opinioni

L'opacità dell'io

martedì 16 luglio 2024
di Angelo Palmieri     

Viviamo l’oggi con un profondo senso di sfiducia e di paura del futuro, fortemente ossessionati dalla egoistica affermazione del proprio egotismo. Ed ecco che sfiducia e senso di autosufficienza finiscono per affossarci in un baratro sempre più buio. Remo Bodei parla di un ‘io mongolfiera’, gonfio di sé, desideroso di felicità, ripiegato su sè stesso intento ad allentare i suoi rapporti con gli altri, incline a non affrontare e padroneggiare le proprie crisi di identità, sfociando nell’apatia, nella totale indifferenza, nella cura di un sé dispotico, pronto ad assumere un atteggiamento camaleontico nei contatti con gli altri.

Un io non più imperniato in un’identificazione stabile, oscilla, e si moltiplica, può tremare e perdersi. Di certo la perdita di fiducia sembra rappresentare molto efficacemente l’hic et nunc tutto ripiegato su paure e frustrazioni di contro ad uno stato d’animo fiducioso del passato (ma illusorio!) di una società capace di condotte coerenti pronte a tradursi in aumento degli investimenti e della produttività, crescita delle performance educative, indici sostenuti di natalità. Oggi quel capitale di fiducia è evaporato e si vive nella paura, rassegnati all’insicurezza o finendo vittime di forze che sfuggono al controllo.

Non abbiamo una strategia, forse l’unica è quella minimalista di proteggerci dai rischi di una globalizzazione malata e contradditoria, anziché osare affrontarli con progetti ricombinatori chiari. L’unica risposta, purtroppo oltremodo infeconda, sembra ricadere sul senso di autosufficienza che restituisce un’immagine seppur sfocata di una società euforica che vede nel processo di individualizzazione delle scelte e della vita il movimento di liberazione dalla paura (Vincenzo Cesareo, Italo Vaccarini, 2012).

In questa mimesi euforica sempre più siamo spinti ad esercitare autonomia o libertà di scelta in ogni ambito di esperienza, dalla sessualità, alla selezione genetica dei figli, all’eutanasia. I nostri giovanissimi hanno scelto come ambito d’elezione il mondo virtuale sfrangiato da ogni legame possibile. Una rappresentazione, di cui il sottosistema comunicativo ha precise responsabilità, secondo cui la società del passato imponeva obblighi oppressivi e vincoli alienanti così da reprimere la realizzazione di ogni individualità. Dunque non un io da costruirsi in relazione ad un tu, ma una soggettività senza confini identificativi.

Il problema di fondo del nostro tempo è quello di individuare una nuova base che potremmo definire di attaccamento, di orientamento, che pur nel rispetto delle tendenze pluralistiche e senza cedere al rischio del fondamentalismo, costituisca un nuovo orizzonte su cui costruire la solidarietà sociale.

Oggi ci troviamo improvvisamente di fronte alla prova di un nuovo terribile flagello, un virus rispetto al quale nessuno di noi può dirsi del tutto immune e che tutti dobbiamo combattere innanzitutto in noi stessi: il narcisismo. Un narcisismo che nasce dalla legittima e umanissima aspirazione ad avere riconoscimento e attenzione, ma divenuto ormai patologia socialmente distruttiva capace di annullare relazioni e far naufragare il lavoro d’insieme.

Si finisce così per sperimentare la crisi del simbolico, capace di orientare il nostro agire con contenuti di senso per via di innovazioni repentine e non sempre accompagnate da un’adeguata regolamentazione.  La sindrome che potremmo definire del narcisismo si traduce in un rifiuto di porsi domande sull’esistenza e di attribuire alla realtà umana una qualificazione simbolica, una profondità interiore, una tensione verso un ipotetico futuro. Le possibilità dell’individuo si sono sensibilmente moltiplicate, un simile fenomeno se da un lato crea opportunità, dall’altro può disorientare e far perdere il proprio progetto esistenziale.

Tutto sembra tradursi in un io delirante che vaga verso traiettorie incerte non capaci di infuturarsi, proiezioni di progetti di vita narcisisticamente ripiegati su sè stessi senza scopi intellegibili. Identità narcisistiche come conseguenza di una struttura sociale e culturale significativamente modificata. Tratti che come evidenziato dalla psicoanalisi si manifestano in una polarizzazione della propria esperienza sul senso di paura e impotenza di fronte alla realtà e contemporaneamente su un senso euforico di libertà illimitata.

Abbiamo bisogno di ricombinare il nostro sistema sociale, di lavorare alla creazione di comunità forti e solidali, di “minoranze da choc” per usare un’espressione di Jacques Maritain in ‘L’uomo e lo Stato’, che sappiano respingere le seduzioni dell’arroccamento fondamentalista e dell’autodissolvimento relativista. Occorre ripartire insieme per generare un futuro nuovo. Si tratta di abbandonare la misura stretta dell’autoreferenzialità per sbilanciarsi verso il mondo e gli altri.

Investire sul proprio io l’intera felicità appare un’operazione fallace e mortifera; è bene ricordarlo che la felicità non è mai una vicenda privata. La concentrazione sull’Io che la società evanescente promuove avvelena il nostro cammino verso la felicità. Per dirla con Adriano Pessina, questo processo sociale porta ad un’insoddisfazione dell’io stretto tra “Prometeo e Dio”. Zygmunt Bauman, in un suo celebre intervento ad Assisi, ha tracciato una breve ed efficace storia dell’umanità, incentrata sul pronome "noi": è l’’espansione di questo pronome che può salvarci.

È questa una sfida che coglie in profondità la ragione stessa della nostra esistenza perché in fondo siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri. Di qui l’urgenza di una cultura del dialogo che sappia intessere la ricostruzione di una società che si disponga alla inclusione dello straniero, del migrante, del relegato in periferia. Certo una via non facile, ma comunque una via salvifica che necessita di coerenza e la coerenza, si sa, è l’immagine di un’unione stretta, solida, è assenza di contraddizioni, è la qualità dell’unità indivisa, che si muove nella stessa direzione con ogni sua parte.