Il potere dell'eucarestia
Foto di Ludwig von Stoltenhoff
Saper comunicare una città non è più un’opzione, ma una necessità. Orvieto è vivere il fascino di una città senza tempo, è immergersi nell’atmosfera mistica e misterica di chiese, vie, palazzi e mondi sotterranei. “Il grosso potenziale della cultura italiana - afferma Valentina Montalto, economista della cultura - va sfruttato non solo economicamente, ma anche e soprattutto nel potenziale della cultura inteso come strumento di cura a 360° gradi, cura nel senso di cura degli animi e degli spiriti in una sorta di relazione tra cultura, benessere individuale e collettivo, e sviluppo economico”.
Cappella del Corporale
Come ogni cattedrale, il duomo di Orvieto è un edificio vivo, plasmato dalle vicende storiche e dalla fede della comunità che l’ha costruito. Davanti a un monumento si pensa di sapere tutto, storia, arte, architettura, ecc. quando non si conosce praticamente nulla del suo messaggio esistenziale e spirituale che è lo scopo per cui è stato fatto. Riguardo al nostro duomo molteplici significati si sono stratificati lungo i secoli, dando vita ad un unicum di arte e teologia dove ogni ‘particolare’ è capolavoro di genio e creatività, e come tale rivela sempre qualcosa di inaspettato, di impensato… l’immagine dietro l’immagine.
Quando nel medioevo le grandi epidemie, guerre e fame mietevano vittime da un capo all’altro d’Europa, la Chiesa era divenuta portatrice di un cristianesimo più vicino alla vita degli uomini. A dare fiducia e speranza fu l’opera di uomini e donne, mistici e mistiche, che con il loro pensiero e la loro spiritualità rivoluzionarono la storia d’Occidente. Erano gli anni di Guglielmo di saint Thierry, Bernardo di Chiaravalle, san Francesco, santa Chiara e santa Ildegarda, uno dei più grandi geni femminili di tutto il medioevo la quale nel 1163 rappresentava, in una celebre miniatura, l’Uomo Universale.
Visione di Ildegarda di Bingen
Nella sua visione, che anticipò di circa tre secoli l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, la figura umana è situata al centro del creato, circondata dall’abbraccio misericordioso del Creatore, come ad annullare la distanza abissale che per lungi secoli aveva separato Dio dal mondo. Accanto alla costruzione delle prime cattedrali, questo piccolo capolavoro divenne l’icona dell’uomo di quel tempo la cui vita era in continuo rapporto con Dio, con il Mistero, con l’Infinito.
Entrando nella Cappella del Corporale, luogo mistico per eccellenza, le storie di miracoli e di santi, di mistificatori e di demoni, di eroiche battaglie per la liberazione della Terra Santa e per la conquista del Paradiso, dovevano infondere negli animi la certezza della presenza di Cristo nella Chiesa; davanti all’altare lo spirito dei fedeli si faceva vicino all’Anima sofferente di Cristo, fonte di conforto e di grazia. Nella santa Messa si riviveva infatti la Passione del Signore attraverso i segni e i simboli della fede: il sepolcro di Gesù veniva rappresentato dall’altare, il vaso di Giuseppe d’Arimatea dal calice eucaristico, la pietra che chiudeva il sepolcro dalla patena (cioè il piatto dell’ostia posto dal sacerdote sopra il calice), il sudario dalla reliquia del lino insanguinato di Bolsena, e infine il corpo e il sangue di Cristo era rappresentato o meglio incarnato dalle specie eucaristiche.
I simboli della Passione
Nella medioevale Cappella del Corporale appariva così la storia dell’eucarestia, dall’ultima cena al racconto degli apocrifi su Giuseppe d’Arimatea, dalla messa miracolosa di Bolsena al leggendario cavaliere che doveva rievocare in chiave eucaristica la ricerca del Graal. Sulle orme di Parsifal, Lancillotto e Galahad, i cristiani erano dunque chiamati a salire sopra il loro bianco destriero, cioè ad acquistare forza e purezza, per raggiungere la meta, il potere dell’Ostia, che con il tempo fu oscurato dalla nube dell’ignoranza e del dubbio.
Al pari di quei nobili cavalieri, la chiesa del tempo era chiamata ad abbracciare la via della virtù, purificando l’anima ed elevandosi a Dio, e a correre senza mai fermarsi verso la conquista del premio celeste, in una sorta di continuità tra passato, presente e futuro. La ricerca di Dio diventava dunque l’archetipo di cui era intessuta la storia del medioevo e tutti i suoi simboli. Il potere dell’eucarestia racchiuso nel mistero della transustanziazione si era così profondamente radicato nell’immaginario collettivo da rappresentare il più alto ideale di vita, di benessere, di guarigione, di prosperità, di salvezza, d’eternità e d’immortalità, ideale potentemente rievocato dalla reliquia del miracolo di Bolsena custodita nel duomo di Orvieto.
Il cavaliere dell’Apocalisse, Cappella del Corporale, Ugolino di Prete Ilario
Tra fede e leggenda, il lungo viaggio del Graal intrapreso per restituire fertilità e prosperità alla ‘Terra desolata’ del Re Pescatore rimandava, in realtà, al cammino spirituale e terreno dei credenti verso l’unica e vera chiesa di Cristo che fu ereditata dall'apostolo Pietro e successivamente dai papi di Roma. Nella vela dell’apocalisse, punto di sintesi dell’intero ciclo pittorico, Cristo fa cadere dall’alto il dono dell’eucarestia sopra sette candelabri, simbolo delle sette Chiese dell’Apocalisse da cui cui nascerà la Gerusalemme celeste, la città dell’Agnello, che Cristo inaugurò sulla terra con gli apostoli.
La rappresentazione dell’Ultima cena e della prima eucarestia celebrata da Maria e dagli apostoli, non avevano solo lo scopo di fare della Cappella un luogo di devozione e di culto ma dovevano esortare tutta la cristianità a trovare attorno al successore di Pietro quell’unità di spirito e di intenti che rese esemplare la chiesa delle origini, proiettando i fedeli nel futuro. Come nella leggenda, anche la Chiesa del tempo era chiamata a stringersi attorno ad un unico Re, il Papa di Roma, e al santo Graal, simbolo mistico dell’Eucarestia, per ricostruire la vera Camelot, la chiesa virtuosa e militante, una chiesa nata da Dio e animata da sentimenti di unità e di pace, simile a quella regale e virtuosa che Artù fondò e governò assieme ai suoi cavalieri, quando nel mondo incombeva ovunque l’oscurità delle tenebre.
I simboli della antica fede cristiana trovarono così nei miti e nelle leggende del nord Europa la loro più suggestiva espressione. Per creare sulla terra un regno di pace, giustizia e fratellanza, lo stesso Urbano IV, prima di istituire a Orvieto la festa del Coprus Domini, aveva inviato a Costantinopoli ben due lettere con i contenuti della Bolla Transiturus nell’intento di riavvicinare, per mezzo della verità dell’eucaristia, la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente profondamente divise dopo il Grande Scisma del 1054.
La spada nella roccia, San Galgano, Toscana
Attraverso il potere divino di una spada, quella estratta dalla roccia, immagine della croce di Cristo piantata sul monte Golgota e quindi dell’eucarestia, la Chiesa avrebbe superato tutte le divisioni e posto fine all’interminabile scontro tra Occidente e Oriente, tra papi e antipapi, tra Roma e Avignone (1309): un re, un regno e un potere dunque, come un solo papa, una sola Chiesa e una sola eucarestia. La Cappella del Corporale invitava perciò la comunità dei credenti a ritrovare lo spirito delle origini del cristianesimo per ricostruire il Regno di Dio, un Regno perduto che andava cercato e ritrovato.