"I care" Orvieto: conoscere per investire
Il nostro è un territorio “ricco di eccellenze”, ma contemporaneamente “fragile”, difficile da preservare e valorizzare anche a causa dello spopolamento che continua a precipitare sempre più in basso. Poche persone, poche risorse, poche idee. Il vero salto di qualità è pensare Orvieto come una città d’arte su cui investire in nuovi progetti invece che sfruttarla solamente per le sue bellezze. Non si può vivere di rendita all’infinito senza costruire quel valore aggiunto così indispensabile allo sviluppo futuro. È questo il tema che dovrebbe essere messo al centro nei prossimi Consigli comunali: valorizzare e promuovere Arte e Cultura, al pari dell’ambiente e del sociale.
Spesso non si riesce ad associare il concetto di Cultura con quello di Economia. Ma osservando attentamente ci si rende conto che sono strettamente collegati. Lo dice l’Union-camere, ovvero l'Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura: “Complessivamente per ogni euro di valore aggiunto prodotto dalle attività culturali e creative se ne attivano altri 1,8 in altri settori economici, come quello turistico, dei trasporti e del made in Italy, per un valore pari a 176,4 miliardi di euro. Complessivamente cultura e creatività generano, direttamente o indirettamente, valore aggiunto per circa 271,9 miliardi di euro(il 15,9% dell’economia nazionale). Se da un lato l’economia serve a sviluppare tutto ciò che accresce il nostro bene materiale, dall’altro la cultura si occupa del nostro bene spirituale, praticamente l’una è indispensabile all’altra.
Ciò che serve è la volontà di mettere in cantiere interventi mirati, alla luce di nuove politiche pubbliche che sappiano rispondere alle enormi trasformazioni sociali ed economiche del nostro tempo. In breve o si costruisce la città che vogliamo o si rischia di finire a vivere in luoghi che non ci appartengono più in un contesto, come quello attuale, dove la densità commerciale dei centri urbani è diminuita drasticamente e continuerà a diminuire con la popolazione. In particolare quella giovanile(il 19% in meno) che non riesce più a fare impresa(il 28% in meno). Desertificazione della città è un fenomeno che si traduce in impoverimento qualitativo.
Le città vivono se vivono i negozi, le imprese, la cultura, e una città senza cittadini non è più una città. La desertificazione della città è la conseguenza di un certo tipo di scelte. È una sconfitta “perché bisogna ricordare come nascono le città”. La storia delle città è la storia del commercio e della cultura che hanno accompagnato il progresso di un territorio o di un luogo lungo i secoli. Orvieto è oggi quello che è grazie al pensiero e all’opera di persone lungimiranti che ne hanno favorito la crescita. Questo è il modello di città che tutti ci invidiano; la città “uscio e bottega” che col tempo ha visto diminuire notevolmente i servizi e aumentare i costi. Invertire la tendenza per una rigenerazione urbana in grado di “rivitalizzare le città” e di “cambiare il futuro”.
Insomma un vero e proprio “laboratorio del cambiamento” per migliorare i centri urbani e strapparli alla decadenza e al degrado progressivo. La ricetta si chiama:
1) strategia territoriale per aree tematiche,
2) tavoli di progettazione guidati da euro-progettisti,
3) capacità delle strutture amministrative coinvolte di intercettare e capitalizzare i fondi europei messi a disposizione dalla nuova programmazione 2021-2027.
In ogni caso da qualche parte bisogna iniziare. Occorrerebbe un ‘Osservatorio del territorio’, come sta accadendo già da tempo in molti territori italiani, per monitorare l’andamento della città, delle imprese, del commercio, delle attività legate al turismo, della salute e del benessere, delle politiche giovanili; ma anche un ‘Centro di sviluppo’ per l’innovazione e la ricerca di finanziamenti europei da investire in progettualità culturali, turistiche, urbane, ambientali, artigianali, teatrali, e così via.
Una città come Orvieto ha l’obbligo di reagire al processo d’invecchiamento e desertificazione, di “riaccendere” i centri urbani, di formare e informare, di conoscere per investire costruendo finalmente un ponte fra l’Umbria e l’Europa. Nessuna città può svilupparsi senza attrarre nuovi investimenti, maggiormente in un contesto dove le risorse comunali non sono neanche sufficienti a garantire i servizi essenziali per tutti i cittadini.…e siamo appena all’inizio! Un luogo comune da sfatare è che nella realtà - scriveva tempo fa un quotidiano locale - non c’è l’Umbria “isola verde e felice”, ma una regione molto problematica e per certi versi arretrata che attende di essere presa in considerazione, di ricevere più attenzione e soprattutto di vedere soluzioni: non si può costruire una casa senza mattoni, e non si possono fare mattoni senza argilla.