La musica di Rino Gaetano conquista il Mancinelli, il nipote Alessandro: "Di lui ricordo momenti affettuosi, scherzosi e spensierati"
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Rino Gaetano ha emozionato ancora una volta il suo pubblico con la sua musica. Un’eredità indimenticata da chi, prima di quel tragico 2 giugno 1981, lo seguiva in quegli anni romani ma anche da chi, per motivi anagrafici, negli anni ’70 non ha avuto l’opportunità di conoscerlo e confrontarsi con le sue note e parole, con i suoi pensieri e la sua ironia. Uno strumento efficace, quest’ultimo, per regalare un’apparente leggerezza ad un’arte complessa. La sua produzione artistica.
A permettere di rivivere queste pagine della canzone italiana al Teatro Mancinelli di Orvieto, questo fiume di note e parole appunto, sabato 8 febbraio è stato suo nipote, Alessandro Gaetano, con gli altri musicisti della Rino Gaetano Band (Ivan Almadori, Marco Rovinelli, Alberto Lombardi, Michele Amadori e Fabio Fraschini). Una squadra affiatata, sul palco entusiasticamente complice nell’esibizione e nel coinvolgere il pubblico, per far riaffiorare ricordi, tanti ricordi che in un attimo dalla musica sono diventati parole.
Quelle che il nipote ha riservato - dopo due ore di spettacolo che hanno assunto la brillantezza di variopinte pennellate di una festa e avere fatto muovere a tempo di musica gli spettatori in platea, sui palchetti sino al loggione seguendo brani come “Ma il cielo è sempre più blu” e “Gianna” ma anche tanti altri - a chi si è fermato nel foyer per condividere un ricordo dello zio, fare una foto con lui. E anche i piccoli fans per una sera hanno fatto tardi per conquistare un autografo di Alessandro Gaetano.
Alessandro Gaetano, che ricordi ha di suo zio?
Rino era una persona molto presente, uno zio dolce, divertente e scherzoso. Non si prendeva mai troppo sul serio. Ci teneva molto a creare momenti spensierati. Sapeva come sorprendermi, con regalini, passeggiate e merende e con lui era sempre una festa. Amava l’arte a 360 gradi, sviluppava da solo le sue foto. Una volta aprii per sbaglio la porta della piccola camera oscura nel bagno della sua villetta, che non ha mai definitivamente abitato. Viaggiava moltissimo e seguiva il cinema. Sono cresciuto tra i suoi libri, vhs e chitarre.
Secondo lei, dopo tutti questi anni che eredità ha lasciato suo zio al pubblico?
Lo abbiamo visto anche stasera. È un messaggio di rabbia condivisa per quello che accade attorno a noi e purtroppo ancora attuale ma anche e soprattutto di speranza e per ogni tipo di pubblico. Rino cita coraggiosamente personaggi del nostro Paese, trattando temi impegnativi come l’emarginazione e l’emancipazione femminile, cliché e luoghi comuni che con motivi e suoni trascinanti, rendono possibile da oltre quarant’anni ascoltarlo per pensare e divertirsi allo stesso tempo.
Quindi una band per riproporre la sua musica…
Mia madre Anna (la sorella di Rino, ndr) ha tenuto tanto che la musica vivesse oltre il fratello. E ci è riuscita. Dal 1999 ad oggi eccomi qua con questo progetto a condividere il palco con artisti e colleghi meravigliosi per rappresentare mio zio e restituirlo un po’ al pubblico.
Immagino che le persone vedendola esibire ricerchino in lei qualcosa di Rino. In cosa sente di assomigliargli?
Musicalmente, anche se non ho la voce roca di Rino, da lui ho preso la tonalità alta e il senso del ritmo. Io non mi sento di assomigliargli. Anzi, ho sempre fatto di tutto per non emularlo. Più mi dicono che gli assomiglio (compresa mia madre), più mi pettino diversamente (Ride ndr).
Ed eccoci alla domanda che ormai è diventata un po’ una consuetudine fare a voi artisti dopo che vi siete esibiti qui ad Orvieto. Cosa è per lei l’amore?
L’amore è un sentimento da vivere a 360 gradi. Nella musica, nel rispettare il pubblico di Rino per cui suono, nelle amicizie, in famiglia, nell’osservare il cielo e ovviamente con la mia donna.
Visto quello che è appena andato in scena possiamo dire anche quello verso suo zio?
Assolutamente. È un gesto d’amore e un dovere morale, da portare avanti a spada tratta e sempre con rispetto ed emozione profonda.
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