Morta Elena Curti l'ultima figlia del Duce, la storica intervista a Orvietonews
Si è spenta a quasi cent'anni nella sua casa di Acquapendente Elena Curti, l'ultima figlia naturale di Benito Mussolini. La donna è stata testimone dei momenti caotici e misteriosi dell'arresto del Duce il 27 aprile 1945 durante la fuga di Dongo: era nel blindato seduta accanto al padre, prima che si trasferisse nel camion tedesco dove fu intercettato e bloccato.
Nata a Milano il 19 ottobre 1922 dalla sarta Angela Cucciati – moglie del capo fascista Bruno Curti – venne a sapere di essere figlia naturale di Mussolini all’età di 20 anni. La madre di Elena, morta nel 1978, era diventata l'amante di Mussolini nel 1921, dopo averlo incontrato per sollecitare la liberazione del marito squadrista arrestato per una rissa con alcuni camerati.
Il primo incontro tra Elena e il suo padre naturale avvenne nel 1927, in occasione della inaugurazione dell'Umanitaria, un'istituzione milanese di assistenza: "Mussolini passò tra due ali di folla festante - rivelò la donna in un'intervista - si fermò di colpo, guardò per un attimo mia mamma, poi chinò il capo verso di me, sorrise e mi accarezzò i capelli. Ebbi la sensazione d'essere prescelta". Nel 1941, a Palazzo Venezia a Roma, il primo incontro ufficiale, una frequentazione che divenne più frequente durante i 600 drammatici giorni della Repubblica di Salò.
Un susseguirsi di episodi e di straordinarie vicende che Elena Curti raccontò nel 2006 in una storica intervista di Gabriele Anselmi per OrvietonewsMagazine l’allora versione cartacea di Orvietonews. Parole che oggi, a distanza di 16 anni, non solo riportano indietro le lancette del tempo, ma testimoniano la forza di una donna che ha vissuto fino all’ultimo giorno con lo spirito di una combattente. I funerali si celebreranno domani, 18 Gennaio, presso la chiesa del Santo Sepolcro ad Acquapendente.
Elena Curti, la figlia del Duce: “L’idolo Mussolini non è ancora distrutto”
di Gabriele Anselmi
Tutta suo padre. Volitiva, istrionica, seducente, intransigente, teatrale, passionale. Elena Curti ha ottantaquattro anni, un marito - Enrico - di 94 anni che l'ama ancora teneramente e la riempie di baci, una bella casa ad Acquapendente ed un passato tormentato. Una vita difficile alle spalle e una storia personale che si è intrecciata in maniera così inestricabile con la storia, da averle lasciato nell'anima i segni perenni di una tragedia vissuta minuto per minuto in silenzio perché, per anni, non ne ha potuto parlare con nessuno.
Elena è la figlia naturale di Benito Mussolini. Sua madre, Angela Cucciati, ebbe con il Duce del fascismo un'intensa e duratura relazione. Per lei suo padre rimarrà comunque sempre Bruno Curti che divorziò dalla madre quando Elena aveva sei anni. Con Benito Mussolini, Elena, nata a Milano il 19 ottobre del 1922, ha avuto un rapporto intenso anche se non frequente, tranne l'ultimo periodo della Repubblica Sociale. Amata in privato, ma mai riconosciuta ufficialmente dal Duce, seguì il padre naturale dai fasti romani di Palazzo Venezia fino agli ultimi giorni consumati sul lago di Garda. Prima impiegata al ministero dell'Economia Corporativa e poi del partito, nel '43 dopo la destituzione di Mussolini ad opera del Gran Consiglio del fascismo, lo seguì a Salò trovandosi al suo fianco anche sull'autoblindo con il quale Mussolini compì l'ultimo viaggio prima di essere arrestato e fucilato dai partigiani.
Con la morte del padre e la fine della Repubblica Sociale, per Elena inizia un periodo di grandi difficoltà a partire dai cinque mesi di carcere a cui la condannarono i partigiani. In seguito si laureò in Belle Arti a Barcellona, sposò il colonnello Enrico Miranda, eroe di guerra pluridecorato, ed intraprese un'attività imprenditoriale basata sull'esportazione di mobili spagnoli dopo essere anche diventata un'affermata pittrice. Nel settembre del 2003 è ritornata finalmente in Italia, ad Acquapendente dove vive tuttora in un'elegante palazzina alle cui pareti fanno bella mostra numerosi quadri che testimoniano la sua passione per l'arte. In questa intervista esclusiva ad Orvietonews Magazine, rievoca particolari fondamentali per ricostruire la storia degli ultimi giorni del fascismo. A partire dal carteggio del Duce con Churchill del quale si è molto parlato in sede storica.
Secondo numerosi storici, il capo del governo inglese avrebbe scambiato per oltre vent'anni una fitta corrispondenza con Mussolini e lo stesso Churchill, una volta terminata la guerra, avrebbe tentato di recuperare quei documenti venendo direttamente in Italia sotto falso nome. Alcuni studiosi hanno anche avanzato l'ipotesi che l'ordine di uccidere Mussolini sia arrivato direttamente da importanti agenti segreti inglesi interessati a impossessarsi del carteggio che sarebbe stato compromettente per Churchill perché ipotizzava una pace separata tra Italia ed Inghilterra in funzione anti-sovietica.
Avere nelle sue vene il sangue di Mussolini l’ha resa orgogliosa?
Dentro di me non ho mai preso seriamente il fatto. Non è che fosse colmo di prospettive esilaranti. Intanto cominciava con una dedicazione al silenzio obbligatorio. Mi sentivo scomoda, con la prospettiva di non essere mai considerata per quello che realmente ero, osservata dagli atri attraverso un filtro non richiesto, che non poteva che attutire o nascondere le mie vere aspirazioni. Qualche tempo fa ho letto un libro sulla vita di Edda Ciano. In alcuni episodi il comportamento di Edda è esattamente uguale a quello vissuto da me in situazioni analoghe.
In qualche modo giustifica l’atteggiamento che ha avuto Mussolini verso di lei, come ha gestito quella situazione?
Rispondendo a questa domanda è facile cadere nel ridicolo. In ogni modo è stato inevitabile, nel mio caso studiare che cosa avremmo potuto avere in comune. Succede normalmente di trovare delle affinità in persone appena conosciute: coincidenze che ci fanno sentire bene. Forse il senso di questo atteggiamento è che sentirsi simili ci fa sentire meno soli.
Ricordo un’intervista a TeleLombardia durante la quale, dopo alcuni istanti di silenzio risposi: l’onestà. A quel punto vidi l’investitore come fosse colto di sorpresa perché per venirmi in aiuto mi aveva elencato una serie di possibilità che avrebbero fatto di me un altro duce. Pensai che era un po’ una domanda a trabocchetto. Se dicessi che Mussolini qualche affinità con me l'aveva trovata e che gli faceva piacere pensarlo, dimostra che l'animo umano è uguale per tutti. In realtà strada facendo scopro in me alcune affinità di carattere che non posso spiegarmi.
A volte mi scopro a pensare che la mia percezione del futuro ha qualcosa di insperato e mi meraviglia aver previsto lo svolgimento e la soluzione degli avvenimenti con tanto anticipo e mi piace constatarlo. Mi sono intimamente lusingata di saper vedere oltre. Invece ho preso spesso delle cantonate giudicando l'individuo, spesso per ingenuità. Io ho sempre detto e ribadito che mio padre è Bruno Curti, poi se in realtà sono figlia naturale di Mussolini come ha dichiarato mia madre sotto giuramento, non posso che accettare la vita reale per quello che è. Mia nonna, mia zia, i miei parenti che ho imparato ad amare fin da piccola, continuano e sempre saranno la mia famiglia: senza di loro mi sentirei senza radici, senza niente.
Se poi Mussolini è si dimostrato affettuoso con me, se ha procurato di aiutarmi, senza chiedergli nulla, se sentivo che il suo interesse si spingeva sino al desiderio di conoscermi, questo per me era sufficiente. lo mi sentivo protetta ed era quanto mi era mancato sino allora, già che mio padre non è stato materialmente presente nella nostra vita. L'affinità caratteriale con Mussolini poteva costituire solamente una base solida per una profonda e sincera amicizia.
Quali sono i momenti passati con lui che ricorda più volentieri?
Bene, mi è piaciuto quando guardandomi compiaciuto mi chiese "Come fai ad essere così intelligente"? Mi confermò allora che si preoccupava di capire che dovevo rappresentare per lui, ossia non escludeva nessuna possibilità. L'altro quando eravamo sull'autoblindo che viaggiava verso Dongo praticamente poche ore prima che fosse barbaramente giustiziato. Mi invitò a mettermi vicino a lui che guardava dallo spioncino della blindo e mettendomi un braccio sulla spalla, mi diceva con l'interesse di un bimbo che vede uno spettacolo proibito: “Guarda, guarda quei maledetti. Vedi, vedi i fucili. Lì dietro i tronchi”.
Una frase condivisa con affetto, con un calore diverso dal solito, speciale. Ricordo che pensai per un attimo che tutto si era chiarito, che ogni cosa aveva preso il suo senso. Mi sentii tranquilla: anche per me le ansie, i dubbi sarebbero terminati, in un senso o un altro, perché erano condivisi e quindi accettabili. Mi confermò allora che si preoccupava di capire quello che avrei potuto rappresentare per lui ossia non escludeva nessuna possibilità.
Com’era in privato?
Io direi buono e complesso allo stesso tempo. Era un uomo buono, ma avrebbe potuto non esserlo, sebbene dava l’impressione gli costasse molto apparire duro e severo In Mussolini c’era la gamma di tutto: bontà, intelligenza, furberia, astuzia, dissidenza.
Generosità, altruismo, diffidenza, calcolo, un continuo gran lavoro con se stesso assalito da sensazioni semplici e complesse, e spesso inevitabilmente contraddittorie. Impegnato a dare rapide soluzioni ai suoi problemi più nascosti e più intimi come ai problemi degli altri, della società, del mondo, del presente e del futuro
Era un artista, in realtà, nel cui mondo c’era spazio anche per la politica, che nel fondo per lui costituiva solo il mezzo per realizzare i suoi ideali. Era un poeta. Ipersensibile controllava e analizzava le sue sensazioni attraverso un continuo travaglio interiore. Poteva dare l’impressione di essere facilmente influenzabile ma in realtà amava ascoltare, e poi era troppo intelligente per non ritornare su se stesso e riflettere.
Secondo lei le persone alle quali è stato più legato nella sua vita quali sono?
Ma io questo non posso saperlo perché prima di tutto c’era una differenza di generazione e poi io non è che l’abbia frequentato così tanto. Con me si apriva facilmente. Più di una volto rimasi sorpresa quando mi parlava dei suoi problemi spontaneamente. Non tocca a me opinare su questo delicato argomento. Non le pare? Posso dire che mi piace credere come ha detto Antonio Spinosa, ben noto storico e scrittore che delle tante amiche che gli sono state vicine, mia mamma è sicuramente quella che non ha mai dimenticato.
Sua madre parlava con lei di Mussolini?
Si certo. È stata sempre innamorata e ha continuato ad esserlo fino all’ultimo giorno.
Lei comunque ha ricevuto molte confidenze dal suo padre naturale?
Si, avevamo un rapporto particolare, in un certo senso. Tutto sommato io ero anche un po’ stupita della sua particolare confidenza verso di me, e mi faceva piacere.
Ma lui in maniera aperta le ha mai detto di avere il dubbio che lei fosse sua figlia?
Era uno studio reciproco, io studiavo lui e lui studiava me.
Ma un episodio, successo a Grandola, gli ultimi giorni della Rsi, una lite tra Mussolini e la Petacci, proprio perché il Duce sembrava avere un atteggiamento diverso nei suoi confronti, svelò che probabilmente Mussolini sapeva che fosse sua figlia?
Si potrebbe essere un fatto importante. Io ero arrivata a Grandola, Bufarini Guidi mi raggiunse fuori dall’albergo dove era Mussolini, dicendo che Mussolini era preoccupato perché Pavolini non era ancora tornato da Como e non si poteva telefonare perché le linee telefoniche erano state interrotte dai partigiani. Allora, senza pensarci troppo dissi: “Vado io, tanto qui sono di casa, datemi una bicicletta e vado a Como io”. Bufarini disse: “Aspetta, prima di andare lo vado a dire al duce”, ma quando arrivò da Mussolini e gli disse che Elena Curti si era offerta per andare a Como, Claretta si mise a urlare, ne uscì una scena disgustosa così come me la raccontò Guidi in seguito. Lei si era messa ad urlare cominciando ad insultarmi con gli epiteti più scabrosi. Allora, non so chi, le disse “Sta tranquilla, non ti deve preoccupare, Elena Curti è sua figlia”. Questo qui me lo ha riferito un’amica di Zita Ritossa, la moglie del fratello della Petacci, che era li e ha assistito alla discussione. La Ritossa mi ha cercato diverse volte, forse per raccontarmi questi episodi, ma io forse stupidamente, forse perché ero frustrata, non le ho mai risposto. Continuando nel racconto, quando nel pomeriggio ci incontrammo sull’autoblindo, Claretta mi stupì nel suo atteggiamento, completamente cambiato nei miei confronti, lei era molto più rispettosa e serena verso di me.
È vero che Claretta avesse un carattere debole?
No, non direi proprio. Io l’ho vista in quella circostanza, nella quale si è messa ad urlare davanti tutti, Mussolini, Pavolini, Casarinovo, Bombacci, i militari tedeschi, gridando “Duce Salvatevi”. Forse aveva avuto il presagio di quello che poteva succedere, di come sarebbero andate le cose, a differenza di quello che potevo sentire e immaginare io. Ha capito che si trattava di un momento tragico, evidentemente lei pensava che andandosene via, andando coi tedeschi, Mussolini si sarebbe salvato. Mente invece noi pensavamo che il duce dovesse rimanere con noi, anche se non era sicuro di salvarsi, è questa la grande tragedia di quei momenti. Adesso, siccome ho tanti anni, capisco di più le cose della guerra, della vita, della politica, le interpreto, e penso che sarebbe stato giusto che il capo si salvasse. Ancora oggi devo ragionare, perché se mi affido al mio istinto mi assale un senso di ribellione incontenibile.
Lei come ha vissuto la vicenda di Galeazzo Ciano, marito di Edda fatto fucilare dal suocero Mussolini per aver votato al Gran Consiglio del fascismo a favore della destituzione del duce?
Guardi non mi parli della vicenda di Galeazzo Ciano, perché l’ho vissuta dopo. Vuol dire che la vivo adesso, perché non ho capito niente di quello che succedeva li. Sapevo soltanto che Ciano era stato giustiziato, mi sembrava una cosa assurda, non riuscivo a capire, e non riuscendo a capire non ci volevo nemmeno pensare. Mi ricordo che alla direzione del partito tutti dicevano che Mussolini no avrebbe mai permesso la fucilazione di Ciano. Una decina di giorni dopo la fucilazione, l’ho scritto anche sul mio libro, sono andata da Mussolini e lui mi ricevette con una lettera in mano e credo mi aspettasse per potersi sfogare. “Ho qui una lettera di Edda – mi disse appena entrata – una lettera terribile. – gridava sventolando il foglio - Capirai ha ragione, ha ragione, Galeazzo è il padre dei suoi figli. Ho fatto tutto quello che ho potuto – era agitatissimo – i tedeschi sono stati irremovibili, non ho potuto, non ho potuto” era stravolto. In quel momento ho cominciato a capire la tragedia, perché interessava il lato umano delle cose. Me lo ricordo ancora li, con quella lettera in mano.
Lui voleva opporsi all’uccisione di Ciano?
Si, evidentemente
Mussolini che giudizio aveva dei tedeschi?
Durante la Repubblica sociale ogni giovedì avevo un colloquio con lui. Ricordo un giorno che arrivai da lui e come al solito cominciavo il mio discorso dicendo: “la gente dice….”. Lui prese per un attimo il respiro, poi mi disse una frase che è impossibile dimenticare: “Ma il popolo italiano non si rende conto che io sono praticamente prigioniero sulle rive di questo infausto lago”. Già in quattro parole aveva detto tutto: aveva detto che era prigioniero dei tedeschi, aveva detto che quel posto in cui viveva non lo faceva stare bene. Quindi anche lui, si rendeva conto dell’oppressione dei tedeschi, ma nella sua posizione non poteva apertamente dire: “Non posso sopportare i tedeschi, sono prigioniero dei tedeschi”. Lo disse a me, e forse a qualcun altro, ma doveva sentirsi sorvegliato, prigioniero, non libero di agire come voleva. Del resto tutti erano sorvegliati, era sorvegliata la Petacci, come in seguito ho saputo di essere stata sorvegliata io.
Ma la complessità del Duce come era vissuta all’interno del suo entourage e del partito?
Sicuramente ci sarà stato chi l’ha capito e chi no. Uno che era sempre in lotta con Mussolini è stato Roberto Farinacci, il quale nello stesso partito, era considerato un ribelle, uno che voleva prendere il suo posto. Io non credo che Farinacci volesse effettivamente prendere il posto di Mussolini, ma quando si scontrava con lui lo faceva con eccesso di sincerità.
Se c’è stata una persona sincera e anche se non del tutto positiva nel suo modo di voler amministrare il fascismo a differenza di come lo faceva Mussolini, era proprio Farinacci. Mussolini gli voleva bene e quando litigava con lui, lo allontanava perché si arrabbiava, poi sempre lo richiamava lo riprendeva, perché in definitiva sentiva sempre che era sincero, proprio perché era così ribelle, così critico nei suoi atteggiamenti.
Era l’unico gerarca che avesse un rapporto sincero con il capo del fascismo?
Guardi, io di gerarchi ne ho conosciuti pochi. Di Farinacci avevo un’opinione, che poi si è rilevata sbagliata, scaturita dall’atteggiamento degli altri che lo definivano antagonista di Mussolini, in agguato per impossessarsi del potere. Poi, leggendo alcuni libri e testimonianze varie, ho capito perché Farinacei agisse in quel modo. Può sembrare sciocco o presuntuoso, ma in un certo senso mi è sembrato di avere con lui certe affinità di comportamento.
Dico questo, anche perché io e Farinacci siamo legati astrologicamente. Farinacci era una bilancia, io sono una bilancia, e ci sono queste forme di indipendenza e di ribellioni nel carattere di chi nasce sotto questo segno. C’è chi non crederà al carattere scientifico dell’astrologia ma da un punto di vista psichico c’è una base comune per gli appartenenti di uno stesso segno. Questa forma di ribellione e a volte di eccessi, che poi si componevano con fatti più concreti e più umani, è tipica della bilancia.
Dei politici del periodo fascista e del dopoguerra, chi ricorda meglio?
Ho conosciuto bene Bufarini Guidi, perché veniva spesso a trovare mia mamma. Lui veniva a casa nostra, se c’era un problema lo raccontava a mia mamma perché lei lo riferisse a Mussolini e magari influisse su di lui. Per esempio in occasione del tradimento de Gran Consiglio verso Mussolini. Ricordo che, Bufarini venne da noi sperando di poter avere un aiuto nel far capire al duce che c’era in corso un complotto contro di lui. Allora io e mi madre decidemmo di scrivere una lettera a Mussolini per metterlo sull’avviso che c’era questo complotto contro di lui. Il commento di Mussolini alla lettera fu: “Non ti sembra di avere esagerato un po’”. Quella domenica, Mussolini aveva telefonato a mia madre e le aveva detto “Va bene oggi ci vediamo, verso le quattro, ti telefono io quando ritorno perché alle 2 vado dal re”, allora mia mamma lo mise in guardia, “Ma vai dal re, dovresti stare attento” ribadendo ciò che avevamo scritto nella lettera. Mussolini le rispose, quasi seccato: “Il re mi vuole bene, il re è un galantuomo, io mi fido del re” e invece fu preso prigioniero.
Durante la fuga di Mussolini due elementi sono rimasti importanti: il carteggio Curchill e il presunto oro di Dongo. Lei cosa si ricorda?
Dei documenti si. Mussolini è salito sull’autoblindo, si è seduto vicino a me, estrasse dalla giacca una busta di pelle e la messe sulle ginocchia. Mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Qui ci sono dei documenti molto importanti, che spiegheranno le ragioni vere della guerra e il mondo si stupirà”. La racconto volentieri questa storia, perché nessuno mi ha mai voluto credere o forse ha fatto finta di non credermi.
Che fine hanno fatto quei documenti?
Scomparsi. Io sono sicura che al momento che è stato preso dai partigiani lui aveva i documenti con se. Ho saputo che il partigiano Pier Bellini delle Stelle gli ha preso questi documenti dicendogli “Cosa c’è in quella busta?” e Mussolini pare che gli abbia risposto “Ci sono dei documenti importanti che vorrei tenere”, ma Bellini non gli lo permise, prendendosi la busta con i documenti, e poi tutto sparì.
E il presunto oro di Dongo?
Certo che c’era il tesoro. Sono andata anche a testimoniare al processo chiamato “L’oro di Dongo”. In quella colonna di automezzi c’era l’intero governo della Repubblica Sociale Italiana, con tutti gli averi di uno stato, che per quanto piccolo fosse, erano milioni e milioni. Una parte di questi tesori furono trafugati dai donghesi, dai mussesi, da tutta la gente che abitava in quelle zone. Questo può raccontarglielo bene, Alberto Botta, che all’epoca era un ragazzino, ma suo zio era un attivista partigiano comunista e lui stesso consegnò ai comunisti buona parte dei preziosi requisiti. Io in realtà fui presa dai partigiani e non seppi nulla. Forse qualche ministro non avrà avuto con se tutti i suoi averi, qualcuno aveva soltanto dei gioielli, ma c’era anche chi aveva delle valigie piene di banconote della Repubblica per milioni e milioni. Addirittura c’erano dei fogli di banconote che non erano ancora stati tagliati. Allora, non so come per quale motivo, molti gerarchi e ministri capirono che le cose si potevano mettere male e iniziarono a portare nelle case che trovavano strada facendo le loro valige i loro averi, addirittura qualcuno lasciò in consegna anche i propri figli, col dire che sarebbero passati a riprenderli in seguito. Addirittura un’amica di Botta aveva nascosto questi soldi nel granaio, e dopo tanti anni, quando questa persona morì, sono andati a mettere a posto le sue cose, ritrovarono nella stalla le valige con i soldi della Repubblica sociale, scaduti. Poi c’erano gli stipendi anticipati di molti funzionari, quasi dieci mensilità ciascuno.
Quanto prendeva lei di stipendio?
Io prendevo molto. Prendevo 7500 lire al mese.
Di cosa si occupava nella Repubblica Sociale?
Quando stavo a Roma, nel 1943, ero nella segreteria del ministro dell’economia corporativa, Silvio Gai. Poi siamo stati trasferiti a Padova, ma dopo poco tempo il ministro fu destituito e fui mandata all’ufficio stampa. Alla fine mi trasferii a Maderno con Giulio Gai alla sede dell’organizzazione giovanile “Onore e Combattimento” che faceva parte della direzione del partito fascista di cui segretario era Alessandro Pavolini.
Che clima si respirava nella Repubblica Sociale; un clima di precarietà, di accerchiamento oppure di speranza?
Parole troppo belle. Eccetto qualcuno, negli uffici primeggiava la speranza di vincere e poi avere delle prebende, dei vantaggi, quando saremmo ritornati a Roma.
Qual è il suo ricordo più bello del fascismo?
Non ci crederà ma il ricordo più bello è quando sono andata su in cima alla vetta della Grignetta, dietro a Bellano sul Lago di Como, insieme a due medaglie d’oro dell’alpinismo di allora e un’altra ragazza. Ricordo quando siamo arrivati in cima, dopo l’emozione della salita, sono addirittura caduta rimanendo in bilico nel vuoto, trattenuta e recuperata dai due alpinisti, Vittorio Bramani e Vittorio Gatti, che erano partigiani. Gatti, che per nome di battaglia lo chiamavano Topo, mi disse “Senti Elena, noi siamo partigiani e tu sei fascista, ma su questa cima e di fronte a queste montagne che noi amiamo tanto facciamo un patto. Se succede qualche cosa a noi tu ci aiuterai, e se succede qualche cosa a te noi promettiamo di aiutarti e adesso…”. Le nostre mani si sono posate una sull’altra e i due partigiani hanno iniziato a cantare “Fischia il vento, infuria la bufera ….”, poi quando finirono, “E ora tu canta Giovinezza”, mi disse Topo.
Una riconciliazione privata?
Tutti noi pensavamo che la guerra sarebbe finita in quel modo. Chi legge il mio libro, sia giovani e meno giovani, si sofferma proprio su questo episodio che rivelava la vera natura del rapporto fra gli italiani, fascisti e partigiani. Tutto questo odio che si è sviluppato dopo è qualcosa che è stato iniettato nella coscienza delle persone in modo intenzionale, per dividere il paese, cosa che serviva ai politicanti per mantenere le loro poltrone e nient’altro. Invece per noi combattenti, il sentimento era quello di ritrovarci, anche da vincitori e vinti, ma mai di continuare a farci la guerra anche dopo.
Poi a Musso la vostra colonna è stata fermata, è li che ha visto per la prima volta gli “altri” partigiani? Cosa rappresentano per lei i partigiani?
Quando mai si vedevano in faccia i partigiani? Io non posso svincolarmi dalla sensazione e dal ricordo che i partigiani ci attaccavano a tradimento e alle spalle, sicuramente non tutti lo facevano. Noi guardavamo in faccia le pallottole, noi siamo andati a difendere a modo nostro il nostro paese e loro, invece erano catechizzati dagli alleati. Ma gli alleati chi erano? Erano i nemici del giorno prima.
Comunque ci sono tanti fascisti che si sono politicamente riciclati nella Democrazia Cristiana e addirittura nell’allora Partito Comunista?
Bisogna pure che in qualche posto andassero questi fascisti.
Ma per paura dell’antifascismo?
Guardi una volta c’era una barzelletta che raccontava il dialogo di due inglesi. Uno domandava all’altro: Sai quanti milioni di abitanti ci sono in Italia? Allora lui gli rispondeva: 45 milioni, ma l’altro ribadiva No sono 90 milioni, 45 di fascisti e 45 di antifascisti. Quindi arriviamo ad una conclusione, che può essere molto normale da capire. Tutti i popoli, tutte le guerre, tutti i cambiamenti di potere, hanno determinato a loro volta dei cambiamenti, che si vogliono rappresentare come una cosa giusta e logica: invece c’era convenienza. Un fascista doveva pur mantenere la famiglia, avere una sua vita, quindi ci sono tante persone che sono diventate democristiane perché conveniva, tante sono diventate comuniste perché conveniva, ma qualcosa dovevano pur fare per vivere. Allora cosa facciamo lo condanniamo o lo perdoniamo? No ne l’uno ne l’altro, lo capiamo. D’altronde noi siamo stati sempre perdenti e continueremo ad esserlo, finche non arrivi qualcuno e rivendichi il vero significato della parola fascista e non ci confonde con i nazisti, perché noi non lo siamo mai stati e se c’è stato qualcuno che lo è stato non rappresenta certo i valori di un intero movimento. Noi eravamo fascisti, eravamo un’unione nata per difendere la patria.
Dunque per lei è questo il fascismo?
Certamente. Adesso se c’è qualcosa di male subito viene attribuito ai nazifascisti, ma noi non siamo questo, non lo siamo mai stati. Naturalmente c’era anche chi era fascista per convenienza, come oggi ci sono quelli che sono di destra o di sinistra per convenienza.
Lei ha lavorato anche con Alessandro Pavolini, allora ministro della propaganda? Che però è stato descritto come un fanatico.
Ero funzionaria di partito quando Pavolini era segretario del Partito fascista della Repubblica sociale. Nel mio libro dedico un racconto alla figura di Pavolini alla fine del quale lo definisco un “Uomo che aveva il fascino dell’intelligenza.
Si è stato descritto come un fanatico perché qualche manifestazione di fanatismo forse l’avrà avuta, se l’aveva lo faceva rischiando la propria pelle. In fondo la politica non è mai stata immune ai fanatismi. Molti anni fa ho rischiato di essere coinvolta nella politica e mi parve un mondo inaccettabile
Nel movimento sociale?
No, prima nel movimento Partito Democratico Fascista, fondato nel '45 da Domenico Leccisi, poi in altre situazioni ma ho sempre cercato di rimanere fuori dalla politica. D’altronde ho conosciuto molti politici di destra e di sinistra. Pino Romualdi, per esempio, deputato del Movimento sociale, Giorgio Almirante, ma non ero una sua estimatrice. Ricordo quando a Trastevere organizzavamo delle cene tra alcuni politici di destra e di sinistra, poche persone, ma il divertimento era garantito sia il loro livello culturale, sia nel modo elegante di come si sfottevano.
Per chi ha votato dal dopoguerra ad oggi?
Ho votato una volta per la Democrazia Cristiana, perché credevo che i valori cristiani dessero una concretezza maggiore e una maggiore garanzia di onestà alla politica.
Io volevo dimenticare tutte le offese che avevo ricevuto e fare la pace con me stessa. Poi dopo non ho votato per tanto tempo, finché per un paio di volte ho votato per Pannella, perché era diverso dagli altri. La prima volta ho votato Pannella perché in parlamento ha avuto il coraggio di dire che l’eccidio di via Rasella, che poi ha provocato le Fosse Ardeatine, era stato compiuto dal partigiano Bencivegna. In realtà Bencivegna, arrivato ad essere deputato, non si era presentato come l’autore dell’eccidio di via Rasella che avrebbe evitato la morte di 360 persone.
Per lei la destra è stata coerente con i valori del fascismo?
Nel dopo guerra c’era una paura da morire a proclamarsi fascisti. Dunque se per destra intende l’Msi, io sono arrivata alla triste conclusione, e Dio voglia che mi sbagli, e probabilmente mi sbaglio, che questo partitino e i suoi dirigenti, non hanno fatto altro che sfruttare quei pochi nostalgici del fascismo per mantenere il loro posto politico, curando i propri interessi, senza rischiare davvero per rivendicare quello che era giusto, quello che era il significato vero del fascismo; ossia l’amore della patria. Per esempio è un valore che è stato negato completamente, non si poteva assolutamente dire “La mia patria” per tanti anni dopo la guerra. In tutte le cose non c’è una sola verità, ci sono tante verità e non sempre si può esser eroi.
Ma a lei i politici della destra l’hanno considerata un personaggio da ammirare o perlomeno verso il quale nutrire un certo affetto o cosa?
Per carità, mi hanno sempre ignorata.
Ed oggi cosa pensa di Gianfranco Fini?
Ritengo che sia un ottimo oratore, che politicamente è molto efficace, soprattutto dal punto di vista diplomatico e della presenza, ma è troppo politico, ossia capace di cambiare in qualsiasi momento.
Cosa pensa allora degli attuali politici impegnati in una campagna elettorale che, a distanza di 60 anni, continuano a darsi del fascista o del comunista?
Per questo votavo Pannella. A parte gli scherzi, in realtà sembra qualcosa di assurdo che purtroppo è reale. Come si può accettare, a distanza di sessant’anni, che la massima offesa che si può fare ad una persona sia ancora quella di dirsi fascista o comunista. Molti politici si devono fare un esame di coscienza quando parlano del fascismo, quando dicono che al tempo del fascismo serviva la tessera per fare qualsiasi cosa. È vero, ma oggi per lavorare in un ministero, per avere un ruolo di potere, non serve avere la tessere dei Ds, di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, della Margherita, non è così?; allora cosa ci vengono a raccontare.
Cosa pensa dell’antifascismo, di quello che è avvenuto dopo la guerra, delle violenze subite dai fascisti?
Quando penso a questo cose odio gli alleati, odio i partigiani, odio Pertini, odio il colonnello Cadorna che è il personaggio più detestabile che possa essere esistito nell’esercito italiano. Mussolini aveva creduto in Cadorna, lo aveva aiutato anche se lui era un’antifascista. Durante il fascismo era stato bocciato agli esami di strategia di guerra, allora il duce disse “Cadorna, è un nome troppo importante nella storia d’Italia, figlio di un grande generale, non va bocciato”. Sembra che questo trattamento abbia generato odio invece di riconoscenza nell’animo di Cadorna, solo gli essere meschini odiano chi li abbia aiutati.
Che cosa ne pensa della demonizzazione di Mussolini?
Tante cose si potrebbero dire sulla demonizzazione di Mussolini: per esempio che si tratta di un processo ancora in corso che coinvolge tutta la storia, poi che è stata una grande truffa fatta al popolo italiano al quale si è nascosta la verità.
Che intende dire con questo?
Che i vincitori della seconda guerra mondiale, fra i quali l’Italia, per l’affermazione del loro potere hanno dovuto decretare lo sterminio di Mussolini come uomo politico, come uomo della Storia. E per questo hanno occultato e tergiversato la verità. Una truffa storica insomma.

E perché avrebbero dovuto?
Per l’affermazione dell’imperialismo Americano in nome della libertà e della democrazia.
Lei non è d’accordo su questi principi?
Ma certo. E chi no? Personalmente sono molto indipendente, forse anche un po’ ribelle, ma credo nei valori fondamentali dell’essere umano: sono dentro di noi, fanno parte di noi. Tuttavia la realtà di questi 60 anni di democrazia non mi sembra abbiano migliorato molto la realizzazione della libertà.
Intanto, e non credo di essere sola in questo, personalmente mi sono sempre sentita scomoda, inibita dentro di un sistema dove sembra sempre di dover ringraziare qualcuno per averti permesso di sopravvivere. Già questa, non è democrazia. Il mio Paese e cioè l’Italia, la mia Patria è e deve essere il Paese di tutti gli italiani. Non dico materialmente, in quanto tutto cambia con i cambi generazionali, con il progresso scientifico, con l’apparizione dei problemi ecologici e religiosi, con la società dei consumi, con l’unione europea, con l’euro, ecc... Inoltre è chiaro che ognuno ha il dovere di amministrare la propria vita lottando per raggiungere le mete che si prefigge, così è il giusto ordine delle cose. Nessuno chiede nulla. Quando parlo di disagio mi riferisco agli ostacoli morali creati, che offendono la dignità della persona, che sono dettati dal rancore, dal gusto di umiliare per esercitare maggior potere. Impedimenti morali che sono peggiori della lotta per il pane quotidiano.
In una società dove si privilegiano e si condannano legalmente le persecuzioni morali nella famiglia, nel lavoro, in ogni campo come una conquista per tutti sia di italiani che di extracomunitari, come si può governare un Paese alimentando le divisioni? Sembra di essere ancora al tempo dei Guelfi e Ghibellini. Le conseguenze di questo stato di cose non possono che condurre o alla rinuncia del proprio diritto di giustizia e quindi alla rinuncia della propria dignità, o alla ribellione.
Vuol dire che lei si è sentita umiliata?
Mi sono sentita discriminata a partire dal 1945, offesa non tanto personalmente come individuo, (e con me sicuramente molti altri tra i Repubblicani della Rsi dico Repubblicani e non repubblichini, come siamo definiti con la solita ironia buon mercato dalla stampa in generale) ma come combattente della seconda guerra mondiale. Sono stata Sotto Tenente della S.A.F. e come tale ne ho passate a sufficienza per poter dire che ho fatto la guerra.
Credo nel modo più concreto e deciso che la società Italiana, la stampa e il Governo devono prodigare lo stesso rispetto verso tutti i combattenti sopravvissuti e quelli caduti, che hanno lottato per difendere i confini e l’onore della Patria da una parte e dall’altra. Invece ancora si discute, dopo più di 65 anni se dobbiamo essere equiparati ai combattenti partigiani, che fra l’altro erano notevolmente inferiori in numero di noi.
Si parla e si discrimina come se ci fossero due Patrie, quella del C.L.N., al quale non è parso vero di poter far fuori in tutta fretta Mussolini, il capo di uno stato riconosciuto dagli altri stati, senza un processo, senza l’ordine di una autorità legalmente costituita. E l’altra Italia formata da parecchi milioni di italiani che tra massacrati e discriminati vengono considerati italiani di categoria inferiore. Il tutto alimentato da chi possiede l’autorità di influenzare l’opinione pubblica. È questa la democrazia che pretende di fare la Storia e di insegnarla nelle scuole?
Allora per lei come dovrebbe essere la democrazia?
Non si tratta di me. La democrazia cioè il governo del popolo secondo l’etimologia della parola è il trionfo della giustizia, liberta e uguaglianza. Più passa il tempo più mi sembra molto duro lo scotto che gli italiani continuano a pagare per appartenere al consesso dei vincitori, ossia coloro che ci hanno regalato la democrazia in cambio di tanti morti, ma soprattutto in cambio dell’odio che ancora ci divide. Si parla di libertà di stampa e si può persino insultare, ma tutti, o quasi, sembrano stare in trepida allerta alla ricerca delle streghe, come negli U.S.A. negli anni ’50 quando temevano l’infiltrazione del comunismo. Adesso si teme il ritorno del Fascismo. Una battuta di spirito, una mano alzata per salutare diventa apologia. La politica e la storia si ripetono con colori diversi.
Lei forse conosce un rimedio?
Mi sta provocando per caso? Non mi attribuisca intenzioni che non ho. Le assicuro che non intendo rifare il mondo, ma ho si la pretesa di dire ciò che penso, in nome della libertà che tanto mi chiede in cambio.
Non le sembra un giudizio un po’ severo e addirittura parziale?
Gli italiani non sono così sciocchi da non essersi accorti che nelle scuole è stata completamente ignorata la nostra storia dal 1922 fino all’aprile del ’45. Ci sono generazioni che non sanno che almeno fino a 1939 l’Italia era diventata un Paese rispettato nel mondo. Vuole che le racconti il perché?
Si, certo.
Riprendo da un articolo pubblicato da Feltri: Mussolini ha fatto molto per il suo, per il nostro Paese: si è adoperato personalmente affinché venissero riconosciuti i meriti della nostra Nazione che aveva dato un contributo notevolissimo alla sconfitta degli Austriaci ed alla caduta dell'Impero austro-ungarico nel corso del Primo conflitto mondiale, contrariamente a quanto, invece, avevano fatto i leader politici che lo avevano preceduto al Governo del Paese; ha dato all'Italia una dimensione internazionale, mai avuta fino ad allora.
Ha sostenuto lo sviluppo di una politica economica salda e forte, portando in attivo le casse dello Stato tramite interventi sociali importanti come: "La battaglia della lira” e "La battaglia del grano" e con il recupero di vastissime aree malsane da destinare a terreno coltivabile attraverso quell'opera colossale da tutti conosciuta, come "La Bonifica integrale". Si è imposto, quale arbitro assoluto, nella riurbanizzazione di molte città dando l'incarico ad ingegneri ed architetti di progettare e realizzare nuove strade, case, scuole, chiese, stazioni ferroviarie, uffici postali, acquedotti, centrali elettriche, porti, monumenti. Mussolini ha fatto molto di più di chiunque altro venuto prima di lui e dopo di lui realizzando, per esempio, ben 1.600 i metri di rete ferroviaria e pavimentando oltre 16.000 km di strade.
E che dire, inoltre, della creazione di enti come l’I.N.A.I.L., l’I.N.A.M. e l'I.N.P.S. Quanti sanno che, sempre durante il Ventennio, furono creati, l’I.M.I. e l’I.R.I. I Patti Lateranensi, che nel '29 hanno sancito il nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Anche nel campo scolastico come in quello legislativo, Mussolini, ha posto il suo sigillo con importantissime riforme come la riforma Gentile. Nell'arco del primo periodo, s'inquadrano anche gli interventi in Africa Orientale e Spagna.
Dunque la demonizzazione di Mussolini in un certo senso è stato il tentativo di cancellare una parte della storia?
Spesso si sente dire che gli italiani creano gli idoli per avere il piacere di distruggerli. Ovunque e in tutti i tempi è stato così, se no non esisterebbero tanti monumenti, neppure i romanzi storici che si confondono con le leggende. Ma l’idolo Mussolini non è ancora distrutto malgrado il mondo intero si sia unito per massacrarlo.
Intanto non dobbiamo dimenticare che, come ci insegnavano fin dalle elementari, l’Italia non era una dittatura, ma una monarchia costituzionale, con un re responsabile della pace e della guerra al quale toccava, sia la decisione definitiva, sia la firma di conformità per tutte le imprese del paese, compresa la nomina o la destituzione del capo del governo. Non dimentichiamo che si tratta di un re, Vittorio Emanuele III, che fece un trattato di armistizio di nascosto, che fuggi buttandosi in braccio ai nemici del giorno prima, lasciando gli italiani soli a risolvere i problemi contro i tedeschi furibondi perché traditi.
Tutto ciò che dico è documentabile e documentato: qualcuno ricorderà la massa di soldati lasciati soli allo sbando, senza comando, senza caserme, bivaccando nelle strade della città in ricerca di un rifugio. Io ero a Roma: i marciapiedi dei Parioli erano popolati di soldati senza meta, mia madre diceva con le lacrime agli occhi “Sembra Caporetto”, ricordando la storica tragedia della prima guerra mondiale. Soldati e truppe che ancora non sapevano di dover decidere da soli, se stare con gli uni o con gli altri, o sia con i tedeschi o con il capo supremo in fuga, secondo l’ambiguo proclama di Badoglio: "Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza". Così nacquero e si formarono i presupposti per la guerra civile fra la Repubblica Sociale Italiana e partigiani. Guerra alimentata dalla propaganda straniera: inglesi, americani, slavi russi, loro insegnarono agli italiani l’odio e la crudeltà, insegnarono a colpire alle spalle i loro propri fratelli e noi, gli italiani a crederci, perché siamo sempre stati filo qualcun’altro.