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Da Lewis a Disney. Il mondo parallelo di Narnia
mercoledì 24 maggio 2006
di Maria Luisa Salvadori
Il 21 dicembre scorso, per la gioia di grandi e piccini e come di prammatica in piena “attesa” natalizia, è approdato sul grande schermo il nuovo film di Walt Disney, Il leone, la strega e l’armadio. Si tratta della versione cinematografica di un lungo racconto di Clive Staple Lewis, per gli amici Jack, anima irlandese imbevuta di fede e di libertà, scrittore tra i più grandi del Novecento. Riprendiamo l’evento per riflettere sul suo valore mediatico e sull’auspicabile, conseguente maggiore diffusione dell’opera di Lewis, studioso, saggista e scrittore d’ispirazione evangelica.
Una serie non pianificata
Il film, diretto da Andrew Adamson, è a tecnica mista: animazione e recitazione insieme. “Il leone, la strega e l’armadio”, pubblicato per la prima volta nel 1950(1), è uno dei sette romanzi per ragazzi scritti da Lewis che hanno finito per comporre il ciclo delle “Cronache di Narnia”, capolavoro della letteratura anglosassone del Novecento. Gli altri furono scritti e pubblicati di seguito, uno all’anno, senza programmazione alcuna e fino al 1956.
Ogni romanzo è nato per sé, quando il precedente era già compiuto e il successivo non era neanche stato ipotizzato. Il risultato è che ciascuna storia “dialoga” con le altre, ma nessuna deriva la propria compiutezza dal legame di concatenazione con le rimanenti. E’ il ricorrere di alcuni elementi narrativi e la sostanziale unitarietà della vena ispiratrice che fanno “il corpo” delle Cronache. Tutti i romanzi sono ambientati nella terra di Narnia; periodicamente, mentre nascono nuovi protagonisti e prendono consistenza nuove trame, ritornano i personaggi del primo episodio o di quello precedente; tutte le storie si reggono sul medesimo asse tematico: la lotta tra il bene e il male e l’affermazione del primo, sempre con l’aiuto di una Forza superiore. Una speciale abilità creativa, la sottile tensione del filo narrativo e una rara limpidezza del tratto letterario fanno il resto: i sette lunghi racconti si compattano armoniosamente in una serie dal sapore unico e coinvolgente.
La Narnia di Lewis è una terra di animali parlanti contrapposta a quella degli umani. Il nome scelto dall’autore ha a che fare con la città italiana di Narni. Nequinum, antico insediamento di Umbri posto a nord di Roma, ebbe la nuova denominazione latina di “Narnia” a partire dal 299 a. C., quando Roma conquistatrice la concepì come nuovo punto di difesa sulla via Flaminia.
Che Lewis si sia ispirato alla Narnia Romana lo afferma anche Walter Hooper, tra i più accreditati e autorevoli biografi dello scrittore irlandese, riferendo di aver ricevuto dalle sue stesse mani una cartina d’Italia tratta dal “Murrey’s Small Classical Atlas” (Atlante pubblicato nel 1904) su cui lo scrittore aveva studiato ed evidenziato le linee stradali consolari dirette da Roma verso nord. Nella stessa circostanza, Lewis confidò a Hooper che aveva tratto ispirazione proprio da quella mappa geografica per decidere il nome della sua magica terra fantastica(2).
Tra realtà e sogno
C.S. Lewis era un fine conoscitore della lingua e letteratura latina: tutta la lunga corrispondenza con Don Calabria(3) (1947/1954) fu intrattenuta rigorosamente in latino. Non devono certo essergli sfuggiti i numerosi riferimenti alla Narnia romana presenti nei testi di autori classici (Livio, Tacito, Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane…). Le suggestioni del loro narrare devono aver influito non poco sulla giovane immaginazione di Lewis che, sotto la guida del precettore Kirkpatric e in particolare tra i dodici e i venti anni di età, si era rivelato un grande appassionato dei classici latini. Successivamente, la stessa attività universitaria, prima ad Oxford e poi a Cambridge, lo portò a studiare in modo approfondito questo spaccato della letteratura(4).
L’odierna Narni è una ridente cittadina umbra in provincia di Terni, che deriva il suo particolare fascino dagli antichi fasti medievali, potere e splendore nell’epoca di mezzo. La Narnia di Lewis, invece, è un mondo parallelo immaginato dallo scrittore secondo una tendenza già palesata intorno ai nove anni. Allora, per stupire il fratello Warnie concepì e narrò Boxen, un regno fantastico popolato di conigli, eroi topi e nemici gatti. Erano senz’altro i progenitori degli animali parlanti di Narnia.
Lewis stesso dichiara che il racconto per l’infanzia di tipo fantastico è la forma espressiva che più gli si addice e più ama(5). E’ poi evidente il collegamento ideale con la tradizione classica delle favole, di cui è notoriamente protagonista un’assortita fauna pensante, arguta, loquace e dotata di sentimenti (Esopo, Fedro, La Fontaine). Una curiosità di ordine biografico ci fa riflettere sull’importanza che gli animali hanno avuto nella vita di Lewis: lo scrittore ha sempre voluto essere chiamato “Jack” da “Jaksie”, nome del cagnolino che morì in un incidente quando lui era bambino(6).
Se il nome del mondo immaginato da Lewis è legato a un’area dell’Italia – per altro mai visitata dallo scrittore irlandese – l’ambientazione scenografica delle Cronache è tutta ispirata ai paesaggi dell’Irlanda nord-orientale nella cui costa è adagiata la nativa Belfast. Si pensi alle imponenti masse granitiche e ai ghiacci delle Mourne Mountains, ma si pensi anche ai miti epici e alle leggende celtiche che Lewis ha respirato fin da bambino e poi assimilato, studiato e amato profondamente per tutta la vita.
Nel romanzo “Il leone, la strega e l’armadio”, quattro ragazzi, o meglio due figlie di Eva e due figli di Adamo, scoprono Narnia per caso. Lucy Pevensie, Susan, Edmund e Peter, al tempo della seconda guerra mondiale sono rifugiati presso la casa di campagna di un vecchio zio professore. Entrano nella straordinaria terra di Narnia attraverso un armadio magico.
La Strega Bianca rappresenta il male (fa di ghiaccio e di pietra tutte le cose), l’Ombra che distrugge il bene e il bello. Il male può essere sconfitto con la forza di volontà, la saggezza, il coraggio e la fede dei quattro ragazzi. Non si tratta di eroi, ma di alcune tra le tante “piccole mani” che possono salvare Narnia ponendosi al servizio di Aslan, il leone, “grande e terribile nell’aspetto, ma buono e giusto, che rappresenta l’emblema del bene e che si sacrifica per l’umanità, tanto da essere ucciso e poi risorgere come Cristo”(7). Il suo aiuto - come la Grazia - salva dai raggiri e dagli incantamenti delle creature malvagie (junghianamente parlando: dalla nostra parte Ombra in azione!).
Cinema e letteratura
Macmillan, il primo editore americano pubblicò i romanzi del ciclo di Narnia rispettando l’ordine originale di uscita e assegnando loro un numero progressivo. Successivamente l’editore HarperCollins – proprio come avviene per la più recente edizione italiana di Mondadori(8) - scelse una diversa distribuzione e numerazione, seguendo il suggerimento di un figliastro di Lewis, Douglas Greesham, a sua volta confortato da considerazioni che lo stesso Lewis aveva formulato in una delle sue tante lettere ai lettori.
La cosa provocò non poco scalpore tra gli appassionati cultori di Lewis. Costoro si rivelarono affezionati all’ordine originale dei romanzi, non tanto per purismo archeologico, quanto perché, posti in quella “sequenza”, i primi tre racconti introducono e spiegano elementi costituivi del magico universo di Narnia, creano un impianto più funzionale alla lettura delle altre storie.
Quando la Disney ha fatto la sua scelta di produzione, sicuramente ha avuto ben chiaro tutto questo: il romanzo “Il leone, la strega e l’armadio” condensa ed esemplifica - lasciandola aperta e fertile ad altri sviluppi - la “struttura” di pensiero e d’invenzione che ispira le altre storie, fino a configurare la loro sostanziale globalità/unitarietà. Tradotto in termini cinematografici, significa che la cosa può finire qui o inaugurare una felice “serie” di appuntamenti col grande pubblico.
Quest’ultima ipotesi non è peregrina se si tiene conto che il cinema ha ben scoperto il fantasy e che la serie di Harry Potter ha fatto da innesco a uno specifico filone di ricerca nella produzione per ragazzi.
Quello che invece non appariva e non appare scontato è che l’input della Rowling si stia traducendo in una caccia al meglio dei classici di genere: per intenderci, prima è approdato sul grande schermo “Il Signore degli anelli” di J.R.R. Tolkien(9) e ora “Le cronache di Narnia” di C.S. Lewis.
I due grandi scrittori, si sa, sono stati molto legati da enorme amicizia e profondi interessi filosofico-letterari. Tolkien fondò il noto circolo di amici e studiosi, prima denominato Coalbiters e poi, sembra per iniziativa di Lewis, ribattezzato Inklings. Il significato di questo termine apparentemente misterioso: “traeva origine dalla parola ink, che in inglese significa inchiostro e… suggeriva l’idea di persone con indizi e idee vaghe o solo abbozzate e che in più si dilettavano a usare l’inchiostro”. Ma già Coalbiter era una versione inglese dell’islandese Kolbitar (“morditori di carbone”) e “stava anticamente ad indicare coloro che si ritrovano intorno a un fuoco a narrare storie”(10). E il gruppo, tant’è, “diventò un vero e proprio laboratorio artistico, dove le produzioni di ciascuno venivano lette ad alta voce agli altri”(11). Tra i membri “storici” del gruppo ricordiamo Owen Barfield e Hugo Dyson. Tra quelli che andarono aggiungendosi nel tempo, dobbiamo nominare Charles Williams, con cui Lewis intrattenne un rapporto di amicizia, non meno importante di quello che ebbe con Tolkien.
La forza del mito
Ora, riprendendo la riflessione sugli orientamenti del cinema, è vero che andare alle migliori origini del genere fantasy in qualche modo tutela da alcuni rischi. Almeno teoricamente pone a riparo da una caduta di livello. Ma sicuramente c’è dell’altro su cui riflettere. L’industria non segue mai un generico intuito. Anche nel cinema il profitto è obiettivo principe, ma una politica di cassa minimamente intelligente obbliga a un qualche discernimento di merito, intercetta bisogni più profondi e si collega alla modernità dalla particolare prospettiva della ricerca di senso.
Sintesi prediletta o esordio di una serie, “Il leone, la strega e l’armadio” ha in sé un quid in più, che gli deriva non tanto dall’essere un romanzo “alto” del genere fantasy, quanto dall’intenzionale scelta dell’autore di portare nella narrazione la forza del mito. “I miti non sono bugie, inganni, gli aveva insegnato Tolkien: creando un mito, praticando la 'mitopoiesi' e popolando il mondo di elfi, draghi e spiriti maligni, l’uomo realizza di fatto il progetto di Dio e riflette un minuscolo frammento della vera luce. L’opera e la vita stessa di Lewis furono contraddistinte da questo desiderio di realizzare il progetto buono di Dio. Un ideale che si concretizzò nella ricerca della Verità e della Gioia”(12).
Direi che il nocciolo della questione sia in gran parte da ricercare in questa memoria di Paolo Gulisano, studioso della storia dell’Irlanda, scrittore e saggista di epica cristiana e uno dei più grandi esperti di Tolkien. A lui si deve, tra l’altro, il bellissimo volume C.S. Lewis. Tra Fantasy e Vangelo, uscito nel 2005 per l’Editrice Áncora(13), e dunque mentre era già annunciata la versione cinematografica del Leone, la strega e l’armadio.
Per i nostri avi, la natura tutta, cioè gli oggetti, i fenomeni e persino i luoghi, erano vivi come gli esseri umani. Questo animismo, che appartiene all’infanzia della specie umana come all’infanzia di ogni uomo, compensa l’impossibilità di comprendere gli eventi con l’uso della sola ragione. Di fronte all’incombere dell’irragionevole (nel senso di non-ragionabile perché fuori portata!), l’animismo genera il mito, cioè fornisce alla mente insoddisfatta il contenimento di un’immagine/spiegazione sostitutiva. Al tempo stesso, il mito introduce all’irrazionale, cioè consente di sperimentare la tollerabilità dell’incomprensibile, crea una prima familiarizzazione con “altre dimensioni” possibili e apre insospettabili varchi alla speranza.
Nel passaggio dall’ateismo, al teismo razionalista e infine al cristianesimo, Lewis pensa inizialmente al cristianesimo come a “una mitologia tra tante, l’unica nella quale ci è capitato di essere stati educati”(14), per scoprire infine - attraverso le conversazioni con Dayson e Tolkien - ciò che invece la rende unica, speciale e vera. “La storia di Cristo - scrive all’amico Arthur Greeves nell’ottobre del 1931 - è semplicemente un mito vero: un mito che agisce su di noi come gli altri, ma con la tremenda differenza che questo è davvero avvenuto. […] Cioè, le storie pagane sono Dio che esprime Se stesso attraverso la mente dei poeti, facendo uso delle immagini che vi ha trovato, mentre il cristianesimo è Dio che esprime Se stesso attraverso quello che chiamiamo 'realtà'”. Non è, dice, una “descrizione” di Dio (cosa che una mente finita non potrebbe racchiudere ) ma la via attraverso cui Dio sceglie di mostrarsi alle nostre facoltà. E aggiunge che tutte “le dottrine che tiriamo fuori dal vero mito sono certamente meno vere di questo: traducono in concetti e idee quello che Dio ha già espresso in un linguaggio più adeguato, la vera incarnazione, crocifissione e resurrezione”(15) .
Le immagini vengono prima
Il valore letterario delle “Cronache di Narnia” sta anche nel fatto che le premesse fideistiche di Lewis - la sua mozione interna così connotata dall’adesione al cristianesimo a lungo e duramente maturata - non si sovrappongono mai alla narrazione in modo esplicito. Nessuna tonalità didascalica inquina la scrittura, che anzi rimane limpida, profonda e gradevole, bella e coinvolgente.
Lewis è una delle più lucide menti del Novecento e tra le più straordinarie penne del secolo. Mai sarebbe potuto cadere nelle “defaillances” di un palese indottrinamento né mai, di fatto, ha commesso l’errore di prefiggersi questo scopo. Lewis si è semplicemente espresso, nella più congeniale formula creativa della fiaba, in forza di quanto era autenticamente e intensamente portatore; non ha mai scritto con intento proselitistico e tanto meno cercando di piegare l’arte letteraria a questo obiettivo indiretto. “Non ho mai fabbricato una storia – asserisce. - Nel mio caso il processo somiglia più al guardare gli uccelli che a discutere o a progettare qualcosa: vedo immagini che a volte hanno un sapore comune, un odore che le collega. Se si resta tranquilli a osservare le immagini si raggruppano, e se si ha particolare fortuna (a me non è mai capitato fin a questo punto) una sequenza prende forma con tale precisione che il racconto è già pronto sotto i nostri occhi. […] Non so se sia questo il modo tradizionale di scrivere e tantomeno se sia il migliore, ma è il solo che conosco: le immagini vengono prima”.(16)
Insomma, non è che Lewis pensasse di scrivere qualcosa per i bambini sulla cristianità e si avvalesse strumentalmente di una storia di maghi e di fate, magari dopo aver accortamente soppesato gli elementi di psicologia infantile che potevano suggerire la chiave allegorica più consona e incisiva rispetto all’età degli interlocutori. Lewis contempla le immagini che la sua mente partorisce in tutta autonomia; l’elemento cristiano s’ inserisce poi, per suo conto, in modo “fisiologico”, non pedagogico. E’ per questo che i romanzi di Lewis rimangono freschi, suonano vivi, sono esportabili, archetipici e dunque trasversali al tempo, allo spazio e alle culture.
In secondo luogo, Lewis è stato uno dei più convinti assertori dell’unità delle dottrine cristiane. Ad esempio, il lungo carteggio intrattenuto con Don Giovanni Calabria, modesto quanto illuminato e coerente prete italiano del veronese, è tutto ispirato dal desiderio di comprendere, spiegare, difendere e condividere “gli elementi che avevano unito i cristiani”. Lewis, anzi, “prese in prestito il termine di “mera cristianità” per esprimere ciò che egli intendeva quando parlava di 'enorme terreno comune' di schietta cristianità di fondo”(17).
A nostra volta, fuori da preconcetti culturali, possiamo riconoscere che in quello stesso terreno sono ben radicati i principi di ogni filosofia umanitaria, i valori trasversali ad ogni etica e politica che s’ ispiri al rispetto del bene e della vita su questa Terra. Non sarà dunque difficile arguire che l’alto valore simbolico e archetipico dell’opera di Lewis la colloca immediatamente ben oltre gli specifici rimandi allegorici. I suoi romanzi s’impongono per uno straordinario portato fantastico che coincide naturalmente, in modo semplice e diretto, con l’affermazione di universali immagini-contenuto, cioè universalmente riconoscibili e riconosciute tali.
Da ultimo, ma non ultima, la questione della gioia e della speranza, indicate e vissute da Lewis come forza portante del cristianesimo. Ha scritto Fulvio Panzeri sull’Avvenire che il ciclo di Narnia è una rivisitazione dell’avventura religiosa in chiave mitico-allegorica(18). Possiamo aggiungere che questa avventura è interamente permeata da positivi sentimenti di coraggio e luminosa speranza, istanze della migliore letteratura per ragazzi, profonda e non edificante.
Cosa succederebbe se…
Lewis ha lavorato a lungo sul tema dell’allegoria, ad esempio negli studi accademici sulle allegorie medievali dell’amor cortese(19). Ne ha poi dissertato nei carteggi, suggerendo per le sue idee-immagine il più appropriato termine di “supposizioni”, anziché di “allegorie”. Supponiamo un mondo con le presenze e le regole di Narnia, muoviamo dunque da un preciso e originale parto dell’immaginazione: come potrebbe coerentemente essere e coerentemente agire il Cristo che è già stato e ha agito su questa Terra? Appare evidente che il punto di partenza, lo start alla scrittura narrativa di Lewis, non è la divulgazione della morale religiosa in sé, ma il gioco della fantasia, il piacere di sperimentare - dall’interno di una cultura indiscutibilmente cristiana - una tecnica di creatività precorritrice di quella che Rodari una ventina di anni dopo definì “ipotesi fantastica”, per l’appunto innescata dall’assunto “ cosa succederebbe se…”.(20)
Questo fatto, la dominanza del fantastico sul teoretico, dell’autentico sul moralistico, è l’elemento primo che dà ragione dell’intramontabile fascino dei romanzi di Lewis. Conseguentemente, anche la scelta di Walt Disney appare sì comprensibile nelle logiche del capitalismo cinematografico, ma anche ben ponderata in termini di strategia culturale. Le “Cronache”, oggi come ieri, mostrano come il male agisce. S’ispirano al cristianesimo, ma senza rinviare ad esso. Rifarsi al Lewis delle “Cronache di Narnia” significa tentare di agganciare un emergente bisogno di ancoraggio alle realtà ultime e fondamentali della psiche, riproporre anche attraverso il grande schermo l’ordito mitologico dell’esistenza umana nella sua bipolare natura: un perenne oscillare tra odio e amore per il male, tra consapevolezza e smarrimento del bene, desiderio, conquista e perdita del buono-bello. Un asse di fondo, questo, semplice ma non lineare, essenziale e mai scontato, qualcosa che l’uomo moderno va sempre riscoprendo e ridefinendo, che il bambino di oggi ha bisogno di contattare e riconoscere, magari attraverso i tanti e diversificati linguaggi della modernità tecnologica.
Scrittore e comunicatore
I volti di Lewis sono almeno tre: dotto studioso della cultura latina e dell’antica letteratura inglese; scrittore religioso popolare; comunicatore radiofonico del cristianesimo.
Quest’ultimo aspetto ci pare particolarmente significativo anche con riferimento alle valutazioni sull’ “opportunità” di una produzione cinematografica ispirata alle “Cronache di Narnia”. In piena seconda guerra mondiale, Lewis acquistò fama a livello nazionale e internazionale per aver tenuto alla radio una serie di discorsi volti a diffondere i contenuti e la bellezza del pensiero cristiano. I discorsi furono poi riuniti in una pubblicazione dal titolo “The Case for Christianity”, che vide la luce nel 1942. L’ immediata popolarità della trasmissione si dovette alla speciale capacità di Lewis di rendere chiaro il trascendente, combinando lucida razionalità “aristotelica”, agile immediatezza espressiva e fervida, plastica fantasia.
Mi domando se, a partire da questo impegno “comunicativo” di Lewis nella rete radiofonica, non sia possibile arguire una qualche legittimità dell’odierna proposta cinematografica agli occhi dello stesso Lewis: mutatis mutandis, si tratta pur sempre di trasmettere “la forza del mito” al grande pubblico non altrimenti raggiungibile. Del resto, già alla fine degli anni Ottanta, la BBC ha realizzato una fortunata serie televisiva sui primi quattro romanzi del ciclo di Narnia: “Il leone la strega e l’armadio” (1950), “Il principe Caspian” (1951), “Il viaggio del veliero” (1952) e “La sedia d’argento” (1953)(21).
Editori di prestigio come Adelphi, Jaca Book, Mondadori e altri avevano già tradotto in italiano molte opere di Lewis; nuove edizioni e importanti saggi stanno uscendo a ridosso dell’evento mediatico firmato Walt Disney(22). C’è da sperare che, come altre volte è avvenuto, grandi e piccini non ancora approdati attraverso la lettura a un capolavoro come “Le Cronache di Narnia”, si avvicinino all’opera incuriosite dalla versione su grande schermo del romanzo “Il leone, la strega e l’armadio”.
E, visto anche che Mondadori, in appendice alla nuova edizione delle “Cronache di Narnia”, ci ha regalato il già citato saggio di Lewis sullo scrivere per l’infanzia… Dio ci salvi dalle riduzioni semplicistiche e di scarsa qualità!
Note bibliografiche
1) C.S. LEWIS, Il leone, la strega e l’armadio, in Le cronache di Narnia, Milano, Mondadori, 2005, p. 157
2) e 4)Cfr. G. FORTUNATI, Narni e Narnia. Dalla storia al fantastico. Alla scoperta della terra di Narni(a), Isola Rizza, Heos, 2005.
3) Le lettere tradotte in italiano si trovano all’interno del volume di G. CALABRIA – C. S. LEWIS, Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolico e un laico anglicano; introduzione e note di Luciano Squizzato; traduzione di Patrizia Morelli; prefazione di Walter Hooper; Milano, Editoriale Jaca Book SpA, 1995.
5) Cfr. C.S. LEWIS, Tre modi di scrivere per l’infanzia, in appendice a Le cronache di Narnia, op. cit.
6) Cfr. P. GULISANO, C.S. Lewis. Tra Fantasy e Vangelo, Milano, Áncora Editrice, 2005, p. 129
7) P. GULISANO, idem, p. 130
8) C.S. LEWIS, Le cronache di Narnia, op.cit.
9) . R. R. .TOLKIEN, Il Signore degli anelli:trilogia, edizione italiana a cura di Quirino Principe; introduzione di Elemire Zolla; prefazione alla seconda edizione inglese di J.R.R. Tolkien, illustrazioni di Alan Lee, Milano, Bompiani, 2004
10) P. GULISANO, C.S. Lewis. Tra Fantasy e Vangelo, op. cit., p. 49
11) Idem, p. 84
12) Idem, p. 15
13) P. GULISANO, C.S. Lewis. Tra Fantasy e Vangelo, op. cit.
14) C.S. LEWIS, Prima che faccia notte. Racconti e scritti inediti, a cura di Edoardo Rialti; prefazione di Thomas Howard; Milano, RCS Libri SpA, 2005. Dalla lettera ad Arthur Greeves del 12 ottobre 1916, p. 86
15) Idem, dalla lettera ad Arthur Greeves del 18 ottobre 1931, p. 89
16) C.S. LEWIS, Tre modi di scrivere per l’infanzia, op. cit.
17) G. CALABRIA – C.S. LEWIS, Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolico e un laico anglicano, op. cit., dalla Prefazione di Walter Hooper, p. II
18) F. PANZERI, E Lewis scrisse a Berlicche, in <>, quotidiano di ispirazione religiosa, mercoledì 26 ottobre 2005.
20) C.S. LEWIS, The Allegory of love. A study in Medieval Tradition, Claredon Press, Oxford 1936, ristampato con correzioni nel 1938 e pubblicato in Italia col titolo L’allegoria d’amore. Saggio sulla tradizione medievale; traduzione italiana di G. Stefanich; prefazione di S. Perosa; Torino, Einaudi, 1969
21) G. RODARI, Grammatica della fantasia, Torino, Einaudi, 1973
22) C.S. LEWIS, in Le cronache di Narnia, op.cit
) Citiamo, tra gli altri: P. GULISANO, Clive Staple Lewis. Tra Berlicche e Narnia, Milano, Áncora Editrice, 2005, e il cartonato di P. GULISANO e A. MONDA, Il mondo di Narnia, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo Edizioni, 2005
Note biografiche su Lewis
Clives Staple Lewis nasce a Belfast (Irlanda) il 29 novembre 1898. Figlio secondogenito del procuratore Albert James e di Flora Augusta Hamilton, fu istruito per lo più in Inghilterra. Per vari motivi (sue condizioni di salute, insoddisfacente qualità delle istituzioni), fu più volte indotto a cambiare scuola. Sperimentò anche contesti arbitrariamente vessanti e punitivi, come quello della scuola di Wynyard, a Watford, nell’Hertfordshire, che Clive non esitò a definire “un campo di concentramento”. Rivelò giovanissimo una spiccata propensione per il latino e l’inglese, come pure un grande interesse per la mitologia nordica. Presto abbandonò anche il cristianesimo, forse anche aiutato dallo stesso immaginario mitologico e dalle tesi occultiste della direttrice della scuola di Cherbourg House (1911). A settembre del 1914, fu finalmente affidato a W. T. Kirkpatrik, precettore ateo e razionalista che Clive amò moltissimo. L’intesa intellettuale con Kirkpatrik rinforzò il suo rifiuto di ogni credenza religiosa. Nell’estate immediatamente precedente aveva stretto amicizia con Arthur Greeves, con il quale mantenne un carteggio per quasi mezzo secolo. Nel 1916 superò gli esami per l’accesso all’Università di Oxford, ma dovette interrompere gli studi per rispondere alla chiamata alle armi. Li poté riprendere nel 1919 e nel 1922 s’ iscrisse alla facoltà di inglese. Nel 1924 fu chiamato come docente all’University College di Oxford e l’anno successivo ebbe l’insegnamento di Lingue e Letteratura inglese al Magdalen College, cui diede lustro fino al 1954, quando accettò la cattedra di Letteratura inglese del Medioevo e del Rinascimento all’Università di Cambridge. Agnostico e razionalista, andò progressivamente trasformando le sue convinzioni, aiutato da una serie di scelte e circostanze. Già al tempo degli studi universitari gli amici più cari e intellettualmente più stimati erano tutti cristiani. Fu amico e collega di J.R.R. Tolkien e fu tra i principali animatori delle discussioni che ogni settimana si svolgevano nell’informale circolo degli “Inklings”. Sentì forte l’influenza di autori come G. Macdonald e di G.K. Chesterton. Fu legato da affinità spirituale al romanziere e saggista C. Williams.
Giunse alfine a propugnare un profondo umanesimo cristiano molto vicino al cattolicesimo. Sulla sua evoluzione personale e spirituale Lewis riferisce nel libro autobiografico “Surpraited by Joy” (1955) disponibile nella traduzione italiana (C.S. Lewis, “Sorpreso dalla gioia, i primi anni della mia vita”, Milano, Jaca Book, 2002). I suoi scritti religiosi di maggior successo sono le “Screwtape Letters” (1942) – bizzarra conversazione tra un funzionario di Satana e suo nipote, apprendista diavolo (“Lettere di Berlicche – Il brindisi di Berlicche”, Milano, Jaca Book, 1999, presente anche negli Oscar Mondadori), come anche la raccolta dei suoi discorsi radiofonici “The Case for Christianity” (1942) - edizione italiana riportata in note - . Importanti inoltre: “Il problema della sofferenza, Scusi… Qual è il suo Dio? e La mano Nuda di Dio. uno studio preliminare sui miracoli”, tutti pubblicati dalle edizioni GBU - Gruppi Biblici Universitari - Roma; “L’abolizione dell’uomo”, Milano, Jaca Book, 1979; “Il cristianesimo così com’è”, Milano, Adelphi, 1997. Le preoccupazioni morali e il senso cristiano della vita si ritrovano anche nei romanzi di Lewis, espressi in vitali e coinvolgenti allegorie. Citiamo, tra gli altri, la trilogia fantascientifica “Lontano dal pianeta silenzioso” (Adelphi, 1992) “Perelandra” (Adelphi, 1994) e “Quell’orribile forza. Una favola moderna per adulti” (Adelphi, 1999). Famosi ovunque i romanzi per ragazzi delle “Cronache di Narnia”.
C. S. Lewis morì il 22 novembre 1963, dopo aver pubblicato il libro autobiografico “A Grief Observed (1961) – Diario di un dolore”, Adelphi, Milano 1990 - , in cui raccontata l’esperienza della malattia e morte della moglie Joy Davidman. Al libro si ispira il film “Shadowlands, Viaggio in Inghilterra” di Richard Attenborough, con Anthony Hopkins e Debra Wigner.
Note su Maria Luisa Salvadori
Maria Luisa Salvadori vive a Orvieto, nella casa dove è nata. . E’ direttrice della Biblioteca Comunale di Orvieto e si interessa di psicologia e psicanalisi. Studiosa attenta di questioni legate alla letteratura per ragazzi, ha lavorato per anni nella redazione della rivista di cultura e critica letteraria “C’era due volte…”, di cui è stata anche caporedattore. Attualmente fa parte della direzione del “Pepeverde”, rivista di letture e letterature per ragazzi. Collabora anche con il periodico “VS Valore scuola”, per il quale ha curato la rubrica “Grandi maestri” (Albino Bernardini, Mario Lodi…). Ha curato numerose interviste, numerosi saggi sulla letteratura per ragazzi, la scuola e la psicologia. Tra le interviste si ricordano quelle a Carl Hiaasen, a Stefano Bordiglioni, ai coniugi Cristina Lastrego e Francesco Testa, a Emanuele Luzzati, Arno Stern , Jack Zipes. Tra gli articoli si ricorda “Che fine ha fatto Fiammiferino?” (primo testo critico pubblicato in Italia sul Fiammiferino di Luigi Barzini), “Viaggio nelle opere di Jerry Spinelli. Le ragioni del Senõr Saguaro (“Il pepevede”)” e “Apolologizing to the Ancient Fable: Gianni Rodari and his influence on Italian Children’s literature”, pubblicato in U.S.A. dalla rivista “The lion and the unicorn”.

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