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Le Quote Rosa. Esempio finlandese

domenica 17 giugno 2007
di Pirkko Peltonen Rognoni
Nel momento in cui molto si parla di pari rappresentanza dei sessi nel mondo politico in genere e nelle assemblee elettive, tanto che, oltre al dibattito in corso per le regole del futuro PD, l'UDI ha lanciato una raccolta di firme per avanzare la proposta di legge d'iniziativa popolare "50&50 ovunque si decide", ci sembra interessante confrontare la situazione dell'Italia, fanalino di coda in Europa quanto alla rappresentanza femminile, con quella della Finlandia, primo paese in Europa in questo senso. Ringraziamo vivamente Pirkko Peltonen Rognoni per la gentile disponibilità alla pubblicazione del suo interessante articolo, scritto nell'aprile 2007, subito dopo la formazione del nuovo governo finlandese. Di seguito il suo articolo.
Ha suscitato interesse la composizione del nuovo governo della Finlandia, dove dei 20 ministri appena nominati, 12 sono le donne. Tutte donne di alta formazione accademica e politica, poliglotte, esperte. E non confinate ai tradizionali dicasteri dell’Istruzione o degli Affari sociali: tanto per fare un esempio, è una donna anche il nuovo Ministro/la nuova Ministra/ degli Interni. E il nuovo Ministro delle Pari Opportunità, invece, un uomo. Il nutrito “esercito” delle donne al nuovo governo è un record nel mondo, ma anche in Finlandia che, però, può vantare una lunga scia di “donne al potere”, a partire dell’attuale presidente Tarja Halonen, ora al suo secondo mandato, e una donna ex-direttore della Banca di Finlandia, l’unica donna tra i sei primi direttori nominati alla Banca Centrale Europea. Il nuovo governo finlandese è di centro-destra, a dimostrazione del fatto che l’attenzione alla rappresentanza femminile, nei Paesi di lunga tradizione di emancipazione, non è legata solo ai valori del progresso tipici della sinistra. Nel parlamento appena eletto, la percentuale delle donne è del 42% (prima, il 39%). Il tutto sembrerebbe dipingere il quadro di una società dove la parità tra i sessi è perfettamente raggiunta. Come ci si è arrivati? Prima di tutto: non ci sono, in Finlandia, le quote “rosa” nella scelta delle candidature alle elezioni parlamentari; né alle elezioni amministrative. Viene soltanto “raccomandato” ai partiti di tenere conto della giusta rappresentanza dei generi. Il sistema elettorale in Finlandia è proporzionale: si vota un nome, una persona. Viene poi fatta una ‘ponderazione’ dei voti sulla base delle coalizioni (sistema elettorale detto “d’Hont”). Le quote destinate alla rappresentanza femminile (del 40%) ci sono, invece, a molti altri livelli. Vengono osservate nella composizione delle commissioni e dei gruppi di lavoro e di progettazione, delle istituzioni che esercitano potere a livello statale, locale, regionale; nei consigli d’amministrazione di imprese pubbliche ecc. Tutto ciò anche sulla base della legge per “la pari rappresentanza” promulgata 20 anni fa. Nella costituzione finlandese, ammodernata poco tempo fa, la “parità tra i sessi” viene affermata quale uno dei diritti fondamentali della Repubblica. Le donne finlandesi che, numerose, arrivano alla gestione della res pubblica (parlamento nazionale, parlamento europeo, governo) hanno dunque alle spalle una esperienza politico-amministrativa maturata a livello locale, in contatto diretto con il territorio e con i bisogni di singole comunità. Hanno anche, ovviamente, alla pari dei loro colleghi maschi, una buona educazione fornita dal sistema scolastico finlandese, interamente pubblico, e ritenuto uno dei migliori nel mondo. Creato, come altrove in Scandinavia, sotto la spinta dei socialdemocratici – una trentina d’anni fa -, sarà certamente difeso e sostenuto anche dal nuovo governo di centro-destra. Insieme al Welfare molto garantista, è uno dei pilastri davvero “bipartisan” delle società scandinave. L’emancipazione femminile nasce in Finlandia più di cento anni fa. Nel 1906, primo Paese al mondo, la Finlandia concesse il diritto di voto anche alle donne, in occasione delle prime elezioni a suffragio universale. Nel parlamento eletto nel 1906 (che allora era il Senato del Granducato della Finlandia, ancora non indipendente e parte dell’Impero russo), sui 200 eletti, 19 furono le donne, quindi il 9,5%. E furono in uguale misura le donne socialiste e le donne borghesi. L’emancipazione femminile procedette quindi per conto suo, malgrado le divergenze politiche anche aspre tra le donne socialiste e le donne borghesi. Non fecero mai una lotta “insieme”, ma per le une come per le altre, la mèta era quella della parità tra uomo e donna nella società. La prima legge “moderna” della famiglia (paragonabile a quella italiana del 1975), fu approvata in Finlandia nel 1929. La partecipazione delle donne al lavoro crebbe in maniera considerevole durante la seconda guerra mondiale (1939-1944) – perché indispensabile per sostituire gli uomini al fronte -; oggi le donne rappresentano circa il 50% della forza lavoro, il che vuol dire che praticamente ogni donna finlandese è attiva nel mondo del lavoro. Come altrove nel mondo – come anche in Italia – rappresentano la maggioranza dei laureati. Diversamente, però, dai Paesi al di fuori della Scandinavia, hanno ormai la via aperta anche ad alti livelli della gestione della res pubblica. La ricetta finlandese è stata prima di tutto quella di garantire una rete efficace di servizi sociali che permettesse alle donne di conciliare i tempi del lavoro e i tempi della famiglia: un sistema funzionale di asili e di asili nido – tra l’altro, molto spesso privati ma sovvenzionati dai comuni -; di scuole (completamente gratuite, con inclusa anche l’educazione sportiva e artistica); di permessi parentali – di cui usufruiscono sempre di più anche i padri -; di sostegno alle famiglie – nella forma di ‘assegni famigliari’, chiamati giustamente ‘sostegno ai figli’, che sono cifre non sono soltanto simboliche, ma consistenti. Tutto ciò ha consentito alla donna finlandese di sperimentarsi anche al di fuori del “focolare”. Un tipica coppia giovane finlandese di oggi, dove lavorano tutti e due, ha in media almeno due figli. Dal punto di vista demografico, l’emancipazione della donna porta quindi un notevole vantaggio. Non va dimenticata la “laicità” della società scandinava. Ciò ha portato le donne ad uscire molto presto dai clichè tradizionali dell’ ”angelo del focolare” e del ”mammismo”. Ha fatto sì che gli uomini partecipino alla conduzione della casa e alla gestione dei figli più degli uomini di altri Paesi europei. La famiglia, in Scandinavia, non è “sacra”, né eterna; i ruoli all’interno della famiglia sono liberi, fluidi. Ne derivano però anche altre conseguenze: sono sempre più le madri “single”; sono sempre più le “coppie di fatto”; sono sempre più i divorzi. Nella sua conclamata “laicità” la società concorre nella soluzione di situazioni anche dolorose: con i sussidi alle madri single e divorziate con figli. Il problema tanto agitato in Italia delle “coppie di fatto” in Scandinavia non esiste: sono da molto tempo paragonate alle coppie sposate. Tranquillamente, senza crociate di alcun tipo. Nel “paradiso dell’uguaglianza raggiunta” rimangono però aperti gli stessi problemi delle donne di tutti i Paesi. Malgrado le presidenti e le ministre, è soprattutto la popolazione femminile, anche in Finlandia, a formare il “nuovo proletariato” del lavoro precario, del livello salariale più basso. Resta da vedere se la massiccia iniezione di “donne al potere” potrà sanare la “disuguaglianza” ancora esistente nel Paese dell’eguaglianza. Nella situazione italiana, caratterizzata da un grave ritardo nella promozione delle donne, sarà probabilmente necessario stabilire le “quote rosa” anche nelle elezioni parlamentari, almeno come misura transitoria. 05.05.07 Pirkko Peltonen Rognoni

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