Beethoven non era sordo

Parlo ora, con il permesso di me, di Ludwig Van Beethoven. Da qui in avanti e indietro lo chiamerò Ludy, come lo chiamava la nonna prima di essere uccisa da un pianoforte a coda che il nipotino le aveva fatto cadere addosso dal quarto piano della casa popolare dove abitavano a Bonn, città che in suo onore mutò il nome in quello di Bon Son. Il primo dolore fu per lui il non poter andare al funerale della nonna che aveva scritto nel testamento previdente il futuro che non voleva il nipote al funerale perché lo sciagurato pargoletto l’aveva uccisa con un pianoforte nel modo in cui ho scritto prima.
Non si contarono i dolori che lo afflissero sin da giovinetto che usava andare sul tetto per cui lo chiamavano anche Bonnello essendo nato, come già detto, a Bonn. Se fosse nato a Roma lo avrebbero chiamato Romello. Sua madre era una donna fragile di nervi, si nascondeva ogni volta che lo vedeva perché aveva paura che il figlio le gettasse addosso l’altro pianoforte, al quale avevano mozzato la coda pensando che fosse un caneforte. Comunque la donna morì molto giovane (e molti pensarono che se fosse morta prima non avrebbe messo al mondo un mostro sia pur di bravura).
Qualcuno sostiene che sia stata uccisa dal marito che la avrebbe trovata a letto con Giacomo Puccini, ma questa tesi ha sollevato seri dubbi negli studiosi, per via che Puccini nacque qualche minuto dopo. Morta la madre, Ludy penso che magari gli avrebbe lasciato il correda da sposa, non sapendo che era stato venduto per far fronte al funerale solenne della nonna alla presenza di Francesco Giuseppe imperatore di tutto. A questo si aggiunse, senza nulla togliere il resto, che il babbo (in tedesco babben) era un ubriacone manesco sospettato di essere un tedesco dell’est prima che il famoso maremoto facesse crollare il muro di Berlino.
Ludy visse la misera infanzia in un lager e per fortuna nella camera aveva il riscaldamento a gas gratis. Fu nel lager che compose i primi lieder che furono noti come laiger tanto per dare l’idea. Per fortuna gli americani lo liberarono dal lager e lui imparò a suonare la musica iazz. Fu l’inizio del suo calvario: il jazz non andava più di moda, ora erano in voga le canzoni di Mozart, prima tra tutte Lili Marlene. La fama di Mozart, che aveva inventato il Quartetto Cetra che suonava anche il contrabbasso, perseguitò Ludy da sempre.
Già da giovanissimo il babbo gli aveva detto che doveva diventare un secondo Mozart: aveva saputo che il padre di Mozart era vissuto alle spalle del figlio e lo stesso voleva fare lui. Invano Ludy diceva che voleva fare il sarto ma il padre gli disse che non aveva la stoffa. Allora Ludy, senza entusiasmo, decise, come è noto, alle note. Con qualche successo, ma solo tra gli armatori della musica sinfonica. Passarono gli anni, Ludy passa non volle sposarsi mai perché nessuna lo voleva, anche perché era spilorcio e chiedeva un sacco di soldi per suonare e nessuno lo pagava abbastanza perché era stonato e i pochi spettatori lo prendevano a fischi.
Provò a comporre qualcosa per Elisa, ma Elisa gli rise in faccia e gli disse che quella roba si studiava anche al primo anno di conservatorio. Non ebbe figli, per loro fortuna, e allora si prese cura del figlio di suo fratello, morto nella prima guerra tra non si sa chi. E trattò il nipote come fosse un figlio, picchiandolo continuamente ed obbligandolo a frustate a girare i fogli dello spartito. A un certo puntò il nipote che si era rotto le palle di essere trattato a quel modo pensò o lo ammazzo o mi ammazzo, poi scelse una via di mezzo e finse di ammazzarsi, sperando di suscitare compassione nello zio, che invece lo rinchiuse nella stanza a pane e vino come il Marcelino di cui alla canzone.
Gira che ti rigira, il nostro Ludy, battendo sempre gli stessi tasti, divenne abbastanza famoso, specie quando una sua canzone fece da colonna sonora ad Arancia Meccanica ed un altra, con lo stupido titolo di Inno alla Gloria, tipo inno di Mameli, fu suonata per celebrare l’Unione Europea. Ma vi rendete conto? Poi Ludy cominciò ad innervosirsi perché tutti facevano paragoni tra lui e Mozart: suonava a Lipsia e gli dicevano non c’è male, ma vuoi mettere Mozart. Suonava a Vienna e gli dicevano sì, sei bravino, ma Mozart era meglio.
Il colmo fu a Dresda quando un critico scrisse cha e copiava, e anche, male, Amedeo Mozart. Stanco di queste parole cattive decise da allora di fingersi sordo ma ci sentiva anche troppo bene. Un giorno, mentre assisteva come finto sordo, alla quarta sinfonia che aveva copiato da Salieri, perché Mozart era morto, ammazzato proprio da Salieri, un tizio che gli stava vicino, pensando che Ludy fosse sordo, disse che palle questa musica rivoglio i soldi del biglietto, Ludy gli si rivoltò contro e lo prese a cazzotti fino a ridurlo in fin dei conti.
Poi, per non far capire che era un finto sordo, urlò è stato lui a cominciare mi ha dato una spinta che quasi finivo nella buca dell’orchestra. Si finse sordo anche quando morì. E fu per lui una fortuna. Riuscì a fingere di non sentire neppure il discorso funebre rantolato da Angela Merkel.

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