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VISIONI
cultura

Il mistero delle parabole

giovedì 13 luglio 2017
di Mirabilia-Orvieto
Il mistero delle parabole

Vincent Van Gogh: Il seminatore al tramonto, 1880

"Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete ma non vedrete".
(Matteo 13, 14)


Le parabole. Questo fu il modo preferito da Gesù per trasmettere il suo messaggio.
Ma perché predicava in parabole? Perché è la forma più semplice ed efficace per esprimere il Regno di Dio. Sono delle piccole “storie simboliche” di vita quotidiana, dense di significati profondi e misteriosi, capaci di orientare l’anima e lo spirito là dove il linguaggio umano non può arrivare.
Gesù incomincia a predicare in parabole dopo essersi accreditato con segni e miracoli. La gente che credeva in lui, e cioè nel potere di risolvere i problemi della vita (la guarigione da una malattia, la liberazione da uno spirito cattivo, ecc.), ora deve essere disposta ad ascoltarlo più attentamente, visto che egli ha cose molto importanti da dire, cose che solo i “piccoli”, quelli cioè che non credono di sapere tutto, possono intendere:

"Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono.
Un’altra parte cadde in un luogo sassoso (...). Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.
Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il 100 dove il 60, dove il 30. Chi ha orecchi intenda". ( Mt.13,3-9)

Icona russa: Gesù seminatore

Nel breve racconto c’è un agricoltore, c’è una semina da fare, c’è del seme da spargere. Ma non tutto quello che viene seminato cade nel posto giusto: in ogni semina, insegna la parabola, c’è sempre qualcosa che si perde, che non dà il risultato sperato.
Infatti molto di ciò che un uomo fa nella sua vita, il suo tempo, le sue energie, le sue risorse, le sue scelte, spesso appare sprecato, buttato via inutilmente.
Così è anche e soprattutto per il nostro agricoltore che, in quel tempo e in quelle regioni della Palestina, svolgeva il lavoro della semina in campi per così dire grezzi, non ben lavorati come quelli di oggi. Solo una certa quantità del seme, la quarta parte, stando al racconto, andrà a buon fine, cadendo nel terreno giusto. Non serve spendere altre parole per dire quanto si “disperde” nella propria esistenza per ottenere alla fine solo un piccolo risultato, assai modesto rispetto ai mezzi impiegati.
La parabola è esattamente il paradigma della vita. Anche nella vita bisogna trovare situazioni giuste, favorevoli, praticamente adatte a far germogliare e crescere progetti e aspirazioni.
Ma il seminatore non si spaventa, non ha paura di sprecare le sue risorse, di rischiare, di investire. Con coraggio e fiducia accetta la sfida che ha di fronte. Sa benissimo che parte della sua semina cadrà sulla strada per essere facile preda degli uccelli, che ingiustamente non hanno né seminato né mietuto; come sa benissimo che un’altra parte cadrà sulla pietra, cioè su luoghi duri e sassosi, con pochissima terra; come sa che una parte raggiungerà la terra, ma ahimè sarà soffocata dalle spine che inevitabilmente comprometteranno il raccolto futuro.
Egli però rimane tranquillo. E’ consapevole che tutto questo rientra nell’ordine delle cose: gli uccelli fanno la loro parte e così la pietra e i rovi. Tutti hanno un loro posto e una loro funzione. Per questo quell’uomo non si sente minacciato; egli non demonizza la realtà, non giudica nessuno, ma accetta le cose “per quello che sono”, confidando nella generosità del suo gesto e, soprattutto, nella forza del seme che ha tra le mani, il quale è in grado di mettere radici anche in condizioni impossibili.

Vincent Van Gogh: Campo di grano con volo di corvi, 1890

Se dunque molto si perderà e sarà come buttato via, ci sarà comunque una parte che cadrà sulla terra buona e che, secondo i calcoli del seminatore, che sono i calcoli di un uomo saggio, produrrà di sicuro un raccolto, così abbondante che alla fine lo sorprenderà.
Il protagonista della parabola vede e agisce sempre in positivo, non ha un nemico da combattere, da cui difendersi, non deve lottare contro le forze avverse o malvagie della natura...non maledice gli uccelli o la pietra o i rovi perché li sente ostili a lui; anzi, dalla parabola traspare una profonda armonia con il creato, una simbiosi naturale con il mondo esterno, sottolineata dal fatto che grazie a quella semina egli arriverà a nutrire gli uccelli del cielo!
Egli crede solamente in ciò che fa poichè il suo campo, come un buon amico, saprà dargli non solo lo stretto necessario per vivere, ma addirittura lo “straordinario” per una vita impensabile.
Infatti le misure del 30, del 60 e del 100 della parabola sono state volutamente messe dall’autore ad indicare l’assoluta sproporzione del raccolto, un raccolto smisurato.

Van Gogh: Il seminatore al tramonto, particolare

Nell’opera di Vincent Van Gogh, “Il seminatore” (1888), il geniale artista cerca di comunicare, attraverso i colori, il significato della parabola, dove la forza vivificante di Dio (il giallo quasi accecante del sole) irradia la terra, fecondandola (il seme, di colore giallo, gettato dal seminatore) e beneficandola con l’abbondanza della vita (le spighe di grano, dorate).
Ecco allora il senso della parabola. Il seminatore è Dio. Il seme sparso è il Vangelo. Il campo è il mondo. La terra buona sono tutti coloro che sapranno far crescere questo seme. Per cui “chi ha orecchi intenda”, così termina la parabola.
Ma cosa c’è da capire? Eppure qualcosa di importante sembra sfuggire. Ai discepoli che gli chiedono: “Perché parli loro in parabole?”, Gesù risponde: “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato” (Mt. 13,10-11). C’è un messaggio che ancora deve essere svelato, compreso, illuminato.

Carl Heinrich Bloch: Gesù predicatore

Nulla da stupirsi visto che, nella prospettiva del mondo antico, le parabole costituivano con il loro linguaggio per immagini una sorta di collegamento tra due mondi opposti, quello visibile della realtà terrena, e quello invisibile della realtà dell’anima. Le difficoltà degli uditori stanno proprio qui, nel non riuscire a unire i due mondi, quello materiale con quello spirituale. Per cui le folle ascoltano ma non comprendono, guardano ma non vedono. Esse rimangono a ciò che appare in superficie, senza scorgere oltre. La loro anima è quindi sorda e cieca!
Nessuno può comprendere il Vangelo se, oltre ai due orecchi del corpo fisico, non ha ricevuto il dono di un “terzo orecchio”, l’orecchio dell’anima, in grado di intendere il significato nascosto e “segreto” della parabola.
Senza il dono di un “udito” d’altra natura, capace di cogliere ciò che va al di là di quanto gli orecchi fisici sono in grado di percepire, senza questo dono nulla potrà essere svelato e rivelato.
E’ quanto si legge nel Vangelo: “Il regno di Dio è qui, in mezzo a voi!” (Luca 17, 21): bisogna saperlo vedere e sentire, e questo è possibile, ma con altri occhi e con un altro udito!
In un cristianesimo ridotto spesse volte a formule da imparare o pratiche da fare, la parabola ripropone con forza straordinaria la centralità del mistero della Parola che va letta in profondità, lettera dopo lettera.

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