"Lì dove termina la notte" di Angelo Palmieri

Un raccontare e un raccontarsi, un porsi dinanzi ad una persona o ad una situazione umana, vederla, osservarla, porsi in ascolto, interrogarsi e soprattutto pensare: nasce così il libro di Angelo Palmieri “Lì dove termina la notte” (Intermedia Edizioni, 2025, pp.126) che si muove tra nostalgia, disillusione, speranza, desideri inespressi, parole essenziali nell’intreccio di narrazioni che attingono al reale.
Esso contiene acute riflessioni, frammenti di pensiero che derivano dall’incontro con storie, volti, ferite aperte della odierna società, punti di vista dell’autore pronto a sintonizzarsi con il dolore profondo, le ansie, le attese e il senso di vuoto della generazione dei giovani troppo spesso visti come viziati, inefficaci, lavativi, indolenti, latitanti, mentre invece è solo la loro fragilità a farli apparire tali. Si delineano scorci di vite spianate da percorsi sbagliati, segnate dal dolore, dettate da una inquietudine.
Angelo Palmieri, da educatore nelle comunità che si occupano di dipendenza, salute mentale e disagio giovanile, ha avuto modo di conoscere direttamente non poche vite segnate dalla fragilità e dalla marginalità. La fragilità è nella storia di Giorgio che ogni sera sosta sui binari della stazione di Orvieto, con addosso il freddo lancinante e come immerso in uno stato invisibile e in quella di Rocco che si lascia logorare dalla solitudine e dall’idea di non appartenere a nessuno.
La marginalità è nella storia di Mohamed dalla pelle scura che chiede una monetina all’angolo di un parcheggio attiguo ad un supermercato, è nel volto di Antonio che stringe la sua bottiglia di birra con la stessa disperazione con cui si aggrappa alla speranza ed è pure nel volto di Roberto che conta i morsi di un panino per sopravvivere a una busta paga ridotta all’osso per i vari pignoramenti; è nella figura di Rosita costretta ogni mattina a lavare scale e portoni per sfamare da sola i suoi quattro figli. Una umanità dolente sconosciuta ai tanti senza cuore di oggi. C’è una povertà che non si vede o troppo spesso si preferisce non vedere. Eppure, siamo nati per stare insieme. Esiste l’umano ed esiste la bellezza.
La bellezza che salverà il mondo non è nella valenza estetica di un’opera d’arte, è nel Natale sussurrato dai bambini e nella recita di Francesco che usa un linguaggio che parla al cuore, è nel recupero delle proprie radici e degli affetti vissuti dentro la famiglia, nella premura di un nonno capace di donare con discreta intensità, è nella luce che emana Penna Bianca pronto a donare lo slancio verso il desiderio e ad insegnare legami veri fatti di presenza e ascolto, è nella certezza di un cordone ombelicale mai reciso con la propria madre che non manca mai di tendere le sue braccia verso il figlio lontano.
Ogni pagina di questo libro è come una finestra aperta sul mondo dell’anima, l’anima, intesa come luogo dei pensieri e delle opinioni, delle visioni e delle sofferenze, delle paure e delle speranze degli esseri umani. Ne deriva una narrazione mai uniforme, che si intreccia di fili diversi di colore, di raggi di mondo, di tensioni e frizioni, di ricerca di suggestioni che esprimono il modo di vedere e di intendere il reale, esprimono la condizione umana e il senso della esistenza. Una creatività non del tutto astratta, ma pregna di intuizioni concrete e di moti d’animo reali. Ora è uno stato d’angoscia che si tramuta in narrazione, ora è un subcosciente di straordinaria acutezza che si risolve in storie abbacinanti, ora è un’interiorità che non sa astrarsi dal destino collettivo, ora è un dualismo di nera malinconia e ilare auto-svilimento.
Palmieri ci fa capire quale sia la realtà angosciosa che inonda il nostro tempo e ci invita a liberarci dalla rozzezza della vita moderna impastata di egoismo, carrierismo e menzogna. Non possiamo affogare nel mondo consumistico, edonistico e mediatico in cui viviamo oggi. Occorre uscire dall’epidemia dell’io, come a chiare lettere emerge da un saggio con questo titolo inserito nel suo libro. Di qui il sollecitare il bisogno urgente della corresponsabilità, l’invito a divenire uomini di frontiera nella piena convinzione che “la vita è intreccio, relazione, legame” e che l’umanesimo del dominio è un umanesimo senza futuro.
Trova riscontro immediato in quel che afferma in maniera chiara il vescovo Savino nella sua prefazione: “in un tempo in cui la cultura dominante tende a frantumare le relazioni, a dissolvere il senso del legame, riscoprire la fraternità come fondamento di una società nuova diventa un compito irrinunciabile per la civiltà dell’amore e per una democrazia compiuta”. La sfida è quella di rigenerare la solidarietà. La prospettiva del noi può essere un’ancora di salvezza. E un faro di speranza, come emerge dalla lettura di questo libro.

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