spettacoli

Le confessioni di una star che è rimasta sè stessa.

sabato 26 luglio 2003
di Marco Sciarra.
È difficile essere un artista serio senza diventare serioso, essere un cantante impegnato senza la voglia di risultare impenetrabile, manifestare idee politiche senza scadere nella lotta senza quartiere, scrivere di sentimento senza scivolare nel sentimentalismo.

Ma per fortuna ci sono anche molti equilibri, tra la necessità, ad esempio, di vendere dischi e il desiderio di rivolgersi a un pubblico selezionato. Tra il bisogno di vivere con ironia e la tentazione di essere sempre e comunque sopra le righe.

Tra la voglia di ritagliarsi i propri spazi e la paura di sembrare indisponente. Ci sono equilibri che Niccolò Fabi padroneggia con noncuranza, quando lo incontri per il corso di Orvieto, mentre passeggia da solo con la sua birra, inseguendo le note di Umbria Jazz Winter; quando saluta gli amici, la mamma toscana, i fan; quando sta sul palco, e senza troppe sofisticazioni propone la sua musica e apre il suo mondo.

Così, nessuna meraviglia se la scorsa domenica, a Chiusi, si aggirava dietro al palco per sistemare le ultime cose due ore prima del concerto. Nessuna meraviglia se si è presentato alla gente di quella terra che conosce bene, come «il figlio della Giannella di Macciano». E sul palco Fabi ha ricordato la sua infanzia nelle campagne chiusine, dai parenti della madre, e ha parlato di come fosse strano riappropriarsi da quel palco dei colori e dei sapori di una terra che lo ha visto bambino. Ha detto belle e pudiche parole anche sul grande privilegio di vedere i propri pensieri, nati spesso per caso, legati ai brividi altrui e a momenti di vita di gente che non si conosce.

Ha raccontato soavemente di politica, di sentimenti, di frustrazioni. Ha cantato di rabbia e di amore, aprendo un universo fatto di sintesi sublimi tra ritmi e melodie per tutti e parole per non molti.

Testi seri vissuti come assolutamente normali, e canzoni ironiche proposte da chi si capisce che ha progettato tutto con cura e serietà, ma che non se la sente proprio di prendersi sul serio.

Bellissimi i pezzi tratti dall'ultimo album, che testimoniano di un Niccolò Fabi maturo e coraggioso. E interessanti anche gli arrangiamenti dei successi di sempre, da «Vento d'estate» a «Dica», con cui ha concluso il concerto, da «Lasciarsi un giorno a Roma» ad una rivisitazione "branduardiana", sia nel testo che nella musica e nei gesti, di «Capelli».

Bel concerto, belle canzoni, e bella atmosfera sul palco, con Fabi che scherza con la sua band e sorride quando, nonostante la sua laurea in filologia romanza, gli scappa uno strafalcione di Italiano. E bella atmosfera anche quella del backstage, dove tutto si è svolto, ben indirizzato dal suo staff, secondo rituali prestabiliti: all'inizio gli autografi ai fan, poi un saluto ai parenti, prima fra tutti la mamma, che aveva assistito per la prima volta ad una concerto del Tour «La cura del tempo».

E poi gli amici dei parenti, e i parenti degli amici, che si sono profusi in un susseguirsi di «Ti ricordi quando venivi a messa coi tuoi bei riccioloni biondi?», «Ti ricordi di Silvio, un amico della Giannella?», «Ti ricordi…», «Ti ricordi…».

E subito dopo gli amici più cari, di Chiusi e di Bolsena, con cui parlare sorseggiando birre e programmando incontri, mentre mamma Fabi si rivolge all'addetto stampa per avere conferme della bravura del figlio, informazioni sui prossimi impegni, delucidazioni sulla nuova ragazza straniera, anticipazioni sulle voci che vogliono per settembre l'uscita del singolo «Offeso», un inno rabbioso ma composto duettato con Fiorella Mannoia,…

E poi, scusandosi per la lunghezza dell'attesa e ringraziando per l'attenzione dedicata, è la volta mia, spaurito e divertito giornalista che vorrebbe fare una domanda, alla luce di quanto appena visto e sentito nel concerto, del coinvolgimento emotivo verso quei brani e dell'ammirazione per la maniera di porsi e di proporsi. Una domanda sola, breve, a chi ha cantano delle sue paure e dei sui affetti, a chi si è esibito per sconosciuti forse distratti (il concerto era gratis!) e sotto gli occhi di amici e parenti: «Cosa è per te il pudore»? E così, tra la sorpresa per l'insolita domanda e la voglia di non dire la prima cosa che viene in mente e che spesso non corrisponde alla verità, ha risposto: «È una protezione» e ha aggiunto, dopo una pausa, «ma è anche rispetto per gli altri», ed è iniziata una bella e tranquilla chiacchierata sull'ironia, sul gioco, sulla musica, sull'arte, e, ovviamente, sul pudore di chi canta i propri sentimenti e si esibisce, sebbene fondamentalmente timido. «Del mio pudore -ha detto- vedo due aspetti contrapposti: quello negativo è la difficoltà di mettersi a nudo, quello positivo è evitare l'esibizionismo».

E poi ancora chiacchiere, sui riarrangiamenti dei brani, su Orvieto, sugli amici, sul mondo, con nuove scuse per la lunga attesa e un immancabile sorso di birra.

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