"Qui resteremo, fotografie da Gaza e Cisgiordania" in mostra a Palazzo della Corgna
Da sabato 1° a domenica 9 febbraio nella Sala delle Muse di Palazzo della Corgna, a Città della Pieve è ospitata la mostra "Qui resteremo, fotografie da Gaza e Cisgiordania" accompagnata dalla ristampa di Kufia, matite italiane per la Palestina del 1988, che verrà inaugurata alle 17 alla presenza di Ali Rashid, primo segretario dell’Ambasciata palestinese in Italia. L’appuntamento è stato organizzato da ArciNote, UmbriaLeft.it, Associazione Donne La Rosa di Città della Pieve e Articolo21 Orvieto Presidio Giulio Regeni.
La mostra, curata dall’Associazione gaza_fuorifuoco_palestina in collaborazione con Cgil Toscana e Gaza, Palestina Fuorifuoco, raccoglie 40 immagini di Abdul Akim Khaled Abu Rayash, Issam Rimawi, Muhannad Abdulwahab, Mahmoud Elyan, Mahmoud Illean, Mohamad Al Baba, Omar Abu Nada, Musa Al-Shaer, Wala Hatem Sabry, Hashem Zimmo (e di altri fotografi palestinesi) seguite da immagini di Isabella Balena, Massimo Berruti,Antonio Biasiucci, Francesco Cito, Patrizio Esposito, Oreste Lanzetta e Alessio Romenzi.
Le tavole di Kufia sono opera di Igort, Andrea Pazienza e Marina Comandini, Guido Crepax, Sliman Mansour, Giuseppe Palumbo, José Muñoz, Daniele Scandola, Massimo Giacon, Magnus, Milo Manara, Lorenzo Mattotti, Oreste Zevola, Arnon Ben-David, David Reeb, Taleb Dweik, Tayseer Barakat, Nabil Hanani, Vauro, Altan, Vincino, e furono edite dal Comitato Bir-Zeit, l’Alfabeto urbano e Cuen.
I testi sono di Stefano Benni e Guido Piccoli. La stampa delle fotografie in mostra è stata eseguita da Fineart Lab di Luigi Fedullo, Napoli, il montaggio della sequenza video è stata realizzata da Cyop&Kaf, ogni altro allestimento è stato curato dall’Associazione gaza_fuorifuoco_palestina.
"In assiduo contatto con fotografi e giornalisti palestinesi - spiegano - abbiamo iniziato a raccogliere la moltitudine di immagini che vengono dai territori rasi al suolo da Israele. Chi scatta fotografie nei luoghi della devastazione è considerato un testimone scomodo, un occhio disobbediente alla cecità, quindi da eliminare: oltre duecento sono stati finora i fotografi e giornalisti cercati e uccisi in un anno (diciannove nei trent’anni precedenti), oltre centottanta sono stati incarcerati, di alcuni non si conosce la destinazione (l’accusa è «violazione della libertà di parola e incitamento al terrorismo»). Da tredici mesi «alla stampa internazionale è vietato mettere piede a Gaza», se non sotto il controllo dell’Idf.
Ogni immagine porta con sé il rischio di essere un ultimo documento, e di essere costato una vita. Custodire un’immagine sull’altra, diffonderla perché sia vista e commentata, a smentire quotidianamente il racconto univoco dei media militarizzati, è tra i nostri impegni. Mentre mostra il dolore del singolo e della comunità a cui appartiene, mentre registra il silenzio dei corpi inanimati, di case, tende, scuole e ospedali abbattuti, la fotografia presa sul campo rivela la realtà censurata o riformulata dagli apparati strategico-informativi di Tel Aviv.
Un archivio vivente, cioè riluttante alla polvere e all’impotenza, può far inciampare la disinformazione imperante facendosi luogo d’azione, comportandosi da raccolta documentale outsider, estranea e disinteressata alla norma, similmente al «ruolo pubblico che l’intellettuale in quanto outsider, ‘dilettante’ e contestatore dello status quo, deve avere» – scrive E. W. Said – chi cerca la verità».
La fotografia da Gaza non bada esclusivamente al futuro, guarda prepotentemente all’oggi, all’urgenza di dire subito, qui ed ora, cosa succede, ponendosi come errore del fotogiornalismo fondato su canoni che non contemplano durata ma sparizione. Il persistere di Gaza, la necessità intrinseca di durare nei nostri occhi e di far muovere le nostre mani, riesce perché fa proprio il principio di inesattezza, di inadeguato al racconto imperiale che reputa inutile, quindi sacrificabile, l’esistenza palestinese e dei suoi sostenitori. Nell’errore e nella tenacia di quel «qui resteremo» ha rifugio amichevole la resistenza allo svanire. In fotografia e nel reale, dovunque sia messa a rischio ogni singola vita dall’israelizzazione del mondo".
"Noi resteremo qui:/ come un peso sullo stomaco,/ affrontando la fame/ lottando in stracci…". (Tawfiq Zayyad)
Per ulteriori informazioni:
gazafuorifuoco@gmail.com