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cultura

La condanna...il giorno in cui tacque la pietà

domenica 16 febbraio 2025
di Antonella Pace

Fare luce su un caso che vive ancora di contrasti e sfumature. Provare a incasellare fatti, eventi e personaggi per cercare di comprendere, fare chiarezza e forse riuscire a decifrare anche il presente in cui viviamo, dando delle risposte a interrogativi mai sanati.

 Il fatto in questione è quello che riguarda Donato Carretta, direttore di Regina Coeli che nel settembre del 1944 viene linciato e massacrato dalla folla. Il protagonista che cercherà di approfondire dinamiche e situazioni che portarono quella mattina una moltitudine inferocita a farsi giustizia da sola è Giovanni, giornalista in erba di ventiquattro anni a cui il caposervizio della cultura del giornale per cui lavora, Sergio Fabiani gli chiede un report dettagliato sulla vicenda per aprirci la pagina della cultura da lì a qualche mese.

Ha un compito ben definito e lo deve portare a termine in una modalità precisa: ricercare fonti e fatti, muovendosi tra scaffali polverosi, libri, manuali, racconti e documenti. Deve andare a vedere con i suoi occhi, dovrà immergersi in quegli anni bui e tormentati, catapultarsi in quell’epoca in cui tutto era il contrario di tutto. Soffermarsi su particolari, aneddoti e personaggi, andando a ritroso con la memoria e i ricordi. Niente googlature, niente internet, solo il profumo delle pagine sbiadite dal tempo ma piene di storia, dense di un periodo complesso, aggrovigliato nel suo contrasto, incurvato dal dolore e dalle innumerevoli perdite.

In questo modo ricostruirà cosa accadde quella mattina del settembre del 1944 quando Donato Carretta viene linciato dall’odio e dal risentimento di un popolo che lentamente imparava di nuovo ad alzare la testa dopo che la ferocia di quegli anni l’aveva costretta a vivere a faccia a terra e quando per anni l’odore, il profumo e il colore dell’asfalto sono le uniche qualità che percepisci, nel momento in cui puoi di nuovo guardare in alto la vista può annebbiarsi e le circostanze apparire come non sono, dando il via a una escalation di odio, furore e rabbia incontrollabili.

Si poteva evitare? Poteva tutto questo essere previsto? Chi era veramente Donato Carretta? Il Libro di Veltroni cerca di dare delle risposte guardando quella Roma liberata dal Fascismo e dall’occupazione nazista, piena di livore che si agita tra rancori e strepiti.

La mattina in cui sangue e odio si mischiano inizia in una Roma che respira aria di libertà da tre mesi. Hitler è ancora al potere, Mussolini si è rifugiato al Nord. L’Italia è preda della ritirata tedesca e dell’avanzamento alleato. Roma inizia a fare i conti tra chi non c’è più e chi è rimasto. Tra chi ha collaborato per depredarla favorendo la morte di molte persone e chi si è battuto per essa. È il 18 settembre quando una folla si avvicina al Palazzo di Giustizia. Tra loro, donne, madri, mogli, di chi è stato ucciso alle Fosse Ardeatine ma anche curiosi e uomini di malaffare. Roma è piena di sole, il Tevere è affollato di gente che va a fare il bagno ma in quelle ore tutta la città è in subbuglio per il primo processo ai fascisti. Alla sbarra Pietro Caruso, accusato di collaborazionismo ma soprattutto di aver preparato le liste di coloro che verranno fucilati nelle Fosse Ardeatine.

La folla vuole la sua testa, la sua condanna ma ha paura che possa cavarsela, la fiducia è azzerata, il rancore corre a tutta velocità. Qui iniziano i problemi: la gente entra di prepotenza all’interno del Palazzo di Giustizia ma non conoscendo di preciso l’itinerario, sbaglia strada, si riversa negli uffici, il caos è quasi al limite. Per questo la decisione di rinviare il processo arriva quasi immediatamente e l’inferno è pronto a scatenarsi. La persone vengono fatte uscire ma i testimoni tra cui Carretta e le parti lese sono invitate a rimanere. La decisione accresce nel popolo l’idea che il processo invece si celebrerà ma a porte chiuse, quindi un processo farsa. La moltitudine allora fa marcia indietro, rientra nell’aula magna intenzionata a non andare via. Proprio in quel momento, si leva un dito accusatore nei confronti di un uomo : è Donato Carretta. A quel punto il corpo del direttore di Regina Coeli si sgretola per mano della folla. Viene malmenato, spinto giù per le scale, preso a calci: una maschera di sangue che il popolo voleva finire facendolo stritolare da un tram  “Facciamone salsicce” gridavano. Il conducente, però si rifiuta, sventola la tessera del partito comunista, ferma la macchina, scende concedendo a Carretta ancora qualche minuto di vita.

“Quel corpo sdrucito d’uomo è il regime, è la guerra, è la fame, è una tessera del pane, è un bombardamento a tappeto, è un gerarca, è il male”

La folla però non si arrende e il corpo ridotto già a brandelli viene gettato nel Tevere. Quel briciolo di anima che gli era rimasta dopo il tonfo, lo fa svegliare. Cerca disperatamente tra i bagnanti, tra chi ignaro di tutto quello che stava accadendo si godeva una mattinata di sole, di essere salvato ma quelle erano ore di ferocia e non di gentilezza, di oscurità e non di pietà. Carretta viene ancora bastonato con i remi di una barca ed esala l’ultimo respiro nelle acque limacciose del fiume.

Il libro di Veltroni che è un po' romanzo, un po’ documentario cerca di delineare il clima che si respirava nella Capitale in quegli anni. In una città che era stata protagonista dello sconquasso, di perdite, di scomparse, di ferite inimmaginabili. Tutti avevano perso qualcosa o qualcuno: persone care, la fiducia negli altri, nelle istituzioni, nelle persone. Tutto era in frantumi anche la ragionevolezza. La folla si era eretta a giudice, aveva emesso la propria condanna per paura che ancora una volta chi aveva fatto del male riuscisse a farla franca. Per il terrore che i crimini commessi finissero senza colpevoli si è scagliata contro chi riteneva responsabile, contro chi qualcuno aveva puntato il dito, senza pensare, senza provare pena, senza sentire minimamente il dolore che infliggevano. Perché non bastava cacciare i tedeschi, bisognava ricostruire una città e un popolo.

Un romanzo che parla di una professione giornalistica vista come ormai sbiadita tra le arterie della tecnologia ma che conserva un grande fascino quando la si vive tra documenti, di persona e ci si perde tra carte, storie, percorsi a ritroso, pezzi di vita vissuta e pagine e pagine divorate dalla curiosità e dalla sete di conoscenza. Dall’altro lato troviamo un romanzo che cerca di spiegare cosa portò una moltitudine inferocita a massacrare un uomo ma non ci si limita a definire colpevoli e innocenti ma a tratteggiare i contorni di un momento storico spietato caratterizzato da chiaroscuri e sfumature.

TITOLO: La condanna

AUTORE: Walter Veltroni

CASA EDITRICE: Rizzoli 

PAGINE:  214

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