Il Duomo (è) di Orvieto
"L’Opera del Duomo di Orvieto si prepara al Giubileo 2025" si leggeva nell’intervista rilasciata lo scorso agosto dal Presidente Andrea Taddei al quotidiano online Orvieto Life. Sono passati più di tre mesi da quell’annuncio e a poche settimane dall’apertura della Porta Santa, la domanda sorge spontanea: l’Opera del Duomo è pronta?
Il Vaticano prevede circa 32 milioni di presenze, tra pellegrini, turisti e semplici visitatori che si riverseranno a Roma in occasione del Giubileo. È facile immaginare come Orvieto possa beneficiare dell’Anno Santo richiamando nella Città del Corpus Domini numeri potenzialmente importanti. Non serve ricordare gli asset principali che spingerebbero a credere ad un anno record per il turismo locale: l’occasione è ghiottissima, ma a che punto siamo?
Dal primo settembre, gli spazi dei Musei Papali sono chiusi al pubblico per consentire il riallestimento delle collezioni, comprese le opere più celebri del MODO, come le pale d’altare cinquecentesche e il prezioso, ma fragile, Reliquiario di Ugolino di Vieri. Questa decisione, spiegata da Taddei, rientra in un piano già approvato dal consiglio dell’Opera. Tuttavia, al momento non esiste una comunicazione chiara e trasparente sul progetto che interessa gli spazi museali, né i cittadini hanno accesso a dettagli precisi. Numerose opere esposte nei Palazzi Papali, tra cui le tavole di Simone Martini e Luca Signorelli, appartengono al Comune di Orvieto.
In questo contesto, è fondamentale che venga fornita una comunicazione esaustiva e senza ambiguità riguardo al destino del patrimonio culturale della città. Questo è particolarmente importante poiché molti interventi sono finanziati anche dallo Stato. È quindi essenziale che la comunità sia messa in condizione di comprendere i progetti e la pianificazione in corso per il Duomo e il MODO, per assicurare che il patrimonio identitario della città venga tutelato e valorizzato in modo trasparente.
Allo stesso modo, si intende esprimere la massima preoccupazione per gli interventi di restauro che stanno interessando l’edificio della Cattedrale con impalcature erette al di sopra delle statue marmoree di alcuni degli apostoli senza le necessarie protezioni per le pregevoli sculture. Non si vuole qui delineare uno scenario tragico, ma il marmo è un materiale estremamente fragile e sorge spontaneo il dubbio sulla messa in sicurezza delle opere sopra citate. Si intende tralasciare anche tutte le problematiche relative al decoro che interessano l’area tra la Cattedrale e i Palazzi Papali e che non sono propriamente di pertinenza dell’Opera, ma su cui è importante ritornare in un momento successivo anche per porre ordine alla viabilità e alla sosta su una delle piazze più belle del pianeta.
La stessa preoccupazione interessa anche il Reliquiario di Ugolino di Vieri, di recente oggetto di un importante restauro che ha riportato il pregevole manufatto di oreficeria medievale ad un nuovo splendore. Fu proprio in occasione della presentazione del paziente e certosino lavoro di Mari Yanagishita che la Soprintendenza avanzò l’ipotesi di riportare il capolavoro di Ugolino di Vieri all’interno del tabernacolo dell’Orcagna – da cui venne messo in salvo nel 1979 e di riportarlo addirittura in uso.
Come precisò l’allora Direttore Generale dell’Istituto Centrale per il Restauro nel 1978, “l’unico intervento conservativo corretto è da considerarsi quello che eviti ogni sollecitazione meccanica e termica del Reliquiario”. Sarebbe interessante comprendere le reali intenzioni dell’Opera e quindi il destino di quello che il grande orafo orvietano Maurizio Ravelli definì come una delle opere più preziose del mondo. Si rammenta che una vetrina del Corporale esiste già e che venne disegnata e realizzata da maestranze locali, eredi di antichissime tradizioni oggi andate quasi del tutto perdute.
È opportuno sottolineare, a tale proposito, un aspetto cruciale che negli ultimi anni sembra essere passato in secondo piano nel gioco di poteri che ha interessato la fabbriceria: il Duomo di Orvieto è un monumento pubblico, di proprietà di noi cittadini che abbiamo delegato l’Opera a prendersi cura del simbolo della nostra città. Non è né della Chiesa, né dell’Opera: il Duomo è nostro. Allora sarebbe opportuno lavorare alla luce del sole e assumersi la responsabilità delle scelte fatte – e da farsi – davanti alla comunità, informando adeguatamente e lavorando in un’ottica partecipativa per la salvaguardia della Cattedrale e delle sue (nostre) collezioni e per rafforzare quel legame viscerale tra città, monumento e comunità.