Da Smart City Exhibition Cittaslow lancia la sfida del modello Barcellona
Trasferta bolognese per Cittaslow International, che con alcune delle sue case history più interessanti sta partecipando a Smart City Exhibition 2013, la tre giorni che Bolognafiere dedica dallo scorso anno alla progettualità smart delle città. Vari i livelli della manifestazione, tutti nel segno della costruzione delle città intelligenti, sostenibili e inclusive, anche quando gli argomenti di discussione dovessero apparire, di per sé, parcellizzati. Si va dalla narrazione di esperienze esemplari all'organizzazione urbana e sociale, dal tema della programmazione partecipata a quello della trasparenza e degli open data, e ancora ampio spazio ai nuovi orizzonti tecnologici, ma sempre intesi come funzionali al benessere e all'inclusione di cittadini e cittadine, o come determinanti per le nuove economie o per le strategie di territorio.
In questo quadro dunque, coordinata dal direttore Pier Giorgio Oliveti, l'ormai ventennale realtà di Cittaslow non poteva mancare. E è da Bologna che l'associazione fondata a Orvieto nel 1999, che a Orvieto ha la sua sede internazionale e che qui ha festeggiato pochi giorni fa al Teatro Mancinelli l'importante compleanno, lancia una nuova sfida per le città del futuro.
Se fino a oggi, infatti, il modello della città vivibile e fortemente identitaria di Cittaslow è stato applicato alle piccole realtà - di qui le esperienze di Grumes, Novellara, Pollica, Midden-Delfland e Termoli portate a Bologna - ora l'associazione si appresta, grazie a importanti contatti intavolati da tempo con Barcellona, a proporsi anche alle grandi metropoli. Perché la città del futuro - ha spiegato a Smart City Exhibition l'architetto Vicente Guallart, urbanista referente dell'ayuntamiento della vivace e multiculturale metropoli catalana - non è la città che accentra sotto un unico modello le varie e diverse cellule periferiche, ma quella che comprende, rispetta e valorizza le differenze dei molteplici quartieri connettendole, in senso sociale e digitale, grazie una volontà politica unica, ma al servizio delle multiculture degli abitanti. In pratica tanti quartieri slow dove, come nel web, le molte identità non solo si connettono ma diventano glocali, nicchie preziose di differenze da potenziare, comunicare e condividere nel locale e con il mondo proprio per le forti particolarità. Una sfida che sembra quasi utopica ma che, a ben pensarci, è l'unica via per sfuggire al degrado o all'isolamento, in certi casi anche dorato ma falso, delle sperimentazioni urbanistiche centrifughe o delle banlieu.