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Fu un suicidio

lunedì 2 novembre 2020
di Fausto Cerulli
Fu un suicidio

Io so. Prendendo a prestito una secca frase con cui Pasolini iniziava certi suoi profetici scritti pubblicati dal Corriere della Sera, voglio dire che io so come è morto Pier Paolo Pasolini. Lo so perché pochi anni dopo quella morte, del cui peso qualcuno si accorge ogni anno di più, io ebbi occasione di conoscere quel Pino Pelosi che era stato condannato per l’omicidio del grande poeta, regista, scrittore. Lo conobbi nella stanza di sicurezza della Pretura di Tivoli.

Il giudice mi aveva incaricato di difendere un uomo accusato di tentato furto in appartamento e mi aveva concesso di parlare brevemente con lui prima dell’inizio del processo. In una stanza senza finestre detti una scorsa ai precedenti penali del mio assistito e lessi, tra l’altro, che era stato condannato per omicidio e rimasi stupito dal fatto che per un tale grave delitto fosse stato condannato ad una pena tutto sommato leggera.

Dovette accorgersi della mia sorpresa perché biascicò che all’epoca era minorenne e poi aggiunse, con aria quasi spavalda ed in romanesco: "Io so' Pino Pelosi, l’assassino der Pasolini". Non lo avrei mai riconosciuto: al tempo della morte di Pasolini i giornali avevano pubblicato varie foto del presunto omicida, un ragazzo dagli occhi scuri e dai capelli folti e dal fisico asciutto, un ragazzo di vita di quelli che Pasolini amava tanto nella sua voglia di uomo che amava, socraticamente come mi viene da dire, i ragazzi.

Ora mi trovavo davanti un uomo dal fisico pingue, i capelli untuosi, gli occhi immersi in un lago di cocaina a buon mercato. Lo difesi comunque davanti al giudice ed ottenni una condanna abbastanza mite, forse insistendo sulla personalità complessa dell’imputato con riferimento al gravoso precedente penale. Poi cominciai a ragionare su quello che avevo visto. Era voce corrente, specialmente negli ambienti di cosiddetta sinistra, al quale del resto appartenevo, che Pasolini fosse stato vittima di un agguato fascista, di cui Pelosi sarebbe stato soltanto l’esecutore materiale.

Ma, dopo aver visto come era ridotto Pelosi dai tempi del presunto omicidio, qualcosa non mi quadrava ed in me cominciava a vacillare la tesi del complotto fascista, dato per certo dal consueto manifesto di intellettuali da prima pagina, che reclamavano giusta giustizia cercando negli abbondanti filoni fascisti o neo fascisti. La domanda che mi ponevo non era tutto sommato semplice: se Pelosi fosse stato soltanto l’esecutore materiale dell’omicidio avrebbe avuto in qualche modo un’arma pesante per ricattare i mandanti, o comunque per ottenerne qualche vantaggio.

In questo caso non si sarebbe ridotto nelle condizioni in cui lo avevo trovato, un flaccido tossicodipendente costretto a rubacchiare in appartamenti per procurarsi una dose di droga. Ricordo che riuscii a far pubblicare una lettera con questa tesi azzardata sulla rubrica delle lettere al direttore del Corriere della Sera quando ne era direttore Indro Montanelli e ricordo che Montanelli, lapidario come era sempre, rispose alla mia lettera con un secco "Sono d’accordo con lei".

In seguito ho letto con maggiore impegno le opere di Pasolini, alla ricerca di qualche argomento a sostegno della mia tesi, contraria a quella del complotto. E poco per volta mi sono convinto che Pasolini abbia voluto essere ucciso dal suo amante occasionale. Non tanto occasionale, visto che erano stati visti insieme più di una sera in una trattoria vicina al luogo della tragedia. Era come se Pasolini avesse voluto studiare il carattere di Pelosi per portare a termine un suo macabro piano, quello che oggi chiameremmo il piano di un suicidio assistito.

Pasolini, quella notte, aveva deciso di suicidarsi per mano di un altro. Chi volesse convincersene potrebbe leggere le pagine del pasoliniano "Petrolio" uscito postumo ed incompleto. In quelle pagine troverebbe una smania masochistica di essere violentato per ricavarne piacere, e di esserlo da persone in tutto simili al Pelosi ragazzo. Ma oltre a questo, nello stesso libro, troverebbe una sorta di prefigurazione della propria morte. Lo stesso scenario, il lido di Ostia, lo stesso particolare, un cadavere travolto da un'automobile in corsa.

La stessa ora, la stessa atmosfera cupa da tragedia greca. Pasolini scrive spesso di morte, e quando ne scrive ne scrive accennando, più o meno esplicitamente a se stesso. Il suicidio è un tema ricorrente della sua opera, per chi voglia leggerla con attenzione sotto il velo dell’apparenza. Del resto lo stesso cugino di Pasolini e suo confidente ricorda come Pasolini, dopo un giorno di quasi gioia, gli propose di andarsi a recidere a morte le vene nel vicino Tagliamento. E la tesi del suicidio mascherato da omicidio fu sostenuta da un altro amico molto intimo di Pasolini, il poeta Dario Bellezza. Per questo io dico che quella morte fu la morte di un uomo che si uccide.

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