Dopo cinquant’anni l’Autosole ha ancora il suo guardiano del faro (Il Tirreno)

«Sì, io c’ero quel 4 ottobre del 1964, era una domenica di sole, arrivò il presidente del Consiglio Aldo Moro, c’era tanto entusiasmo nella gente. Alla messa pregai perché l’autostrada unisse davvero il nostro Paese e aiutasse le famiglie a star meglio», racconta don Elio Pierattoni, 89 anni, musicista, pilota d’aereo. Don Elio è rettore della chiesa di San Giovanni Battista sull’Autostrada del sole da quando è stata inaugurata, il 5 aprile del 1964, alla presenza dell’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira. «Essere il prete della chiesa dell’Autostrada è come essere il guardiano di un faro», ha confidato, due anni fa, don Elio al Corriere della Sera. E lui, il guardiano dell’Autosole, c’era quel 4 ottobre, festa di san Francesco, patrono d’Italia, quando Moro gli diede la mano e tagliò il nastro dell’ultimo tratto dell’autostrada, da Chiusi a Orvieto, perché il cuore era lì, a Campi Bisenzio, in quella chiesa “tenda”, che il giornalista Andrea Barbato definì «un invito di pietra ai nomadi che sfrecciano sull’autostrada».
Prima si fermavano a pregare. Da qui, il guardiano del faro ha visto sfrecciare auto, Tir, moto, pullman. Basti pensare, per avere una veloce pennellata di come l’Autosole abbia cambiato le comunicazioni in Italia: nel 1955 nel nostro Paese transitavano 861mila auto, nel 1969 oltre 10 milioni e oggi 40 milioni. Ma don Elio si lamenta che con la costruzione degli svincoli, la chiesa di San Giovanni, che appartiene alla società Autostrade, è di fatto messa fuori dal circuito autostradale, a due chilometri di distanza e da alcuni lati: «Prima si fermavano in molti, soprattutto tedeschi, svizzeri, austriaci. Venivano in chiesa, l’ammiravano e pregavano anche. Ora non si ferma più nessuno. Sfrecciano e se ne vanno», racconta don Elio.
755 km, 272 miliardi. Dal 5 ottobre 1964 l’Italia non era più una nazione unita solo politicamente. Lo era anche sul piano infrastrutturale perché il nastro di asfalto dell’autostrada del Sole, 755 chilometri, 440 ponti e viadotti, 38 gallerie,700 chilometri di linee elettriche e 14,7 milioni di giornate-lavoro per un costo complessivo di 272 miliardi di lire, univa il sud al nord, Napoli a Milano, lungo la spina dorsale del Paese. «Nord e Sud si danno la mano», commenta con enfasi la voce della Settimana Incom, il glorioso cinegiornale, in via di estinzione per lasciare il posto alla televisione.

«Fino ad allora per andare da Napoli a Milano occorrevano, almeno 2 giorni e mezzo, con l’autostrada bastano 8 ore», racconta Francesco Pinto, direttore della sede Rai di Napoli e autore di La strada dritta, un romanzo ispirato «alla straordinaria epopea della costruzione dell’A1», che sarà riproposto negli Oscar Mondadori e da cui è stato tratto uno sceneggiato, che andrà in onda su Rai 1 in ottobre.

64 operai morti. E sabato prossimo la società Autostrade tornerà nella chiesa di san Giovanni Battista, costruita in memoria dei 64 operai morti nella realizzazione della lunga arteria autostradale, per ricordare l’inaugurazione di cinquanta anni fa. Ci saranno il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, il cardinale di Firenze Giuseppe Betori e il presidente e l’ad di Autostrade, Fabio Cerchiai e Giovanni Castellucci, e nell’occasione oltre che al passato si guarderà al futuro. Si parlerà del completamento, a proposito dell’A1, della variante di valico (vedi articolo a parte) e della Tirrenica.
Costruita in 8 anni e 4 mesi. Già, la Tirrenica. Lo stesso anno in cui si inaugurava l’Autostrada del Sole, nome coniato per sottolineare il congiungimento della nebbia di Milano con il sole di Napoli, in uno studio di avvocati di Roma, così ricorda il marchese Piero Antinori, giravano le prime carte del progetto autostradale per congiungere Livorno a Civitavecchia, 210 chilometri metaforicamente fermi nei cassetti da mezzo secolo. Mentre l’Autosole, tre volte più lunga della Tirrenica, è stata realizzata in otto anni e quattro mesi.

La tv, Nutella e Sip. Altre storie ma anche altri tempi. Come ricorda Enrico Menduni nel suo L’autostrada del Sole, edito dal Mulino nel 1999, erano gli anni in cui l’Italia, uscita dalla guerra, era animata dalla febbre della riscossa e della ricostruzione. Dieci anni prima era nata la televisione e a ruota i frigoriferi e la mitica Fiat 600 solcava allegra la penisola, e nel 1964 raggiungeva i 2 milioni di esemplari.
Anno da ricordare, il 1964, per la modernizzazione, il boom economico e i consumi dell’Italia. E’ l’anno in cui a marzo viene inaugurato il traforo del San Bernardo, ma anche quello in cui sulle tavole dei ragazzi arriva la Nutella, filiazione della Supercrema Ferrero. L’anno della vaccinazione antipolio, come abbiamo raccontato domenica scorsa, e della nascita della Sip, che dirige il traffico telefonico e installa cabine telefoniche anche nel paese meridionale più sperduto.

Così che alle comunicazioni delle auto si intreccia quello dei telefoni. Mobilità delle persone e delle merci, ma anche delle idee e delle relazioni sociali. L’Italia è più vicina a se stessa, le lontananze si riducono e gli italiani, dopo gli anni cupi della guerra, tornano a sorridere e a ballare mentre impazzano i jukebox, Gianni Morandi spadroneggia le classifiche con il disco “In ginocchio da te” e si affacciano sulla scena i Beatles.

Preti contro la modernità. L’Autosole respira un certo clima da pionieri, i loro costruttori, a partire dall’ingegnere Fedele Cova, cui fu affidata la costruzione, è gente che azzarda, vanno in America a cercare soldi e idee. Nei cantieri dell’autostrada trovano lavoro contadini mezzadri e pastori. «Sull’Appennino ci sono preti che predicano contro l’autostrada come simbolo di una modernità che si pensa possa nuocere alla dimensione religiosa. Ma c’è anche molta gente povera, poverissima che trova lavoro e salario grazie alla costruzione dell’Autosole», racconta Pinto. Che spiega come il segreto dell’opera e dei suoi tempi di realizzazione così rapidi stia nel coraggio, nella voglia di impresa e di benessere degli italiani.
Il boom edilizio. Un altro dei pochi testimoni di quegli anni è Doriano Barducci, 86 anni, padre del presidente della Provincia di Firenze. Allora era poco più che ventenne, ma già capeggiava gli edili della Cgil fiorentina e ricorda come i lavoratori dell’autostrada fossero contenti.
«C’era molto lavoro e anche se lo stipendio si aggirava intorno agli attuali mille euro al mese, però era un progresso economico per molte famiglie, soprattutto contadine e montanare. E’ il periodo in cui si ha lo spopolamento della montagna e il grande boom dell’edilizia», ricorda. Preoccupazioni? Problemi? «Sì, avevamo molte vertenze e lotte per l’insicurezza dei cantieri», conclude Barducci.
Dal treno all’auto. «Abbiamo l’autostrada, ma non sappiamo bene a che serve.
E’ evidente l’impegno di spremere l’economia nazionale nella direzione di una motorizzazione individuale forzata, dimenticando che mancano le strade normali in città e nel resto del Paese», commenta L’Unità, il giornale del Pci. Viste oggi queste critiche fanno quasi sorridere, ma un lato di verità le contengono, come spiega Stefano Maggi, docente di storia delle comunicazioni a Siena: «Fino al 1964 in Italia ci si spostava in treno. Lo Stato e gli enti pubblici avevano come scopo quello di offrire i mezzi pubblici ai cittadini. Con l’autostrada si assiste alla privatizzazione delle comunicazioni. L’auto supera il treno. Il trasporto su gomma domina quello sui binari con tutti gli effetti negativi anche sull’ambiente che conosciamo».
Articolo di Mario Lancisi - Il Tirreno 29 settembre 2014
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