Gocce di sangue sulla neve

Video "Gocce di sangue sulla neve" con audiolettura a cura di Sophia Angelozzi
Quando Ippolito Scalza ricevette l’incarico di incidere per la Cappella del Corporale il contenuto di un’antica pergamena scritta nel 1362 da ser Cecco di Pietro, era ormai lontano il tempo in cui papi, re e plebei si dedicavano con appassionato zelo a celebrare "racconti di ostie miracolose che sanguinavano e si trasformavano nel corpo di Cristo". L’epigrafe riportava su due lastre di marmo rosso una cronaca del miracolo di Bolsena che nel Medioevo aveva esaltato l’immaginazione popolare, conferendo al "cerchio bianco dell’ostia" un potere mai visto. Quel piccolo lenzuolo su cui erano rimaste impresse ‘venticinque macchie’ di sangue, corrispondenti al giorno della nascita del Signore, continuava a conservare tutto il suo mistero.
Cappella del Corporale, Ippolito Scalza
Nella pergamena di pietra è narrata la storia di “un sacerdote alemanno di singolare discrezione e d’insigne bontà di costumi”, fedele servitore di Dio ma dubbioso "nella fede di questo sacramento… ogni giorno supplicava Iddio nelle sue orazioni che si degnasse di mostrargli un qualche segno che gli avesse rimosso dall’anima ogni dubbio". Dopo essersi recato a Roma per pregare sulle tombe di Pietro e Paolo, affinché "desistesse da quell’errore e la fede avesse maggiore fermezza", sulla via del ritorno egli decise di celebrare la messa a Bolsena. L’ostia prese nelle sue mani "l’aspetto di vera carne… rosseggiante, flessibile, molleggiante" da cui stillò sull’altare "vivo e copioso sangue". Quella effusione macchiò di rosso porpora il bianco lino del corporale e "ciascuna goccia di sangue vi lasciò impresse altrettante figure a somiglianza di uomo".
Chi entrava nella Cappella del duomo di Orvieto si disponeva perciò in preghiera e, contemplando il miracolo, meditava le suggestive immagini di Ugolino d’Ilario che, a fianco dell’altare, si prodigò a rappresentare molte volte l’immagine del lino di Bolsena: dalla scena dell’incredulo sacerdote che stringe l’ostia insanguinata, al momento in cui il vescovo Giacomo si chinò davanti all’altare in adorazione, fino alla solenne processione che giunta da Bolsena si fermò "al ponte di un certo torrente detto volgarmente Rischiaro dove gli venne incontro lo stesso romano Pontefice con i suoi cardinali, con i chierici e religiosi e con una numerosa moltitudine di orvietani con immensa devozione e spargimento di lacrime". E, in quello stesso luogo, Urbano IV s’inginocchiò anche lui in contemplazione del segno divino.
Nel Medioevo l’eco del prodigio fu talmente grande da ispirare persino uno dei brani più affascinanti del celebre romanzo ‘Il Racconto del Graal’ di Chrétien de Troyes. Qui è descritto l’episodio del cavaliere Perceval il quale, in viaggio alla ricerca del Graal, vide all’improvviso apparire sulla sua strada un falco che si scagliava su un’oca selvatica; essa "era stata ferita al collo e segnò tre gocce di sangue che si sparpagliarono sulla neve bianca. L’oca non aveva né male né dolore che la trattenesse a terra… riuscì così a volare via e Perceval vide che la neve che giaceva sotto l’oca era cambiata di colore e il sangue si vedeva ancora", lasciando sulla terra la sua dolce traccia. Perceval allora "si posò sulla sua lancia per guardare quell’immagine; il sangue e la neve combinati gli ricordavano il fresco colore che aveva il volto della sua amica e lui si chiuse nel suo pensiero fisso al punto che si dimenticò di tutto".
La leggenda di Perceval
Di fronte a quella visione il cavaliere rimase immobile, con la stessa venerazione di chi si fosse trovato nella Cappella a contemplare la reliquia di Bolsena. Tutto si svolgeva con religioso silenzio che sembrava fermare il tempo e, come immerso in una liturgia, "Perceval rimase assorto in contemplazione per tutta la mattina" al punto che alcuni scudieri, vedendolo, credettero che dormisse. Mentre continuava a fissare sulla candida neve le gocce di sangue, venne visto per caso da due cavalieri che gli ordinarono invano di lasciare quell’insolita condizione per presentarsi al cospetto del re. Perceval rifiutò l’invito, anzi li sfidò e li sconfisse, ritornando poi nel mistico luogo dove ebbe l’apparizione.
Anche la chiesa riunita nella Cappella del Corporale stava in devoto raccoglimento ricordando che, durante il miracolo di Bolsena, Cristo versò il suo sangue che cadde sul bianco lino del corporale come "gocce di sangue sulla neve". Così, al momento dell’elevazione dell’ostia, il sacerdote esortava i fedeli a vedere nel pane consacrato la Passione del Signore, affinché - come insegnava la leggenda - nessun pensiero, nessuna minaccia o distrazione, li sottraesse da tale divina e sublime visione.
Nella gelata e infreddolita prateria della leggenda, il cavaliere Perceval "stava assorto a contemplare il rosso sul bianco", così ogni cristiano era chiamato a contemplare nella reliquia di Bolsena la grazia dell’eucarestia che lo avrebbe sorretto anche quando si fosse trovato a camminare, per volontà divina, in luoghi aspri e desolati. E se qualcuno avesse avuto qualche dubbio che quel miracolo eucaristico aveva preso la forma di un poema fantastico bastava soffermarsi al punto in cui si narra che "le tre gocce di sangue - dell’oca ferita - si spandono sul bianco", in ricordo di quando, si legge nella pergamena, il sacerdote alla vista del miracolo di Bolsena "procurò di nasconderlo con il corporale. Ma quanto più si sforzava di nascondere tanto più ampiamente e perfettamente, per virtù divina, si divulgava il miracolo".
Stemma del Comune di Orvieto
Il profondo legame che univa il prodigio eucaristico di Bolsena alla leggenda era visibile anche nello stemma della città di Orvieto che, nell’accogliere il segno divino, plasmò in quel tempo la storia della Chiesa. Infatti, la croce rossa in campo bianco non è forse l’emblema di Perceval e degli eroici cavalieri crociati? L’aquila nera non rimanda forse al falco della leggenda che causò a Perceval la mistica visione? L’oca dalle bianche piume, che nell’effige del Comune viene mostrata con la palla nella zampa destra, non è forse la stessa che Perceval incontrò lungo il viaggio perché simbolo di Cristo, dispensatore dell’eucarestia? E infine il leone rampante, mostrato con la spada e le chiavi di san Pietro, non è forse l’immagine del leggendario re e del suo regno dove Perceval arrivò, prima di assistere nel castello di Artù alla visione del Santo Graal?

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