e-book

Che fine ha fatto Fiammiferino? Barzini senior e la funzione creativa dell'immaginazione

venerdì 9 maggio 2008
di Maria Luisa Salvadori
“Luigi Barzini, al tempo della sua giovinezza, tra un piroscafo e l’altro durante i suoi lunghi viaggi come inviato speciale del Corriere della sera, (…) scrisse un racconto, l’unico che sia uscito dalla sua penna, “Le avventure di Fiammiferino”. Questo personaggio di legno, sottile e asciutto, con una testa che prende fuoco per un nonnulla, fu davvero una originalissima trovata ed è stato un vero peccato che dopo una simile fortunata prova, il Barzini non abbia sentito il bisogno di continuare per la via intrapresa”. Così scriveva Paul Hazard1) nel 1958. Oggi vorremmo far seguire a questa osservazione la seguente: se è vero che Le avventure di Fiammiferino2) hanno rappresentato un’opera di successo nella storia della letteratura per ragazzi, perché aggiungere al rammarico dell’opera unica il danno dell’opera dimenticata? Ricordo brevemente la trama del racconto, che “tradotto in francese e in inglese ... ha trovato in America un seguito enorme”3). Luigi Barzini, nel ruolo di giornalista in viaggio, è la voce narrante. La vicenda è ambientata in Giappone. In una giornata di noia l’autore ripete un vecchio gioco che consiste nel costruire un ometto con tre fiammiferi e qualche pezzetto di filo. Nasce Fiammiferino, un pupazzetto magro magro, sorprendentemente dotato di vita propria. Nel personaggio, infatti, vive ancora l’anima di un Haji, tipo di genio che abita negli alberi giapponesi ed ha la possibilità di rivelarsi agli uomini solo tre volte nella vita. La prima volta sceglie di farlo per salvare un principe giapponese dall’inseguimento di guerrieri nemici. Ogni anno, per il resto dei suoi giorni, il principe tornerà ai piedi dell’acero, in compagnia di soldati, servi e musicanti, per onorare il suo vincolo di riconoscenza con feste di ringraziamento. L’Haji assiste con gioia al ripetersi dell’evento che si rinnova anche dopo la morte del principe, finché vive l’ultimo dei suoi guerrieri. La seconda volta, l’Haji si rivela per cercare di salvare se stesso. Ma gli uomini, giunti per tagliare l’acero in cui vive, non ascoltano la sua intimazione e l’albero è trasformato in una miriade di fiammiferi. Il genio sopravvive in uno dei tanti stecchetti, finisce nelle mani del giornalista e a lui si rivela per l’ultima volta: diventa Fiammiferino, il migliore amico del cronista di guerra. Con lui condivide problemi e avventure di ogni giorno. La gioia di Fiammiferino è immensa quando riconosce, nel generale al comando delle truppe con cui entrambi viaggiano e nel suo comandante, rispettivamente, il principe giapponese che aveva protetto e stimato e il guerriero che per ultimo salì ad onorarlo sulla montagna. La storia si conclude con un atto eroico di Fiammiferino, che salva il generale e i suoi uomini da morte sicura. Un’imboscata li ha spinti dentro una valle, la cui unica uscita è stata minata. Vestito di un impermeabile di carta stagnola, Fiammiferino affronta sette ore di cammino sulle sue cortissime gambe. Si incendia (si uccide) per far saltare le polveri e aprire il varco. Nessuno conoscerà mai la verità. Il giornalista non avrà alcun credito quando tenterà di dare la sua versione dei fatti. Susciterà invece l’ilarità dell’ufficiale medico, che per l’ennesima volta prescrive “ghiaccio in testa”. ADULTI INCREDULI Le pagine in cui Fiammiferino sceglie di sacrificarsi in nome della vita degli altri e per la vittoria, sono indubbiamente segnate dal retaggio di un’epoca e tradiscono una nota retorica. Così il lettore di oggi, che facilmente avverte l’eroico sacrificio come un elemento estraneo al suo sistema di valori, viene preso sul piano emotivo più per la positiva affezione maturata nei confronti del simpaticissimo protagonista, che per la sostanza ideale dell’epilogo. D’altro canto, considerata la natura nobile e generosa di Fiammiferino, la soluzione finale risulta pienamente in armonia con le premesse della composizione narrativa. Il riferimento autobiografico che dà inizio alla storia è autentico e convive, ben integrato, con l’elemento fantastico: “Sappiate che in quell’epoca era scoppiata una grande guerra in Giappone e in un altro Impero, ed io ero stato mandato laggiù per vedere la guerra e descrivere quel che vedevo. Dinanzi agli avvenimenti che incalzavano, e che mettevano due grandi eserciti di fronte, io non potevo certo fermarmi a narrare le avventure del mio piccolo amico sul campo di battaglia e perciò non ho mai fatto parola di Fiammiferino nei miei scritti. I grandi sono così increduli!”4). . .. Talvolta, come in questo caso, il salto oltre l’ordine del reale sfuma in considerazioni di sapore delicatamente amaro, come appunto il rammarico per la scarsa familiarità degli adulti con la dimensione fantastica, la loro rinuncia a credere in grandezze diverse da quelle tangibili, a immaginare e sognare altre misure del vivere. Altre volte si tinge vagamente di toni surreali, prendendo la forma del gioco e persino dell’autoironia: “debbo confessarvi che più di uno dei miei lavori a quell’epoca erano dovuti interamente a Fiammiferino… (ma per carità, non lo dite a nessuno) “ 5). L’invenzione del personaggio procede attraverso elementi di caratterizzazione precisi: i problemi d’ identità, le grandi trasformazioni - da albero a fiammifero a ometto di legno -, come pure le questioni pratiche di quotidiana organizzazione, sono risolti in piena coerenza logica. Il trasferimento del genio da un grandissimo acero a uno stecco minuscolo, regge il rapporto uno a centomila perché poggia su un preciso presupposto magico-religioso: “...un Haji, prima di morire può rifugiarsi in un qualsiasi resto del suo albero”6). Come albero, l’Haji ospita nidi nelle “ascelle” dei suoi rami, scarica fremiti di paura lungo le fronde e piange lacrime di resina. Come Fiammiferino dichiara un carattere infiammabile (“se mi arrabbio potrei prendere fuoco!”7)); parla con voce percettibile solo al compagno di viaggio, che se lo tiene seduto sul colletto della camicia, appunto vicino all’orecchio; dalla sommità di quel “bastione”, del tutto simile ai muri bianchi candidi delle antiche fortezze giapponesi, sale e scende lungo una “cataratta di seta” (la cravatta del giornalista) per raggiungere, nel taschino della giacca, la minuscola scatola imbottita di ovatta che lo tiene al riparo dagli urti. La sua natura lignea lo espone a strani inconvenienti: gli capita di ubriacarsi per assorbimento, mentre giocando sul bordo di una coppa di porcellana, agita le braccia in un residuo di sakè. Naturalmente, il salvataggio consiste nel “trarlo a secco” e lasciare che si asciughi... Dopo un disgraziato acquazzone, viene invece colpito da un attacco di reumatismi, perché l’umidità ha “fatto crescere il legno e ritirare il filo delle articolazioni”8). STRAGI DI FIAMMIFERI Fiammiferino vive la sua storia a fianco di un cronista di guerra, che si muove al seguito di truppe militari. Lo sfondo è inquietante e la presenza di soldati armati, minacciosa per un essere umano, non turba minimamente l’omino di legno con la testa di fosforo. A lui, un soldato fa molta più paura se decide di fumare una sigaretta che di usare un fucile. Si tratti di un incendio o di una tirata di buon tabacco, basta un niente per fare “una strage di fiammiferi di legno”!...9) Il racconto, percorso da una moralità profonda, non pietistica, né ipocrita, trascende l’occasione della personale amicizia tra Fiammiferino e il giornalista, toccando temi di carattere universale (amicizia compresa) e di notevole attualità. Affermano Pino Boero e Carmine De Luca: “Lo scrittore, parlandoci di geni delle piante, di Haji, cui “è permesso di rivelarsi tre volte nella vita”, di occidentali che corrompono il Giappone, sa passare dall’esotismo e dal japonisme che caratterizzano la cultura europea della seconda metà dell’Ottocento, alla stupita contemplazione dei valori spirituali di un mondo diverso”10). Si coglie in maniera precisa la critica alla violenza, nella forma assurda della guerra e nelle tante forme che la guerra può assumere (“ - Una belva feroce? - Peggio! Vidi sopraggiungere un uomo”) 11) . La distruttività dell’industrializzazione selvaggia e del profitto ad ogni costo è efficacemente evocata nel concitato raccontare di Fiammiferino: “Fui spezzato in ottocentoventi parti e ogni parte venne presa fra le mascelle di ferro, ingoiata e sputata fuori ridotta in migliaia di stecchetti uguali uguali. Un esercito di stecchetti. A reggimenti per volta, essi vennero messi in un bagno soffocante, dal quale uscirono con la testa di fosforo. Alla fine furono chiusi in scatolette e le scatolette si ammonticchiarono in piramide in un immenso salone”12). E’ indubbiamente una forma moderna di guerra, a carattere autodistruttivo, quella dello sfruttamento irrazionale (senza possibilità di reintegrazione) delle risorse naturali: “ - Quei mostri che tagliano, che affettano, che spezzano, sciolgono, trasformano, mostri nuovi che una volta non esistevano - Le macchine? - Chiamali come vuoi. Sono loro i colpevoli. Essi divorano le cose più sacre e antiche per farne roba che si vende. Non rispettano più niente”13) . Quando la violenza annebbia l’intelligenza e uccide l’immaginazione, il progresso non è un vero progresso e le civiltà invecchiano. Per Fiammiferino, sintesi riuscita di elementi naturali (il legno, il fosforo, il filo di cotone) e di elementi magici (l’Haji e le sue forme di esistenza), “quando un paese invecchia perde tutte le fate, i maghi, gl’incantesimi”14). Sarà per questo che il generale in cui continua a esistere l’anima del principe suo antenato, non appare circonfuso dallo stesso alone di nobiltà che avvolge la sua precedente vita. Egli è il primo a ridere della storia dell’Haji e dell’acero che salvò il principe; non esita a relegare l’avvenimento nei confini della leggenda, tra le fantasie di “epoche ignoranti e credule”15). Accenni alla fantasia, come risorsa che consente di spingere il pensiero oltre l’immediato constatabile, tornano del resto in più punti del racconto. Dice Fiammiferino: “Io vedo quel che un uomo non può veder! Sono un fiammifero, ma sono anche un Haji”16). E’ un chiaro riferimento di Barzini al ruolo dell’immaginazione nella storia individuale e collettiva, un’intuizione autentica che il giornalista ha proiettato prima di tutto nella sua vita professionale. Siamo portati a pensare che sia proprio la professione giornalistica, modernamente intesa, a facilitare il superamento di certi steccati culturali come la rigida separazione tra ragione e fantasia o tra impegno e gioco, e letterari, come la separazione tra informazione e racconto. Barzini dimostrerà nei suoi reportage che rimanere attinenti alla realtà non significa isterilire la scrittura alla semplice elencazione dei fatti, rinunciare all’efficacia evocativo-simbolica del linguaggio o a uno stile limpido, capace di sollecitare immediatamente anche l’immaginazione. I PERIODICI PER RAGAZZI Non sono pochi i giornalisti che seguendo motivazioni e percorsi diversi, hanno guardato alla cultura dell’infanzia. Per alcuni scrivere per ragazzi è rimasto un fatto occasionale, una fuga momentanea dalla fabbrica dell’informazione. Per altri si è trasformato in una professione e un’arte. Grandi giornalisti hanno scelto di dedicarsi all’associazionismo giovanile, alla stampa periodica per ragazzi, alla creazione di storie e personaggi diventati intramontabili. Pensando agli anni tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, è impossibile non richiamare due grandi nomi: Carlo Lorenzini, ovvero Carlo Collodi (1826-1890) e Luigi Bertelli, noto come Vamba (1858-1920). Entrambi approdarono alle spiagge della cultura per l’infanzia percorrendo le strade del giornalismo. “Le avventure di Pinocchio” di Collodi, pubblicate per la prima volta in volume nel 1883 dalle edizioni Paggi, comparvero a puntate (con il titolo “La storia di un burattino”) fin dal primo numero del “Giornale per i Bambini”, il primo vero settimanale italiano per l’infanzia, nato nel 1881 come supplemento al “Fanfulla”. “Il giornalino di Gian Burrasca” di Bertelli uscì, tra il febbraio 1907 e il maggio 1908, sui numeri del “Giornalino della Domenica” (fondato dallo stesso Vamba nel 1906) prima di essere stampato in versione libro nel 1912. Anche “Le avventure di Fiammiferino”, scritte da Barzini durante il viaggio di ritorno dalla guerra russo-giapponese (1904-1905) furono pubblicate dapprima sul “Corriere dei piccoli”, poi raccolte in volume (Firenze 1909). E’ noto che “Il Corriere dei piccoli”, su cui la storia di Fiammiferino uscì per la prima volta, nasce come supplemento illustrato per ragazzi al “Corriere della sera”, il giornale a cui Barzini ha dedicato la sua straordinaria attività di inviato speciale dalla seconda metà del 1899 al 1921. Viene in evidenza che un particolare periodo della storia del giornalismo, per altro fortemente segnato dall’esigenza di allargare l’informazione a strati sociali più vasti di quelli tradizionali, si è caratterizzato per aver assunto direttamente anche l’obiettivo infanzia. Non è casuale che nascano, come appendice supplementare a quotidiani per adulti, periodici per ragazzi che hanno finito per svolgere un’importantissima e innovativa funzione culturale. Non è di secondaria importanza che tutto questo maturi negli ambienti letterari più prestigiosi e più aperti alla modernità. Non possiamo sapere se e quanto certe prossimità cronologiche possano aver contribuito a determinare percorsi e scelte personali e, del resto, non è questo che ci interessa dimostrare. Ci sembra invece importante rappresentare senza forzature interpretative i sorprendenti intrecci di una tradizione giornalistica di fine Ottocento-inizio Novecento, che si trova a fare i conti, e di fatto vuole farli, con alcune questioni molto importanti. La necessità di allargare l’informazione investe anche il mondo dell’infanzia e incrementa e qualifica la stampa periodica rivolta ai più giovani, che si arricchisce di argomenti e di storie, di personaggi talvolta destinati a diventare famosi tra bambini di più generazioni. LO SCATTO IN AVANTI L’incontro tra due mondi originariamente distanti, quello del giornalismo e quello della letteratura per l’infanzia, produrrà nel tempo positive contaminazioni nei contenuti e negli stili di scrittura. La letteratura per l’infanzia, esposta alle sollecitazioni dell’attualità si apre al quotidiano, alla concretezza, al sociale. Alla modernizzazione delle tematiche fa poi necessariamente riscontro un adeguamento del linguaggio: più semplice e diretto, più fresco e ricco di immagini. Nella storia della letteratura per l’infanzia, si compie un decisivo scatto in avanti quando l’intenzionalità pedagogica viene abbandonata in favore di un autentico anticonformismo, che investe logiche culturali e schemi narrativi. Sarà merito anche di certi scrittori-giornalisti se la letteratura per l’infanzia riuscirà gradualmente a liberarsi dalle dominanti ideologiche, dalle interferenze moralistiche, della pedanteria pedagogica. Alcuni degli autori destinati a segnare tappe innovative importanti nella storia dei libri per ragazzi sono, infatti, al tempo stesso, protagonisti di quel giornalismo moderno che nell’abbandonare progressivamente la nuda informazione, rifiuta di rifugiarsi in compiacimenti dotti e/o retorici, per evolvere invece verso l’arte di raccontare. Il più grande giornalista-scrittore per ragazzi vicino a noi è Gianni Rodari. E’ Rodari che porta a sintesi teorica la possibilità di una piena integrazione di logica e fantasia, dandone esemplificazione diretta nella sua produzione giornalistica e letteraria, negli articoli per “l’Unità” e “Paese sera” come nelle storie per ragazzi e nella didattica dei “giocattoli verbali”. E anche nel suo caso, il passaggio attraverso la stampa periodica per ragazzi è stato un passaggio chiave. Scrive Marcello Argilli: “Fondamentale è l’esperienza di Rodari come direttore del “Pioniere” (1950-53): per la prima volta infatti, si impegna in una riflessione professionale sul giornalismo e la scrittura letteraria per l’infanzia, e nell’elaborazione dei compiti e delle tecniche organizzative dell’Associazione pionieri d’Italia, della quale il settimanale è espressione”17). E’ sulle pagine del “Pioniere” che prende vita il personaggio di Cipollino, poi protagonista del grande “Romanzo di Cipollino” (1951), né più né meno di quanto é avvenuto per Pinocchio, per Gian Burrasca e per Fiammiferino. Dice Rodari: “Creatività è sinonimo di “pensiero divergente”, cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza. E’ “creativa” una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri trovano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti (...), che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi”18). E’ sorprendente come queste parole si prestino a descrivere sinteticamente lo stesso atteggiamento di Barzini nei confronti della vita, il suo bisogno di infrangere la consuetudine, di coltivare il gusto della scoperta entrando corpo e mente nei fatti della storia, per darne poi conto attraverso memorabili reportage. Nell’interpretare, a suo modo, il ruolo del tutto inedito dell’inviato speciale, Barzini ha esemplificato una possibile applicazione di quella che Gianni Rodari chiama “funzione creatrice dell’immaginazione”. Barzini è stato il grande precursore di un modo di fare informazione che fonde perfettamente attinenza ai fatti ed estro narrativo; egli ha dato alla sua creatività la forma della passione per il viaggio - attraverso il mondo reale e nei luoghi dell’immaginazione - e dell’arte della scrittura. Il fatto che, a un certo punto della sua vita professionale, abbia dedicato energie alla realizzazione di un’opera per ragazzi, può apparire dunque eccezionale, fuori dal genere di impegno abitualmente scelto, ma non incomprensibile, cioè estraneo a un percorso e privo di senso. La scelta di collocare le avventure di Fiammiferino in un contesto di realtà, la capacità di dosare con equilibrio lo sviluppo dell’ipotesi fantastica, lo stile compositivo sapientemente calibrato su parametri propri del giornalismo moderno - periodi piani, linguaggio facile, totale assenza di ridondanze, passaggi divertenti, soluzioni inattese, ecc. -, conferiscono alla storia un taglio narrativo fresco, in cui è dominante l’uso del discorso diretto. La levità del gioco può saldarsi con la profondità dei valori morali e l’intensità della vita interiore, senza il rischio di edificanti alterazioni moralistiche. E’ questo, forse, che già nel 1931 spinse qualcuno a sostenere che “Fiammiferino è l’anti-Giannettino dei ragazzi italiani, allo stesso modo che Pinocchio è l’anti-Cuore”19). La ricchezza di significati ideali non si trasforma in pedagogismo perché i valori permeano la storia dall’interno, andando a costituire qualità proprie del profilo interiore dei protagonisti. I personaggi agiscono, dunque, sulla spinta di convincimenti che appaiono connaturati alla loro stessa identità, senza scopo dimostrativo. Le rare volte in cui l’equilibrio delle motivazioni profonde viene inquinato da logiche esterne ad esse, i contenuti risultano inequivocabilmente datati e si registra una flessione di tono. L’esempio più eclatante è forse nel brano seguente (“Fiam” è il diminutivo che Fiammiferino puntualmente rifiuta completando la parola con la parte mancante!): “ Vedendolo così infatuato dei combattimenti, gli dissi un giorno: - Mi accorgo, caro Fiam…. - Miferino! -… che tu ami molto la guerra. - Niente affatto. Ti pare che si possa amare le uccisioni? - Ma se non pensi ad altro! - Lo credo, io. Si tratta del mio paese! Vorrei essere soldato e combattere con tutte le forze. Ti giuro che non mi importerebbe di morire. Pensa che l’avvenire della patria, per secoli e secoli, la sua prosperità, la sua grandezza, dipendono dalla vittoria! Evviva la guerra! -­­ Bravo – gli risposi. – Tu sei un buon cittadino!”20). Qui, eccezionalmente, la tanto vituperata guerra trova ragione di essere nella supposizione di una giusta causa. La tesi non corrisponde allo spirito complessivo dell’opera; il tono enfatico e la battuta finale, che introduce un giudizio di valore, suonano didascalici. LA TENTAZIONE DI UN CONFRONTO Può essere interessante osservare più da vicino il personaggio di Fiammiferino, cedendo alla tentazione di un confronto tra l’omino di Barzini, costruito con tre stecchetti di legno, e il burattino di legno più famoso nel mondo dell’infanzia, Pinocchio. Le analogie non sembrano limitarsi al fatto che entrambi i personaggi hanno fatto la loro prima comparsa su periodici per ragazzi. Li accomunano anche aspetti più propriamente riferiti alla loro natura e alle loro storie. Pinocchio e Fiammiferino nascono dalla stessa materia, in entrambi la natura lignea si sostanzia in un corpo leggero, forse per assicurare migliore aderenza a leggi che non sono meramente realistiche. Tutti e due vivono la loro dimensione fiabesca in contesti storico-ambientali reali e nella stessa epoca in cui sono stati ideati. E’ indubbio che la storia di Pinocchio sia costruita sullo sfondo dell’Italia e della Toscana di fine Ottocento. Vi sono rappresentati, in un contesto letterario ricco di trasfigurazioni fantastiche, toni ironici e situazioni grottesche, problemi come la povertà, l’analfabetismo, l’ottusità del potere e della burocrazia. Vi è rappresentato l’umorismo toscano, con la sua comicità mordace, raffinata e caustica. E’ altrettanto certo che “Le avventure di Fiammiferino”, ambientate in Giappone, sono costruite a partire da un fatto di guerra, realmente accaduto e anzi direttamente vissuto dallo stesso autore della storia, che nella fattispecie è anche protagonista delle vicende narrate. La cultura dell’Oriente trapela nell’assunto buddista della trasmigrazione delle anime, aleggia nella tipizzazione degli scenari, è richiamata più volte attraverso particolari disseminati ad arte nel testo: l’uso dell’incenso nei festeggiamenti ai piedi dell’acero, le coppe di sakè caldo che allietano la sera agli ufficiali, le colazioni a base di radici di bambù... C’è un tocco orientale nella denominazione che Fiammiferino sceglie per la sua nuova casa. Chiama “Tomba Imperiale” il portasigarette d’argento con la doratura interna in cui il giornalista decide di chiuderlo durante la notte, per impedirgli pericolose esplorazioni e risparmiarsi l’ennesima paura di perderlo irrimediabilmente. Comune natura lignea, collocazione spazio-temporale legata all’attualità, riferimento allo sfondo culturale proprio: queste sono alcune analogie tra Fiammiferino e Pinocchio. Ma le differenze tra i due personaggi sono più nette e incisive delle somiglianze. Riflettendo sulla natura del corpo di Pinocchio, Alberto Asor Rosa osserva che il nome del burattino si richiama al legno da cui è originato: “se Pinocchio vale “pinolo”, frutto della pigna che nasce dal pino...”21). Anche l’omino creato da Barzini ha origine da un albero ed è però il passaggio intermedio, la trasformazione in stecchetti con la testa coperta di fosforo, che gli vale il nome di Fiammiferino. Per Pinocchio come per Fiammiferino, l’avventura prende la forma del viaggio: Pinocchio parte alla ricerca del padre, che poi coincide con la ricerca di se stesso; Fiammiferino gira il mondo a fianco di un inviato speciale cui è legato da una profonda amicizia. Infatti, mentre Pinocchio vive per diventare se stesso, Fiammiferino è già se stesso e vive sperimentando intensamente il senso della sua identità, attraverso la forza dei sentimenti, il sapore dell’avventura, la sensibilità per dimensioni diverse. Le continue metamorfosi del monello ribelle che è in Pinocchio - legno, burattino, ciuchino... -, rispondono a una promessa e a “un progetto pedagogico di umanizzazione”22) che non appartiene alla storia di Fiammiferino. Il “prodigioso ometto” nasce già con la personalità e il carattere di un adultino; la sua identità è ben stagliata fin dall’inizio del racconto. Intelligente, intuitivo, divertente e simpatico, è capace di ironia e di originalità. Poco incline a rinunciare alle sue convinzioni, è pieno di buone idee, sa essere pratico e sognatore, sa rendersi utile e generoso, anche fino all’eccesso. E’ un amico tenero, un collaboratore e un consigliere molto schietto: sa dare informazioni, sa spiegare “le cose giapponesi”, sa leggere, detta pagine di testo giornalistico, sa essere critico sugli articoli che l’amico compone, lo rimprovera se necessario: “Come sei sciocco!”23), oppure: “Fannullone... Se non ci fossi io, che faresti?...”24). Eppure non è mai saccente e tedioso. Può raccogliere le confidenze dell’amico e, se questi lo desidera, può raccontargli delle storie quando è triste. Fiammiferino non è la cattiva coscienza del cronista, non è il suo grillo parlante, per intenderci. E’ il suo migliore amico, il suo straordinario ometto, per metà legno e per metà Haji. Fiammiferino non ha bisogno né di mangiare né di dormire. Non è preso dalle sofferenze fisiche, come fame, sete e stanchezza, che affliggono Pinocchio anche in versione burattino. D’altra parte Pinocchio, metà burattino e metà ragazzo, può giovarsi di un’esuberanza di risorse in qualche modo legata alla sua doppia natura. Sfugge a pericoli come l’accoltellamento, l’impiccagione, l’annegamento..., che risulterebbero fatali a qualsiasi essere umano; se la cava sempre, con le sue forze o per interventi magici. Fiammiferino, invece, è troppo piccolo per essere visto e sentito, è sempre in pericolo, sempre esposto a rischi. Se la cava solo perché nessuno, oltre il giornalista, è al corrente della sua esistenza. In entrambi i personaggi, il rapporto tra forza fisica e forza morale appare inversamente proporzionale. Pinocchio ha tanta capacità di sopravvivenza per quanto è facile alle tentazioni; troppo spesso è superficiale e altrettanto spesso è costretto a pentirsi dei suoi errori. Al contrario, Fiammiferino ha tanta sensibilità, generosità e coraggio, per quanto è fragile nella sua natura fisica. Per lui il fuoco significa distruzione sicura, per Pinocchio è un pericolo serio a cui però si può anche rimediare, tant’è che Geppetto ricostruisce subito i piedi bruciati del burattino. Il gesto eroico di Fiammiferino è reso possibile proprio dal fatto che la testa infiammabile è il suo… tallone di Achille! La grande esplosione, salvifica per tutti gli altri, e la scintilla che pone fine all’esistenza di Fiammiferino, sono esattamente la stessa cosa. OLTRE LE BARRIERE SPAZIO-TEMPORALI Pinocchio e Fiammiferino hanno avuto, nell’editoria e presso la critica letteraria, destini a tutt’oggi sostanzialmente incomparabili. Non si può dimenticare che “Le avventure di Pinocchio” e “Le avventure di Fiammiferino” (il titolo è praticamente lo stesso!) nascono dalla fantasia di autori che seguono vocazioni del tutto eterogenee. Barzini non può essere assimilato a Collodi, e nemmeno agli altri scrittori citati, perché la sua chiamata è e rimane indiscutibilmente il giornalismo per adulti; il suo talento naturale si esprime compiutamente nel ruolo dell’inviato speciale. Fiammiferino acquista significatività nello specifico del panorama letterario per l’infanzia, nella misura in cui viene conservato al senso organico della cultura e della produzione di Barzini, protagonista del giornalismo moderno, viaggiante e non solo. Suo indiscutibile merito è stato aver decretato, nella storia del giornalismo, la fine della separatezza tra cronaca e letteratura. “Ai meriti di informatore il Barzini sapeva aggiungere quelli di scrittore: chiaro, garbato e brillante, egli diffondeva un nuovo stile che in breve tempo lo avrebbe reso popolarissimo fra i lettori. In quegli anni, infatti, i servizi telegrafici dei giornali italiani non erano che brevi dispacci di poche righe, stampati l’uno sull’altro in colonna, senza rilievo, o altrimenti le informazioni venivano presentate in articoli troppo spesso lunghi e pesanti, nei quali si amava far mostra di erudizione e di bello scrivere: il Barzini sapeva narrare i fatti con immediatezza e semplicità, affidandosi alla sua capacità di buon osservatore, alla sua memoria, al contatto diretto con le persone che i fatti avevano vissuto. Il suo successo e poi la sua grande fama furono il frutto di questo suo talento giornalistico e dei mezzi che l’Albertini seppe mettergli a disposizione: furono anche dovuti al fatto che il Barzini si fece interprete di quei diffusi e talora ingenui desideri di avventura, di grandezza nazionale, di conoscenza di nuovi paesi, che sono caratteristici in Italia negli anni precedenti la prima guerra mondiale”25). Le tre parole, “chiaro, garbato, brillante”, qui riferite all’innovativo stile giornalistico di Barzini, definito anche il “Paganini del giornalismo”26), si addicono perfettamente all’impianto narrativo/letterario delle “Avventure di Fiammiferino”. Quell’anima di cronista cui pure si fa riferimento, vive nella trama del racconto una stagione di particolare freschezza immaginativa. Fanno da sfondo elementi fiabeschi della tradizione classica. L’Haji che continua a vivere nel fiammifero, è legato simbolicamente al calore e alla luce del fuoco né più né meno di quanto non lo sia il genio che vive nella Lampada di Aladino. L’acciarino magico giaceva nella profondità di un albero cavo, prima che il soldato lo traesse fuori su richiesta della vecchia strega; la loro storia affonda le radici nella grande terra né più né meno di quanto non avvenga per la storia del genio giapponese e dell’acero che lo ospita. Si è già detto di come l’incontro con il tratto giornalistico della scrittura abbia contribuito in modo sostanziale a un duplice affrancamento della letteratura per l’infanzia, liberandola progressivamente dalla sudditanza agli imperativi pedagogici e dalle tendenze preconcette che ne facevano una letteratura minore. Trattando di Barzini, non può considerarsi neutro il fatto che lo scrittore si affacci al mondo dell’infanzia dall’interno di una nuova figura professionale del giornalismo, quella dell’inviato speciale. Naturalmente dotato per la scrittura, ricco delle dosi supplementari di intuizione, tempismo e coraggio richieste dal ruolo, gli viene anche attribuita “una curiosità divorante, tale da rischiare anche la vita”27). Forse, allora, la storia di Fiammiferino rappresenta anche la trasposizione in chiave fantastica di una modalità di rapporto col mondo, giocata in parte sopra le righe. “Fiammiferino alpinista ed esploratore”28) prova un’attrazione incontrollabile per l’avventura. Le pieghe gigantesche dei vestiti che il giornalista ha distrattamente abbandonato a terra appaiono ai suoi occhi come “una montagna con mille vallate, con burroni, scoscendimenti, pianure, grotte…”29). Quel paesaggio bellissimo e sconfinato esercita su Fiammiferino un richiamo irresistibile; in questa occasione, come in tante altre contemplate nella storia, la curiosità acquista il fascino di una tentazione ed è così forte da far dimenticare ogni rischio. “L’istinto del coraggio, il gusto per l’avventura e la vita moderna parecchie migliaia di ragazzi l’han coltivato su quelle pagine, se non addirittura succhiato da lì. Per la prima volta in Italia è stata scritta una favola con riferimenti ad avvenimenti reali come la guerra russo-giapponese”30). L’incontro con altre culture, storie e costumi, richiede ampiezza di vedute e disponibilità non comuni: “In verità le mie idee europee erano piuttosto sconvolte. Che Fiammiferino avesse ragione?”31). Nello stupore di questa frase, pronunciata dal giornalista della finzione narrativa, è racchiusa la fatica di una complessità che il giornalista reale, l’inviato speciale Luigi Barzini, deve aver vissuto ogni giorno. Ci sembra carica di significato anche la lotta di Fiammiferino con la distanza. Per coprire il tragitto che lo separa dal valico minato, Fiammiferino impiega sette ore (a un uomo sarebbero bastati pochi minuti). C’è, infatti, una netta sproporzione tra lo spazio da attraversare e le sue gambe troppo corte, tra la grandezza dell’impresa e la fragilità del personaggio. Eppure, viaggiando sui canali immateriali di un diverso ordine magico, Fiammiferino ha cognizione del pericolo incombente con notevole anticipo, sia rispetto al concretizzarsi dell’evento, sia rispetto ai livelli di conoscenza che hanno gli altri. Dunque, una qualche comunicazione corre velocemente, più velocemente di quanto non possano le gambe. Dentro quest’idea è possibile rintracciare la memoria di un mito, la potenza di Mercurio con le ali ai piedi, il sogno moderno di un’informazione che supera tutte le barriere spazio-temporali. Barzini è stato tra i primi a vivere l’ebbrezza della concretizzazione del sogno attraverso la tecnologia; è suo, infatti, un uso pionieristico del telegrafo al servizio del giornalismo. Dal campo di battaglia di Mukden (1905, conflitto russo-giapponese) inviò “quattordicimila parole di un resoconto telegrafico che più tardi gli doveva valere le congratulazioni dello Stato Maggiore nipponico, omaggio all’esattezza e alla scrupolosità del suo quadro (...). Quel dispaccio, che è l’unica descrizione della battaglia giunta in Europa, è anche il più lungo telegramma giornalistico di guerra che sia stato mai messo insieme e trasmesso, e gli studenti delle Facoltà americane di giornalismo lo citano come l’esempio più clamoroso dei grandi servizi di reportage della storia”32). Mi rendo conto che, in tempi di multimedialità, trasmissione satellitare e globalizzazione dei sistemi di rete, parlare di telegrafo può sembrare archeologia della comunicazione. Ma Barzini, per primo, si è avvalso di questo strumento per trasmettere notizie anche su distanze transoceaniche. Nel 1908, quando Roosevelt ordinò “il passaggio della great fleet dall’Atlantico al Pacifico attraverso lo stretto di Magellano, ecco Barzini associarsi con Guglielmo Marconi perché l’illustrazione dell’avvenimento arrivasse in Europa a mezzo del telegrafo senza fili (...). Il dispaccio di Barzini, di duemila parole, da Anton Road Va., che descriveva la cerimonia della partenza delle navi, fu il primo telegramma di stampa che sia stato mai mandato attraverso l’Atlantico, via radio”33). Il fascino dell’evento, all’epoca, deve essere stato straordinario e profonda deve essere stata la sua eco nell’immaginario collettivo. Barzini, che del fatto giornalistico è stato protagonista diretto, ha trasposto nella magia dell’Haji qualcosa del sorprendente stravolgimento insito nel prodigio della tecnica. Spiega il giornalista del racconto che Fiammiferino, impermeabile ai progressi della scienza, nutriva “l’idea fissa che il telegrafo non fosse altro che un Haji. Per lui si trattava di un Haji, vivente nel filo di rame, che portava le ambasciate lontano. Lo chiamava appunto “il mio fratello del filo”. E ancora: “i telegrammi che mi dettava – e dovevo poi modificare di nascosto – cominciavano così: “Fratello del filo, vai a dire agli amici d’Italia che oggi, dopo quattro ore di piccoli e grossi fulmini, ecc…”. I “piccoli fulmini” sono in realtà le fucilate e i “grandi fulmini” sono le cannonate, perché Fiammiferino “credeva veramente che gli uomini fossero riusciti a scagliarsi delle folgori”34). Dopo quella di Mercurio, compare dunque anche l’ombra di Giove a compensare magicamente i vuoti della conoscenza. Fa parte della storia dell’uomo il ricorso al mito per spiegare ciò che la mente non è in grado di comprendere, un processo psichico primitivo che rivive quotidianamente nell’animismo di ogni bambino del mondo. E’ la fantasia che entra prepotentemente nella realtà, per sostenere lo sforzo della ragione verso orizzonti conoscitivi più ampi, per contenere il presente in confini rassicuranti e immaginare le forme di un futuro possibile. Scrive Barzini all’inizio del suo libro: “Voi forse vi meravigliate che un uomo di una certa età si diverta ancora a questi giochi. Sappiate che un uomo è sempre un po’ bambino quando è solo e si annoia” 35). [Pubblicato in “Il pepeverde” rivista di letture e letterature per ragazzi, edita ad Anagni, n.7/2001]
NOTE 1)P. Hazard, Uomini, ragazzi e libri, Roma, Armando Armando Editore, 1958, p. 183 2)Barzini, Le avventure di Fiammiferino, Firenze, Giunti Bemporad Marzocco, 1961 3)G. G. Napolitano, Ritorno di Luigi Barzini, in <>, Torino, 12 Novembre 1931 4) L. Barzini, cit., p. 35 5)Ibidem, p. 33 6)Ibidem, p. 28 7)Ibidem, p. 32 8)Ibidem, p. 65 9)Ibidem, p. 37 10) P. Boero, C. De Luca, La letteratura per l’infanzia, Bari, Editori Laterza, 1965, p. 132 11) L. Barzini, cit., p. 19 12) Ibidem, p. 28 13) Ibidem, p. 32 14) Ibidem, p. 9 15) Ibidem, p. 74 16) Ibidem, p. 86 17) M. Argilli, Gianni Rodari - Una biografia, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1990, p. 64 18) G. Rodari, Grammatica della fantasia, Torino, Einaudi, 1973, p.171-172 19) G. G. Napolitano, cit. 20) L. Barzini, cit. p. 61 21) Alberto Asor Rosa, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi, in Letteratura italiana. Le opere. II, dall’Ottocento al Novecento, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1965, p. 908 22) Ibidem, p. 905 23) L. Barzini, cit. p. 28 24) Ibidem, p. 34 25)P. Melograni, in Dizionario Biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1965, v. VII, p. 28 26) M. Donatelli, Io sono rimasto un orvietano, Roma, << Il tempo>>, anno XXXI, n. 286, 20 ottobre 1974 27)U. Stille, I Barzini e il <>, in I Barzini e Orvieto (a cura di Guido Barlozzetti e Alberto Satolli), Orvieto, 1987, p. 3 28)L. Barzini, cit. p. 51 29)Ibidem, p. 52 30)G.G. Napolitano, cit. 31)L. Barzini, cit. p. 72 32)G.G. Napolitano, cit. 33)Ibidem 34)L. Barzini, cit. p. 60-61 35)Ibidem, p. 6

Luigi Barzini, notizie biografiche

Nota della Redazione: Orvietonews, giornale online registrato presso il Tribunale di Orvieto (TR) nr. 94 del 14/12/2000, non è una bacheca pubblica. Pur mantenendo fede alla disponibilità e allo spirito di servizio che ci ha sempre contraddistinto risultando di gran lunga l’organo di informazione più seguito e letto del nostro territorio, la pubblicazione di comunicati politici, note stampa e altri contributi inviati alla redazione avviene a discrezione della direzione, che si riserva il diritto di selezionare e modificare i contenuti in base a criteri giornalistici e di rilevanza per i lettori.