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Il Colore della Cura

venerdì 20 dicembre 2024
di Angelo Palmieri

Ma perché non immaginare un ospedale che rompa la consueta austerità con pareti di colori vivaci, capaci di accogliere chi vi entra con un messaggio di vita? Un giallo solare, un verde speranza, un azzurro di quiete. Non sarebbe un inno visivo alla cura, una promessa che anche nei luoghi di sofferenza può fiorire un frammento di bellezza?

Certo, non si può evitare il tema dell’odore. Quella miscela inconfondibile, una presenza sospesa tra disinfettante e ammoniaca, che accoglie e avvisa: sei in un luogo dove il corpo incontra i suoi limiti e la scienza tenta di riportarlo all’equilibrio.

E il personale sanitario? Dietro le divise bianche, celesti o verdi, si nasconde la stanchezza di chi cura, il confine tra la professionalità impeccabile e l’umanità fragile. Quei colori, più che identificare ruoli, sembrano voler offrire un segnale di ordine e sicurezza in un contesto dove spesso regna l’incertezza.

Le barelle, accatastate come veicoli in attesa di un turno, raccontano viaggi brevi e silenziosi, spesso senza ritorno. E le sale d’attesa, microcosmi di emozioni sospese, sono il teatro di sguardi che cercano conforto, di tensioni che si intrecciano a speranze senza nome.

E allora, perché non provare a rendere più umani questi spazi? Una musica di sottofondo, magari Mozart o Chopin, per addolcire l’ansia dell’attesa. Uno scaffale con libri o riviste potrebbe trasformare quel tempo sospeso in una parentesi di sollievo, un momento di evasione per chi è lì a combattere o a resistere.

Non si tratta solo di ripensare le strutture sanitarie. Si parla di un'edilizia dell’anima, di spazi che non siano semplici contenitori di corpi ma luoghi che sappiano accogliere con dignità e calore. Ripensare gli ospedali significa partire dalle piccole cose, perché la cura non si limita a un bisturi o a una diagnosi. Cura è anche il modo in cui veniamo accolti: un colore, un gesto, una parola gentile.

La rivoluzione comincia da qui: trasformare la sanità da un sistema freddo e meccanico in una rete di umanità viva. Perché, in fondo, l’attenzione più potente è quella che riesce a restituirci un po’ di vita, anche nei momenti in cui sembra perduta.