Demolire il pensiero "L'inferiorità mentale della donna" grazie a una Veronica Pivetti in stato di grazia

Già il titolo fa intuire la volontà di sottomissione dell'altro, il considerare una persona non solo diversa ma inferiore. La donna inferiore a un uomo. Perché? Una domanda a cui prova a rispondere Veronica Pivetti con lo spettacolo “L’inferiorità mentale della donna”, in scena nel pomeriggio di domenica 13 aprile al Teatro Mancinelli di Orvieto. Questa convinzione si perde nel corso del tempo, ma l’attrice milanese di fiction, film e con molto teatro alle spalle, prende in considerazione tesi e testi del 1900. E purtroppo, di materiale ve n’è davvero molto. Addirittura eccessivo.
Lo spettacolo prende spunto dal breve trattato di Paul Julius Moebius dal titolo "L’inferiorità mentale della donna” scritto nel 1900 dal medico tedesco, all’epoca assistente nella sezione di neurologia di Lipsia. Sul palcoscenico una Veronica Pivetti straordinaria veste la parte dell'assistente del medico tedesco, tal Aura D'antan, l'unica persona inventata nel testo scritto dall'autrice Giovanna Gra, e con una sottile e profondissima ironia racconta e smonta pezzo per pezzo le teorie secondo le quali la donna è sempre 'qualcosa' meno rispetto all'uomo. Grazie a una mimica facciale eccellente, sguardo che racconta più di mille parole, sorriso che si trasforma ora in ghigno ora in dileggio.
"La deficienza mentale della donna non solo esiste ma è necessaria." è una delle tante frasi riportate nel libro. Da quelle pagine parte la lunga riflessione dell’attrice, che recita, danza, canta con un'intensità tale da raggiungere immediatamente il pubblico che resta incantato ad ascoltarla, che sorride con lei, che si commuove.
Una Veronica Pivetti in stato di grazia accompagnata da un eccellente Anselmo Luisi, musicista trentacinquenne che fin da subito appare molto più di un musicista. Un mimo, un percussionista, un attore parte integrante dello spettacolo. Veronica Pivetti è brillante, ironica, severa nell'esporre le teorie che certificano la 'presunta' inferiorità, la considerazione che le donne siano 'fisiologicamente deficienti'. Da una frase a un pensiero. Da una parola a una certezza. Da un’affermazione a una domanda.
Alterna narrazione e canto, si immerge nel personaggio che interpreta ma ne prende le distanze con fare sagace. Canta, anzi interpreta in modo magistrale per l'intensità e l'emozione che ci mette, alcune canzoni italiane di successo in cui è sottile ma evidente come il testo rappresenti la donna in modo stereotipato. Il musicista Luisi, al contrario, non pronuncia una parola ma regala la voce ai propri strumenti, un numero infinito, offrendo un ritmo fondamentale per il testo. Con il proprio costume di scena, la mimica e il movimento del fisico, regala inoltre ancora più emozione e commozione.
Il tempo sul palcoscenico è scandito dal testo del medico tedesco di centoventicinque anni fa, dagli scritti di Cesare Lombroso e da un'incursione a inizio 1800 citando il "Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere" di Sylvain Maréchal che, oltre a essere assurdo di per sé, lo è ancor di più perché nato da una delle menti più aperte e libere di quel periodo, precursore del comunismo, distintosi proprio durante la Rivoluzione Francese per l'idea di liberare l'essere umano da qualsiasi schiavitù. Eppure… eppure quando si tratta di donne, anche per Maréchal è 'necessario' distinguerle, non ritenendole degne di istruzione.
Concetto, quello della deficienza delle donne, che troppo spesso risulta attualissimo. La considerazione, o per meglio dire proprio la 'non considerazione' della donna, il ritenerla inferiore, ha portato non solo a limitarne gli studi e gli ambiti lavorativi, i riconoscimenti e troppo spesso la libertà, ma ha aperto la porta alla giustificazione della violenza su di esse. Ed ecco che dalla valigia aperta da Luisi esce una lunghissima striscia di stoffa che rappresenta le tante sentenze giudiziarie degli ultimi anni in cui sono contenute alcune frasi che giustificano violenze, fisiche e verbali. Sentenze che sono l'esempio eclatante di questo stereotipo.
Quelle parole, nere su bianco, sembrano condanne senza fine non solo per le donne direttamente interessate, ma per tutte. La voce intensa di Veronica Pivetti è una coltellata al cuore di ciascun presente. "Portava jeans invitanti", "Indossava mutandine rosse provocanti", "Non ha esplicitamente detto di no" A quelle parole cala un silenzio assoluto tra il pubblico del Mancinelli, indignato e commosso, colpito e amareggiato. La negazione della violenza, il renderla meno grave in virtù delle circostanze da additare ovviamente alla donna, è forse peggiore della violenza stessa. La terribile consapevolezza che dal 1900 del dottor Paul Julius Moebius a oggi per molti nulla è cambiato nel modo di considerare le donne.
A quel punto esce di scena Aura D'antan e, quando torna, Veronica Pivetti lascia di nuovo il pubblico senza fiato cantando lo straordinario testo di Leonard Cohen, I'm Your Man. Poiché biologicamente, fin dalla nascita, la donna non possiede le stesse doti neurologiche e biologiche dell’uomo, è da considerarsi un essere inferiore. Lo spettacolo si basa su questo concetto talmente semplice nella sua assurdità che proprio per questo è difficile da estirpare. Di conseguenza, perché farla leggere? Perché permetterle di studiare? Perché consentirle di alzare lo sguardo anziché svolgere mansioni domestiche?
Il pubblico presente al Mancinelli, femminile ma anche maschile, sottolinea con molti applausi l’intensità del testo e l'interpretazione di Veronica Pivetti, che porta in scena con ironia questa panoramica di agghiaccianti stereotipi. La chiave vincente è infatti proprio questa, un'intelligente ironia: piuttosto che giudicare, ironizza mostrando la stupidità e l’illogicità di certe teorie.
Solo una grande attrice può parlare e far commuovere, interrogare e far riflettere su un argomento tanto delicato e difficile senza ridicolizzarlo. La potenza della recitazione, un costume di scena perfetto, l'intensità delle luci, l'utilizzo del fumo, risultano tutti elementi ottimamente coordinati da una sapiente regia e raggiungono l'eccellenza grazie alla presenza di Luisi, non solo percussionista inarrivabile ma con un'intensità fisica da perfetto 'fool shakespeariano'.
Il pubblico è uscito dal Mancinelli con nuovi elementi che non conosceva oppure gli erano noti solo superficialmente, ma anche chi era edotto in merito ai testi citati, ha elementi di riflessione, magari triste e amara, grazie a un esempio di critica delle 'teorie' profonda e intelligente. Grazie a un'intensa, brillante, simpatica Veronica Pivetti che ha quel qualcosa in più da rendere immenso lo spettacolo.

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