cultura

"RiFondata sulla Bellezza". Al #Paf2016, la lezione di Emilio Casalini

sabato 3 settembre 2016
di Davide Pompei
"RiFondata sulla Bellezza". Al #Paf2016, la lezione di Emilio Casalini

Un libro che è un viaggio, iniziato con un ebook, attraverso i racconti di Paesi lontani per "capire quanto poca sia la distanza tra noi e loro". Un viaggiatore che è un giornalista – prima ancora fotoreporter e poi nella squadra di "Report", passando per il Premio "Ilaria Alpi" per la migliore inchiesta giornalistica – stanco, dopo vent'anni, di raccontare la vita nella maniera tradizionale. Ma anche fortemente intenzionato a capire "perché l'Italia non sfrutta le grandi possibilità che possiede".

E convinto che "il turismo è la più sana, florida e sostenibile risorsa economica del mondo, in crescita esponenziale, ma non per noi che ci accontentiamo di vivacchiare". E che "un'altra narrazione, come strumento più importante che abbiamo per ritrovare la coscienza della nostra identità, non solo è possibile ma anche necessaria". Il percorso, allora, diventa anche un manifesto politico di impegni, lontani però da prassi e logiche della politica attuale. Storie di speranza, idee perseguibili e proposte che arrivano dal basso.

È tutto racchiuso nelle 208 pagine di "RiFondata sulla bellezza. Viaggi, racconti e visioni alla ricerca dell’identità celata", il libro vincitore della quinta edizione del Premio Internazionale Capalbio Piazza Magenta 2016 - Premio Capalbio al Territorio, pubblicato dalla sua Spino Editore che Emilio Casalini, atteso ospite della terza edizione di "#Paf!! – Photo&Art Festival" di Monteleone d'Orvieto, presenta venerdì 2 settembre in Piazza del Torrione, a colloquio con il presidente Walter Moretti e con il primo cittadino Angelo Larocca, che al termine gli fa dono di un taccuino con lo stemma del municipio dell'Alto Orvietano.

Per oltre un'ora, mentre alle sue spalle il celeste del tardo pomeriggio sfuma nel rosa e poi nel buio notturno, parla di comunicazione interculturale, usi, costumi, sguardo, strette di mano. Di accoglienza, lingue, gesti, rispetto, narrazione della bellezza. Come sintesi, non finita, della sua ricerca. In tempi in cui in tanti se ne riempono la bocca ma in pochi, ancora, li perseguono realmente, quotidianamente.

"La cosa incredibile – esordisce – è capire quanto e che tipo di turismo portino davvero questi luoghi che attraggono stranieri rapiti dalla bellezza dell'Italia, ma anche annichiliti dall'incuria e dalla disorganizzazione che caratterizza il nostro Paese. Per le Cinque Terre, ad esempio, aver raggiunto la stagionalità degli undici mesi e mezzo equivale ad avere problemi di overbooking. Anche le Langhe stanno funzionando molto, è in calo invece il modello della Versilia fino a quando resterà legato all'offerta di un mare ordinario e file di ombrelloni uguali.

La sfida per i campanili è andare oltre i campanilismi, riuscire a fare rete tra Comuni, offrire il territorio nella sua interezza. I borghi, seppure bellissimi, da soli non bastano. Servono stimoli, esperienze sensoriali che alimentano il mito del viverci. C'è un'altra parte di mondo disposta a pagare, e molto, per vivere questa qualità. Questo non significa derubare lo straniero che arriva ma fargli sperimentare l'artigianato, la ricchezza del cosiddetto turismo esperienziale che permette di cucinare, partecipare all'intero processo di produzione dell'olio.

Una volta a casa, gli orientali non racconteranno di quanto sono sporchi e maleducati gli italiani, ma del piacere provato a contatto con questa quotidianità, percepita come reale e non costruita, della semplicità di stare insieme, dello spirito genuino dell'accoglienza fatta di dettagli come dar loro il biglietto da visita con due mani, come un dono ricevuto che li spinge a ricambiare. Apporre una cartellonistica in lingua cinese non contamina la nostra identità, semmai la racconta, la divulga e stimola la gente ad aprirsi. La magia che compie il turismo è quella di innescare in maniera vorticosa l'economia, è un export senza esportare".

Di qui, l'idea di rileggere la storia per trasformarla in esperienza da vivere. Nella cava degli scalpellini di Carrara che sbozzavano il marmo per "La Pietà" di Michelangelo. A Taranto, che punta a raccontarsi come colonia spartana fino a farne un brand e ad ospitare la "Spartan Race". Nella terra dei Ciclopi, legata al nome della divinità greca Aci innamorata di Galatea. A Favara, reinventatasi centro culturale. Con i murales che hanno riempito di colore l'osceno della cintura urbana in cemento di Agrigento.

"Siamo un popolo – osserva Casalini – che gesticola. La noncuranza è di chi getta a terra la sigaretta ma anche di chi tollera e non si indigna, come accade in Svizzera. Il rispetto è la regola affinché la società funzioni. Finché non si ha qualcosa da difendere, come si può cambiare? L'identità di un popolo esce dalla retorica scontata. Ci sentiamo italiani di fronte alle partite della Nazionale o a drammi come il terremoto, poi per il resto del tempo ci facciamo la guerra.

Formia e Gaeta sono nello stesso golfo. Fino a pochi mesi fa, nessuna delle due comunità raccontava quello che aveva l'altra. Perché chi possiede bellezza non è capace di custodirla e raccontarla? L'egoismo del vicino può diventare altruismo, nel momento in cui questo fa il proprio bene attraverso gli altri. Dobbiamo ancora imparare a conoscere e poi raccontare noi stessi, le nostre storie, la nostra identità. Anche il cibo, con creatività, può essere narrazione identitaria".

La provocazione è racchiusa nell'ultimo capitolo del libro. "Non mi è mai piaciuto – confessa l'autore – l'incipit della Costituzione, figlio del periodo storico in cui è stata scritta e del compromesso dialettico emerso dalla votazione del testo. Quel 'lavoro' su cui tutto si fonda è strumento, non fine. Lo trovo violento, così come la retorica di cui negli anni è stato riempito l'articolo 1.

La proposta è quella di creare un preambolo, in cui inserire i grandi valori universali quali la giustizia, la fratellanza, la tolleranza, la libertà, il perseguimento della felicità ma anche un cappello che introduca in maniera morbida la Costituzione, inserendo quel concetto di bellezza che ci viene riconosciuto. Perché, allora, non scolpirlo nella nostra carta fondante, perché non farne un marchio di qualità? Non c'è una definizione unica di bellezza, basata com'è sulla complessità delle idee, ma sicuramente può caratterizzare l'identità di un popolo".

 

Foto all'interno dell'articolo di Livia Di Schino

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