economia

Donne e lavoro: un tema che riguarda l'intera società

venerdì 6 marzo 2009
di Maria Rita Paggio, Segretaria Camera del Lavoro di Orvieto

Le donne portano su di sé il peso di più ruoli: quello in seno alla famiglia, quello lavorativo, quello della cura, della salute degli anziani, dei bambini, delle relazioni parentali. Il tutto con competenze organizzative straordinarie, apprese sul campo per svolgere contemporaneamente il lavoro di cura, di relazione e quello professionale.
Le donne, nel corso degli anni, si sono ritagliate molti spazi nel mondo del lavoro, grazie alla loro professionalità ed alla loro adattabilità alle mutevoli condizioni del mercato. Tranne casi sporadici, si può affermare che le donne si trovano in ogni settore professionale, anche se in misura più o meno consistente.

Questo però, non ci deve trarre in inganno, infatti, sebbene le donne ottengano un posto di lavoro, in genere si tratta di un'occupazione di basso rango: un lavoro spesso noioso e ripetitivo, con uno scarso livello di responsabilità. Lo scatto professionale, di solito, è riservato ai colleghi. Nei centri decisionali, continuano a prevalere nettamente gli uomini, nonostante la scelta possa essere effettuata anche nei confronti di una donna.

Lo scatto di carriera, inoltre, è spesso ostacolato (per le mamme lavoratrici) dal periodo di assenza dal posto di lavoro, dovuto alla "maternità". Il sole 24 Ore di alcuni giorni fa riportava i dati di una ricerca condotta sui dati delle casse di previdenza degli ordini professionali dai quali risulta che pur essendo cresciuta in maniera consistente la presenza numerica delle professioniste iscritte, il divario retributivo tra uomini e donne è altissimo attestandosi oltre il 40%, ciò a causa del lavoro di cura che grava anche su queste lavoratrici ma anche per una "segregazione di genere", per cui si creano delle specializzazioni di genere che non rispecchiano attitudini personali ma il pregiudizio secondo cui la donna è più portata per alcuni settori per cui ad esempio tra gli avvocati le donne sono difficilmente delle penaliste o specialiste in diritto societario (settori in cui si guadagna molto) mentre più spesso si occupano di diritto di famiglia .Tra le manager, ancora molto poche, lo scarto retributivo è minore ma il 43% di loro non ha figli pagando così un prezzo in termini personali che gli uomini non conoscono.

Stesso discorso vale per le donne lavoratrici dipendenti, che se dai contratti sono tutelate circa la parità retributiva di fatto spesso non lo sono nella realtà, ad esempio le donne che in un periodo della loro vita lavorativa e per ragioni molteplici, hanno scelto il "part time,, tornando all'impiego "full time" sono spesso considerato impiegate di "serie B", e pertanto non hanno la possibilità di aspirare ad una posizione di maggiore responsabilità.

Un altro grande problema è rappresentato dall'accesso ai corsi di formazione aziendale, spesso indispensabili, per acquisire la competenza necessaria, per ottenere la tanto desiderata "promozione". Gli orari dei corsi spesso, infatti, non rientrano nell'orario lavorativo. Le donne che hanno una famiglia a carico non possono permettersi, nella maggior parte dei casi, di protrarre troppo a lungo la loro lontananza da casa e pertanto devono rinunciarvi. Oppure, i corsi di perfezionamento professionale sono di frequente riservati a categorie di lavoratori che già occupano una posizione di responsabilità. In questo modo, quindi, le donne (e gli uomini) che non ricoprono tali incarichi, non possono disporre degli strumenti necessari per conseguire i titoli necessari ad occupare una posizione di maggiore responsabilità e maggiore remunerazione. Le donne, tuttavia, danno un gran peso alla formazione. Da una recente ricerca della CGIL, è emerso che i giovani (ed in particolar modo le giovani) sarebbero disposti a rinunciare ad una parte del loro stipendio in cambio di un corso di formazione all'interno dell'azienda in cui lavorano.

Ma il lavoro di cura e quindi i carchi famigliari costituisco uno degli ostacoli più insormontabili per una donna che lavora. I tempi del lavoro moderno ed i tempi della famiglia non coincidono. La cura dei figli, degli anziani e della famiglia in generale è affidata e delegata interamente alla donna anche lavoratrice, che deve riuscire a conciliare i propri impegni professionali con quelli familiari, a scapito del suo rendimento e del suo tempo libero. Questo implica che una donna con famiglia potrebbe assentarsi più spesso dal luogo di lavoro rispetto ai propri colleghi, per accudire un figlio malato, o per accompagnarlo dal medico. Ciò influisce sulla disponibilità della lavoratrice, che non può, per ovvie ragioni, dedicarsi "anima e corpo" al proprio lavoro. Ciò costituisce una discriminante per i datori di lavoro, sia al momento dell'assunzione (non è raro che durante un colloquio di lavoro venga richiesto alla candidata se ha figli o se intende averne), sia al momento della promozione.

Non a caso una delle esigenze più sentite dalle lavoratrici riguarda la diversa organizzazione del lavoro sulla base dei tempi femminili, che richiedono una maggiore elasticità in virtù del lavoro di cura che le donne effettuano all'interno della società. A proposito di questo non posso sottacere un fatto grave come quello delle dimissioni in bianco, che colpisce in modo particolare le donne, e che era stato faticosamente superato con il precedente governo attraverso una norma specifica che invece è stata cancellata come uno dei primi atti del governo in carica.

I mutamenti demografici, la necessaria crescita dell'occupazione femminile in presenza del calo delle nascite, pongono le nazioni europee di fronte a un urgente problema: come garantire e rinnovare il patto fra i sessi? Il modello familiare che si sta sviluppando in Europa è centrato su uomini e donne impegnati nella professione che, equiparati nei diritti, si dividono gli obblighi lavorativi, formativi e familiari. Le direttive europee sull'occupazione puntano come traguardo per il 2010 su una quota occupazionale generale del 70%, per le donne del 60%, valutando tali grandezze quali fondamentali a garantire gli standard di vita attuale e il finanziamento dei sistemi di welfare. Ma la partecipazione al lavoro più ampia e più lunga di uomini e donne sono possibili solo in presenza di una organizzazione del lavoro più flessibile, in cui il lavoro retribuito possa essere compatibile con il lavoro di cura non retribuito.

Questa grande sfida implica da un lato una ripartizione paritaria tra uomini e donne dei carichi di lavoro - pagato e non pagato - e la trasformazione del sistema dei servizi: a Lisbona la stessa Unione Europea aveva infatti messo in relazione l'obiettivo sull'occupazione femminile con quello dell'aumento dei servizi per la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura, fissando al 33% la percentuale di copertura dei servizi di asilo nido sul totale dei nati.

La Ue, varando la nuova strategia di intervento, ha indicato quali temi cruciali: indipendenza economica, conciliazione fra lavoro e famiglia, lotta alla violenza, partecipazione nelle decisioni politiche ed economiche.
Non ci vuole molto ad affermate che la situazione risulta essere molto difficile in Italia, dove tutte le indagini ci confermano un forte rallentamento nella crescita dell'occupazione femminile e un "clima sfavorevole" alla maternità e alla paternità.

La gravidanza è ancora troppo spesso motivo di licenziamento o di dimissione da parte della donna e le cause di questo clima sfavorevole sono riassumibili in alcuni punti: divisione dei ruoli ancora rigida, uomini troppo concentrati sul lavoro e troppo poco in casa. Tra i fattori, incide anche la carenza di servizi sociali, nonostante l'aumento dei bambini che vanno al nido. La maternità è considerata un 'lusso' più che un diritto: varie indagini hanno confermato il desiderio delle donne italiane di avere più figli di quanti effettivamente ne abbiano, e questa distanza tra genitorialità desiderata ed effettiva aumenta per le disoccupate e le persone in possesso di contratto di collaborazione. Oltre agli ampi carichi di lavoro retribuito c'è anche la stanchezza come motivo del non raggiungimento del numero desiderato di figli. Infatti permane il sostanziale squilibrio nella distribuzione del lavoro non retribuito (lavoro domestico, di assistenza e cura familiare, bambini, anziani, ecc.): le donne lavorano in media 18 ore a settimana in più a casa degli uomini.

Occorre dunque una assunzione di responsabilità da parte della società intera rispetto al tema delle pari opportunità. Occorre una vera e propria rivoluzione culturale, che passi anche attraverso il trasferimento di buone prassi e attraverso incentivi alle imprese che vogliano darsi un marchio di qualità sociale riferito anche al rispetto delle pari opportunità sul lavoro. La condizione delle lavoratrici, infatti, non è un tema ‘da donne' con tutto il carico di segregazione e marginalità che l'uso di questo termine comporta, ma viceversa è questione portante per lo sviluppo economico e sociale del Paese ed anche del nostro territorio.

Le politiche di conciliazione devono diventare una priorità nell'agenda politica degli enti locali attraverso vari interventi, che vanno dall'offerta dei servizi alla promozione di trasformazioni culturali circa i ruoli nei compiti di cura all'interno delle famiglie e alla promozione di trasformazioni organizzative delle imprese. Molto spesso per le imprese affrontare i temi della conciliazione può essere un vantaggio, anche in termini di minori costi e maggiore produttività. Infatti un posto di lavoro poco compatibile con le esigenze familiari determina maggiore assenteismo, turn-over del personale più frequente e, in generale, un clima lavorativo meno sereno e motivato. Senza considerare che una impresa che offre tempi e modalità di lavoro più conciliabili impatta meno sul proprio tessuto sociale: contribuisce cioè a ridurre il ricorso a servizi pubblici.

Alcuni strumenti esistono ma spesso sono poco noti e le imprese, anche se sollecitate dal sindacato, faticano a farvi ricorso, ad esempio la Legge 125 finanzia o rimborsa le spese sostenute per azioni positive svolte da imprese, enti di formazione, associazioni, etc.

Sulla base di Accordi Sindacali, sono possibili modalità di flessibilità che tengano conto di:

- orario lavorativo combinato con la chiusura delle scuole e degli asili;

- flessibilità in entrata (ad esclusione di alcune mansioni legate alle specifi cità dei turni del processo lavorativo), con opportunità di recupero fino ad un mese o, in alternativa, di deduzione dalla retribuzione;

- disponibilità periodica a straordinario delle dipendenti per fronteggiare eventuali innalzamenti della produzione, con recupero entro lo stesso mese con giorni di riposo compensativo o accorpamento con le ferie;

- molte altre cose ancora.

 

Ad esempio realizzare un unico punto di riferimento, dove reperire velocemente tutte le informazioni sulle opportunità offerte dal territorio per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro potrebbe essere una proposta concreta anche per il nostro territorio, impegnandosi nel creare tavoli di scambio e di riflessione sulle politiche di conciliazione al fine di concretizzarle con politiche efficaci in termini di miglioramento della qualità della vita di donne e uomini e al fine di ricordarne la priorità nelle politiche per lo sviluppo economico e sociale.

Nella nostra regione, come nel Centro Italia, negli ultimi anni l'occupazione è complessivamente cresciuta in termini numerici anche se spesso a scapito della qualità, sono aumentati infatti i contratti a tempo determinato e le collaborazioni, ma se si disaggregano i dati per genere anche nella provincia di Terni l'occupazione femminile è quella che cresce meno ed è generalmente impiegata nel settore dei servizi e nel manifatturiero.

Anche ad Orvieto nell'ultimo anno c'è stata una ripresa dell'occupazione femminile nel manifatturiero soprattutto tessile ma non ha, da sola, recuperato il gap occupazionale che continua a persistere. Permane anche da noi una condizione dell'occupazione femminile che stenta a crescere soprattutto in termini di opportunità di lavoro a tempo indeterminato e con qualifiche e remunerazioni paragonabili a quelle maschili.
Anche per questa ragione il fenomeno del pendolarismo, soprattutto verso la capitale, coinvolge molte donne che, spesso costrette a fare questa scelta, vedono fortemente compromessa la loro qualità di vita e quella delle loro famiglie.

Per cercare di rispondere almeno in parte a questa condizione di particolare disagio delle lavoratrici del territorio, tra le priorità indicherei:

- l'ampliamento della rete degli asili nido sul territorio comprensoriale, anche aziendali ma aperti al territorio facendo ricorso ai fondi anche recentemente stanziati a livello regionale prevedendo una fascia di apertura più ampia dell'attuale orario 8,00 -16;00;

- la realizzazione di diurni per anziani, peraltro già previsti nel piano di zona appena scaduto, sul modello del Diurno di Fabro;

 

- la contrattazione sociale in sede di bilanci di previsione perché il livello di welfare è essenziale, sia perché contribuisce alla determinazione del salario reale sia per la tipologia dei servizi che si intendono attivare;

- la redazione da parte delle istituzioni locali di bilanci di genere;

- richiedere al comune di Orvieto che nella redazione del bollettino dell'osservatorio sulla situazione economica e sociale dell'area Orvietana si studi la dinamica dell'occupazione femminile nei vari settori e la distribuzione della ricchezza prodotta, non solo il livello di reddito medio.

Certo il contesto di crisi internazionale non aiuta, anzi rischia di aggravare le condizioni materiali dei lavoratori e delle lavoratrici in particolare. La ricchezza prodotta negli ultimi anni non ha ridotto le disuguaglianze nei redditi anzi le ha ampliate per questo è necessario evitare che il peso maggiore della crisi economica e finanziaria scoppiata questo autunno cada sulle spalle dei lavoratori ed in particolare quelli più indifesi, tra i quali spesso si trovano le donne.

Per questo devono essere respinte iniziative di riforma della scuola pubblica che oltre a ridurre il diritto allo studio di fatto cancella il tempo pieno, riforme negative come quella della cancellazione delle norme contro le dimissioni in bianco che ricordavo prima, interventi sul modello contrattuale che riducono le garanzie anche retributive del contratto nazionale, interventi come quello della detassazione degli straordinari dei quali le donne, per le ragioni che ricordavo prima, non possono usufruire , per finire con la questione della unificazione dell'età pensionabile che si vuol far passare addirittura come una azione di garanzia delle pari opportunità.

Voglio qui solo ricordare che non si capisce perché, vista la vasta gamma delle azioni necessarie a garantire pari opportunità, si comincia proprio dalle pensioni, con le quali in realtà si vuole fare cassa, senza ricordare che già oggi è possibile andare in pensione dopo i 60 anni (legge di parità 903 del 1977) e che spesso le donne scelgono di andare in pensione dopo i 60 anni perché a sfavore delle donne c'è non solo un gap retributivo ma anche un gap pensionistico, a causa di un curriculum contributivo più frammentato per le ragioni che prima ricordavo. Infatti in Italia per un uomo la pensione vale mediamente il 64% dell'ultimo salario per le donne vale il 46%, tanto che oggi la condizione di povertà riguarda sempre più spesso donne anziane e sole.

Tutto sembra portare al ritorno a casa della donna, a un ruolo subalterno nel lavoro e nella società! Non dobbiamo permetterlo perché il futuro del mondo non può permetterselo!


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