Standing ovation per Stefano Fresi, parte la nuova Stagione del Mancinelli
La Stagione Teatrale al Mancinelli si è aperta con "Dioggene". Unico interprete sul palco Stefano Fresi. Una serata contraddista da un attore mattatore e un pubblico attento, coinvolto e riconoscente. Interprete magnificamente intenso, Fresi ha dato vita a tre personaggi o per meglio dire tre personaggi principali che si sono interfacciati con altri fondamentali nel proseguo delle proprie vite.
Lo spettacolo si apre con la storia di un contadino toscano raccontata nell’autentica lingua volgare duecentesca (già questo gli vale un plauso extra), che le necessità della vita lo hanno trasformato in fabbro, fuggito a un padre malvagio e rimasto due anni in un bosco tanto da venir poi appellato ‘bellicapelli’ per non averli mai tagliati. In realtà si chiama Cosa, perché il padre non l’ha ritenuto neanche degno di un nome. La sua salvezza si chiama Federico Salvani, cavaliere che gli dona dignità, una professione, un futuro.
Conosce anche la passione fisica grazie alle ragazze del borgo intorno al castello, ma resta oltremodo affascinato dai libri della ricchissima biblioteca della moglie del cavaliere, Donna Ludovica. La battaglia di Montaperti tra Siena e Firenze del 1260 lo vede costretto ad andare in battaglia, a salvare la vita al conte Federico, a vedere uccidere il suo più grande amico per mano del padre ma anche, in un gesto di estrema difesa, a colpire mortalmente il perfido genitore. La morte, la salvezza, l’amore. Distruzione e rinascita. Ripudio e affetto. Dolore e riconoscenza. La vittoria sulla morte. L’amore di una donna e il raggiungimento del desiderio di diventare contadino si intrecciano.
Nel secondo atto l’autore del precedente, l’attore Nemesio Rea, a pochi minuti dall’andare in scena si trova coinvolto in uno scontro inaspettato e durissimo con la moglie che gli getta addosso anni di delusione, di tradimenti, di falsità, accusandolo di aver sempre recitato anche nella vita reale, affondando il colpo nell’affermare che in fondo non è un grande attore. Nemesio, accusato perfino per il nome che gli fu dato alla nascita, è sbalordito dalla veemenza e dai toni, oltre che i vocaboli, furiosi con cui la moglie lo investe. Cerca poi di reagire ma non sa come, pertanto prova a ribattere, a chiedere scusa, a cercare di capire e infine addirittura a proporre di restare uniti con la nascita di un figlio. La moglie, alzato fino all’estremo il livello delle accuse, piange e sussurra portandolo finalmente a una riflessione onesta e reale.
Il sipario si apre sul terzo e ultimo atto. L’autore della prima storia raccontata, che è anche l’attore della seconda, dopo il divorzio dalla moglie ha donato tutti i propri soldi e beni a chi “ne aveva veramente necessità” avendo raggiunto la consapevolezza che “Quando avevo tutto non avevo niente. Adesso che non ho niente, ho tutto.” e ha scelto di vivere per strada, anzi dentro un cassonetto dell’immondizia. Da lì scopre ancora di più le debolezze e le cattiverie umane, la mania di accumulare e distruggere, l’odio spesso ingiustificato, la volontà di prevaricare che porta alla disumanità e al desiderio di dominare e quindi alle guerre.
Il cerchio, iniziato con la terribile battaglia tra Siena e Firenze, si chiude. La riflessione è tragica, drammatica: tutto il mondo, da sempre, si muove per sete di possesso, per il voler schiacciare il prossimo. Proprio perché ha scelto di ‘illuminare con una lanterna l’animo umano’ come il filosofo greco Diogene, in virtù della propria romanità si chiama Dioggene, adesso Nemesio può urlare ai passanti ciò che pensa portandoli alla riflessione. Racconta del passato, della Storia, della propria esistenza superficiale.
Parla delle brutture dei sentimenti che albergano in molti essere umani, soprattutto in quelli che governano il mondo. È convinto però di non essere solo e che se ognuno a modo suo griderà le ingiustizie e le brutalità, cercando la luce della giustizia dentro al proprio cuore, la situazione potrà cambiare. Ciascuno come può e come vuole, non decidendo tutti di vivere nei cassonetti “Sarebbe buffo e neanche costruttivo”, importante è la presa di coscienza del cambiamento ormai indispensabile. Ecco il motivo della lampadina che ha in mano per “fare luce nei cuori delle persone”, invitando i giovani a non lasciarsi convincere che la strada da percorrere sia ancora quella delle guerre e dei soprusi, aiutati dagli adulti onesti e generosi.
Si chiude il terzo atto, così come gli altri due, con la riflessione, la speranza, la determinazione, l’Amore che è racchiuso in ogni persona, in ogni tempo storico. Bisogna farlo uscire da sé stessi portandolo come base per qualsiasi situazione si debba e voglia vivere.
Il pubblico assorto ha seguito quelle tre storie legate da un filo invisibile ma palpabile. Un pubblico che ha sorriso, ad alcune battute riso. Un pubblico che durante lo spettacolo ha ringraziato uno Stefano Fresi in stato di grazia con lunghi e prolungati applausi, trasformati in una standing ovation finale. Un uomo solo sul palco con tre sculture diverse accanto a sottolinearne il contesto.
Un uomo solo che ne ha interpretati molti di più. Un uomo solo ma al termine dello spettacolo è un grandissimo uomo che riconosce quanto il lavoro di squadra sia fondamentale chiamando sul palco l’autore e regista Giacomo Battiato, il compositore delle musiche e tutti i tecnici, professionisti indispensabili e infaticabili che sono il motore di Dioggene.
Incredibilmente bravo nel dare la voce all’attore Nemesio ma anche alla moglie, ricorrendo per lei a un inconfondibile accento fiorentino, in uno scontro elevatissimo intervallato da battute sagaci e riflessioni.
Un ‘one man show’ che non poteva far partire in modo migliore la stagione teatrale del Mancinelli. E Stefano Fresi, al termine dello spettacolo, ha riconosciuto che esordire a Orvieto “in questo magnifico teatro, in questa bella città, davanti a questo splendido pubblico è stato un onore e un privilegio. Grazie.”