"Il centro storico si spegne ogni mese di più. Quella perversa ideologia che unisce la destra e la sinistra"
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Adesso che nel centro storico di Orvieto stanno abbassando le saracinesche molte e iconiche attività commerciali, diventa clamorosamente evidente a tutti quel processo di declino che le statistiche indicano da tempo. Mentre in tante città la crisi del centro è perlomeno compensata, e spesso anche accelerata, dallo sviluppo commerciale della periferia, qui non c'è nemmeno questo elemento di parziale consolazione.
Siamo di fronte al fallimento non di un quartiere simbolo, ma di una città intera, la cui classe politica non è stata e non è in grado di pensare a nessun modello economico alternativo rispetto a quello del villaggio turistico la cui paternità ideale risale a Luca Signorelli, Lorenzo Maitani, i Signori Sette, Ippolito Scalza e qualche altro genio distante da noi dagli otto secoli a salire.
Il totale immobilismo politico e di conseguenza economico in cui è avviluppata la vita pubblica di questa città è qualcosa di talmente stupefacente che fa pensare a quella maestra che pur di favorire lo studente meno dotato della classe, fa finta di distrarsi per consentirgli di copiare dal quaderno del compagno di banco sveglio. Ma lui niente, neanche copia. Vediamo cosa si dovrebbe copiare.
Tasse record e nessuno si lamenta.
Orvieto ha da oltre dodici anni le tasse più alte della regione. Il mercato immobiliare ha un valore doppio rispetto a quello di Terni. Non è mai stata attuata una politica di edilizia pubblica o di edilizia contrattata, mai nessun provvedimento a favore delle famiglie, buio totale sull'ex Caserma Piave, è stata abbandonata anche la semplice idea di una strategia per attrarre investimenti, il Centro Studi Città di Orvieto non si sa se ancora esiste, gli abitanti del centro storico non hanno (tranne pochissimi) posti auto riservati, sono massacrati dalle contravvenzioni secondo regole penalizzanti e si potrebbe continuare ancora, con tanti esempi.
Uno studio del Cts dimostra, numeri alla mano, che Orvieto avrà tra nove anni gli stessi abitanti di Umbertide, cioè un paese da 16.000 anime. Perdendo quasi 200 abitanti all'anno ed essendo ormai uscita dal rango delle città con oltre 20.000 abitanti, la sua sorte appare segnata. Le città normali si stanno ingegnando per attrarre abitanti ed imprese, attraverso incentivazioni fiscali, bonus, accordi imprenditoriali, sostegno alla residenzialità, sgravi, consulenze specializzate e altre seimila cose che sono anche oggetto di studio in facoltà universitarie oltre che espressione di capacità e inventiva politica. Riusciamo almeno a copiare? Non sembra. Aver clamorosamente fallito l'occasione del secolo rappresentata dal Pnrr con il Comune che ha portato a casa quattro spiccioli presentando due miseri progettini del tutto irrilevanti dal punto di vista economico è la prova provata che questa politica non è capace di produrre economia e quindi sviluppo.
La burocrazia impallata.
Una questione mai affrontata è anche quella dell'efficienza della burocrazia comunale con una cronica e non più tollerabile incapacità di fare e vincere bandi, mettere in campo progetti e fare coprogettazione. Tutto quello che si fa ogni giorno in ogni ente pubblico un po' più grande di un paese, insomma. Eppure i pochi uomini politici avveduti di questa destra sotto la sufficienza come Andrea Sacripanti avevano avuto da tempo la lungimiranza di proporre la creazione di una tecnostruttura ("Ufficio Europa") focalizzata sul reperimento di risorse comunitarie e statali.
Non hanno fatto niente. Qualcuno faccia suonare una sveglia perché ormai la progettazione può essere fatta solo sugli ospizi. C'è indubbiamente un problema di qualità del ceto politico, c'è un centrodestra che sta fallendo miseramente proprio su quello che dovrebbe essere il proprio campo di gioco che è lo sviluppo economico, non che con la sinistra fosse andata meglio, ma il diverso stato di salute della finanza pubblica aveva fatto la differenza.
L'ideologia e una singolare teoria economica.
Ci sono anche un elemento ideologico e una teoria economica implicita che hanno un ruolo nel declino orvietano. L'ideologia è quella che i post missini e i post comunisti hanno sempre condiviso sulla società orvietana. Ovvero che si tratti di una comunità in larga misura composta da gente ricca o comunque benestante che ha le spalle larghe per sopportare alla fine tutto, soprattutto la totale mancanza di attenzione redistributiva a favore di famiglie e imprese. Una lettura che è ormai datata, non più corretta, ma che rimane valida solo nella parte che vede nella rendita residua un elemento di freno dello sviluppo.
La teoria economica è, invece, quella perfettamente incarnata dall'attuale amministrazione comunale secondo la quale il turismo rappresenta una leva tanto potente da essere in grado di trainare gli altri settori economici. Una specie di teoria trickle-down (o dello sgocciolamento) secondo cui l'ulteriore arricchimento della parte già più ricca della società determina un arricchimento a cascata anche di tutti gli altri ceti sociali. Sinceramente non sembra che l'andamento altalenante ma nella sostanza soddisfacente del turismo orvietano degli ultimi dieci anni sia stato in grado di innescare un meccanismo di crescita generalizzato e significativo di edilizia, commercio e terziario.
Magari qualche esponente di spicco della Facoltà di Economia dell'Università del Fossatello potrà dimostrare che non è cosi, parliamone. Non c'è davvero nulla di cui essere allegri. Mente i comunisti di una volta guardavano all'insufficienza dei loro politici ed evocavano il compagno Pajetta che intimava al compagno Materazzo: "Studia!", i simpatizzanti di questa destra dovrebbero oggi dire ai loro politici: "Almeno copiate!".
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