Capra il mondo

La depressione non si racconta: si precipita dentro.
È un vortice nero che non restituisce il respiro,
una fame che rifiuta il pane e desidera il vuoto,
una stanza chiusa dove anche la luce ha paura.
Non si parla, non si tocca, non si esce.
Ogni cosa si spegne, lentamente
come un pianoforte scordato nell’angolo dell’anima.
È lì che ti cerco, Vittorio.
Con la tua voce scorticata, nuda come una ferita aperta,
con le tue invettive scomposte,
con quell’energia che rompeva i vetri dell’indifferenza.
Urlavi "Capra!" al mondo,
e dietro quell’urlo c’era vita, c’era fuoco,
c’era la voglia disperata di non smettere di sentire.
C’era anche l’eco di uno specchio,
di uno sguardo che cercava sé stesso
nel riflesso degli altri,
in quell’applauso che bruciava, al pari dello scherno.
Capra la notte, ancora.
Torna con la tua irruenza infantile,
squarcialo questo torpore,
accendi anche questo buio.
Perché c’è bisogno,
persino nel silenzio più malato,
di una voce che non abbia paura di essere stonata.

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