrivare a delle risposte chiare rispetto a problemi annosi, gravi, e urgenti.

Conoscere è potere, nel senso di poter fare, certamente. Ma conoscere è il presupposto per fare scelte che da una parte rispondano alle reali esigenze delle comunità e dall’altra siano misurabili (cioè valutabili) sulla base di dati verificabili e confrontabili. I partiti, dunque, dovrebbero avvicinarsi a comitati ed associazioni senza la presunzione di avere risposte in tasca (semplicemente perché non ne hanno) e accettando il dato di fatto che non svolgono più un ruolo egemone né come agenzie culturali, né come macchine organizzative degli interessi socioeconomici ed elaboratori di politiche. Per riacquisire questo ruolo devono fare parecchia strada e forse imparare a chiedere aiuto a chi può e si sente di darglielo. Io personalmente auspico una ripresa dei partiti come forze propositive in grado di organizzare il dibattito pubblico, conoscere, selezionare il personale politico-amministrativo, e governare.

Se la “grande ambizione” è quella di tornare a riannodare i fili di un dialogo interrottosi da molto tempo, allora il prossimo compito sarà quello di riaprire i giochi con chi il gioco è stato costretto a condurlo suo malgrado. Ecco il senso del civismo, che non è sciocca pretesa e ambizione di essere altro dai partiti, ma consiste nella responsabilità di farsi carico dei problemi della comunità. Se si vuole cogliere la possibilità di far tesoro di queste esperienze civiche nate dal bisogno di comprendere e rispondere ai problemi dei cittadini che non trovano ascolto e soluzioni adeguate, bisogna capovolgere logiche ormai superate e individuare nuove priorità. Un vademecum essenziale potrebbe essere il seguente.

Primo: ascoltare. Secondo: resistere alla tentazione di cooptare tutti per poi indurli al silenzio. Terzo: resistere alla tentazione di “usare” comitati e associazioni come taxi o porta acqua sotto elezioni per poi mollarli. Quarto: dimostrare di saper fare le cose, a cominciare dall’organizzazione di tavoli VERI di confronto sui PROBLEMI REALI. Se questo verrà fatto (ormai le cambiali in bianco sulla base di supposte identità o fedeltà al partito non esistono più), allora potrà esserci uno spazio di rinascita.

Ultima, breve, considerazione. All’inizio della manifestazione ho ascoltato l’intervento di un sindaco del comprensorio che ha esordito dicendo: “siamo qui per riprendere il potere”. Al netto delle battute e delle provocazioni più o meno azzeccate, rifletterei invece sulla necessità di concepire i prossimi quattro anni non come preparazione alla sostituzione dell’attuale maggioranza (i cui risultati sono certamente negativi e aggiungerei dannosi per la comunità orvietana), ma piuttosto come la possibilità di aprire una nuova stagione di pensiero e azione attraverso il confronto con tutti, per superare questa perversa spirale di autoreferenzialità, grettezza, e mancanza di prospettive sul futuro di Orvieto nella quale ci siamo cacciati pensando che per governare bastasse allontanare chi non è d’accordo con noi.

Un po’ poco per rappresentare e reggere con dignità e responsabilità le sorti di ventimila cittadini. A meno che non si voglia mantenere lo status quo, perché certamente (e bisogna che cominciamo a dircelo) da questa crisi ventennale di Orvieto qualcuno (pochi) continua a guadagnare, mentre i molti si sentono dire che non è possibile fare altro che accettare quel che c’è. La grande ambizione dunque è cambiare la città con i molti che vogliono e che sentono l’urgenza di farlo.

 

 

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