Luca Signorelli nel "paradiso purista" degli Artisti
Il Trionfo della Religione nelle Arti è una grandissima tela (quasi 4 metri per 4) che nel 1829 lo Städel Institut Museum di Francoforte, allora giovane istituzione culturale, commissionò a Friedrich Overbeck (1789-1869) come ‘manifesto’ programmatico della sua missione. Secondo la visione del suo fondatore Johann Friedrich Städel, banchiere e uomo d’affari, e in linea con lo spirito romantico del tempo, questa fondazione civica nata nel 1815 intendeva promuovere e sostenere gli scopi educativi dell’arte attraverso le collezioni del museo, in particolare una raccolta di opere del Rinascimento europeo.
Overbeck era considerato dai contemporanei “il più grande artista mai vissuto” e con la sua storia interpretava pienamente il ruolo attribuito. Nato a Lubecca nel 1789 e formatosi all’accademia di Belle Arti di Vienna, Overbeck era giunto a Roma nel 1809 per rimanervi stabilmente fino alla morte nel 1869. Con alcuni giovani colleghi dell’Accademia, vagabondando per la città eterna come Romische-Wanderers avevano dato vita alla Lukasbund, la confraternita di San Luca, un’esperienza di reazione al Neo-classicismo e al virtuosismo accademico, vissuta con il senso di solidale coinvolgimento e identificazione di un movimento di proto-avanguardia.
Con animo romantico si proponevano di riportare l’arte allo spirito medievale, restituendole le finalità morali o religiose che avevano ispirato Albrecht Dürer, figura considerata esemplare, così come i “primitivi” della tradizione italiana, dagli artisti dei fondi-oro al primo Rinascimento.
In Italia, le opere di Giotto, Beato Angelico, Perugino e Raffaello erano le mete dei loro pellegrinaggi e rappresentavano modelli assoluti. Immersi a tal punto nell’arte sacra, venivano chiamati Nazzareni per lo stile ‘evangelico’ del loro sodalizio così come del loro aspetto esteriore, dei lunghi capelli e della postura trasognata.
Nella prospettiva storico-critica delle manifestazioni e degli sviluppi dell’eclettismo formale della prima età romantica, che fu chiaramente delineata fin dal 1960 (edizione rinnovata nel 1992) da Corrado Maltese nella sua Storia dell’arte in Italia 1785-1943, Overbeck avrebbe avuto un ruolo significativo nel percorso del purismo italiano, ovvero in quel «filone comune che unisce consecutivamente giù sino ai primi del Novecento i nazzareni tedeschi ai puristi romani (e non romani), questi ai preraffelliti inglesi e italiani e questi ultimi ai neorinascimentali e ai “floreali”».
Tanto che, nel 1853 Overbeck farà il suo ingresso nella storia della ‘riforma’ purista del duomo di Orvieto. Insieme a Tommaso Minardi (1787-1871) e Antonio Bianchini (1803-1884) –tutti firmatari del Manifesto del purismo del 1849- fu consultato in relazione agli interventi più critici e controversi dei restauri da qualche decennio intrapresi, ovvero quelli da effettuarsi sul ciclo pittorico trecentesco della cappella del Corporale.
È noto che proprio riguardo a questi affreschi, che versavano davvero in condizioni di grave degrado, Overbeck dall’alto della sua autorevolezza propose di raschiare via le parti più deperite, sostituendole con una raffigurazione neo-nazarena dei Sette Sacramenti; e che fortunatamente il progetto fu sventato da Leandro Mazzocchi camerlengo della Fabbrica orvietana e uomo di cultura e di accorta esperienza.
Ma tornando al dipinto di Francoforte e al momento di maggior successo di Overbeck, nel Trionfo della Religione nelle Arti fu chiamato a esemplificare il suo credo in un’opera che si rivelò di grande impegno e prestazione, tanto che impiegò oltre dieci anni per consegnarla, accolta peraltro da critiche e acceso dibattito.
Più di cento sono gli artisti ritratti in questo dipinto trionfante e sono quelli che hanno servito la Religione e contribuito a rendere gloria a Dio e alla Chiesa. Come in una enorme ‘sacra conversazione con artisti’, i grandi maestri del Trecento e del primo Rinascimento sono in adorazione della Madonna e del Bambino, seduti in trono al centro della composizione, e delle due schiere di santi ai lati, santi del Vecchio e del Nuovo Testamento che più sono serviti da soggetto per l’arte cristiana.
Accanto a loro i grandi interpreti ed esegeti della teologia, i dottori della Chiesa e, sulla destra in primo piano di questo ‘paradiso iconografico’, San Luca, evangelista-pittore autore di icone ispirate dal Signore e a sua volta ispiratore di artisti.
Al di sotto, si apre lo scenario di un giardino dell’Eden su un tipico sfondo rinascimentale con dosaggio simmetrico di natura e architettura, e alcune rovine classiche rotolate fino al primissimo piano. Al centro è una fontana da cui sgorga e si diffonde, appunto, l’ispirazione divina. La centuria degli artefici è distribuita in gruppi, alquanto animati e partecipi, per lo più in piedi ma con alcune coppie sedute sui gradini che fanno da basamento alla fontana, e gruppi in primo piano accosciati su antichi resti di statue e di colonne romane.
Aiutati dalla scheda dello Städel Museum, fruibile online insieme alla bella immagine del dipinto libera da diritti (pubblico dominio su https://sammlung.staedelmuseum.de/en/work/the-triumph-of-religion-in-the-arts), si possono identificare, con un certo divertimento, molti degli artisti raffigurati. Giusto ad esempio, il bel volto di Albrecht Dürer è ben riconoscibile grazie ai suoi celebri autoritratti e fa da perno al gruppo di fondo a destra della fontana. Subito a sinistra, si staglia l’inconfondibile e maestosa sembianza di Leonardo da Vinci.
Ed è da questo lato il gruppo che ci interessa di più e che si affolla intorno a due figure, entrambe evidenziate dal bianco degli abiti che indossano. Bianca è la veste di Dante Alighieri, qui nell’iconografia tradizionale che comprende il copricapo rosso e la corona d’alloro da poeta sommo. Vicino a lui Giotto e Simone Martini, poeti non da meno. Più verso il centro, bianco è il mantello di Raffaello Sanzio, immagine simbolo del Rinascimento, divino già per i contemporanei.
Intorno a lui si riconoscono diversi maestri che lasciò indietro: in particolare, proprio sul fondo, è Pietro Vannucci il Perugino, il cui volto tondo e arrossato è come quello che finse di appendere nella sala delle udienze del Collegio del Cambio di Perugia. E arriviamo alla coppia isolata che siede su un blocco di marmo scolpito, accostato alla vasca della fontana.
Sono Luca Signorelli e Michelangelo. Michelangelo pensoso è in ascolto delle parole del maestro da lui «sempre sommamente lodate» come scrisse Giorgio Vasari nelle Vite già nella prima edizione del 1550. Aggiungendo che «l’opere di Luca furono da Michelagnolo sempre sommamente lodate» tanto che «in alcune cose del suo divino Giudizio, che fece nella cappella, furono da lui gentilmente tolte in parte dall’invenzioni di Luca, come sono Angeli, demoni, l’ordine de’ cieli et altre cose, nelle quali esso Michelagnolo immitò l’andar di Luca, come può vedere ognuno».
Overbeck, in piena evidente adesione alla fonte vasariana, sembra però voler rilanciare la relazione tra i due maestri con un aspetto di contenuto: il gesto di Luca Signorelli che indica a Michelangelo come sia Dante e la Commedial’ispirazione, il tramite con il divino, che ha illuminato il suo capolavoro e dato corpo e anima alle storie orvietane dell’Apocalisse.
Concludeva Vasari la seconda edizione delle Vite nel 1568: «Così col fine della vita di costui, che fu nel 1521, porremo fine alla Seconda Parte di queste vite, terminando in Luca come in quella persona che col fondamento del disegno e delli ignudi particolarmente e con la grazia della invenzione e disposizione delle istorie aperse alla maggior parte delli artefici la via all’ultima perfezzione dell’arte, alla quale poi poterono dar cima quelli che seguirono, de’ quali noi ragioneremo per inanzi».
La fortuna moderna di Luca Signorelli non fu pari né al suo ruolo di assoluto innovatore nel Rinascimento, né alla stima dei contemporanei. Ma possiamo riscoprirla in questo ‘paradiso purista’, in questa visione assurda e grandiosa, un sogno per gli storici dell’arte.