Di lavoro, famiglie, di crisi e d'Italia. Manuela Tempesta presenta "Pane e Burlesque"

Barattoli di lucciole, per rischiarare il buio delle notti meridionali. Il vestito da sposa trasformato in succinto abito di scena, per ricucire il rapporto e sbarcare il lunario. Il bar del paese, crocevia di frustrazioni e invidie. E le sezioni che da quando hanno iniziato a chiamarsi "circoli", si occupano più di fantacalcio che di politica. Lavori precari, rapporti vulnerabili, la solitudine di fronte allo specchio del camerino che assomiglia al dolore nascosto di chi torna dopo vent'anni e, fatta pace con la propria terra, decide di restare.
C'è il francese-pugliese di Sabrina Impacciatore, l'umbro fuorisede dell'umbra Laura Chiatti e il baffetto retrò di Edoardo Leo. I toni restano quelli spensierati della commedia, i colori quelli brillanti della favola a lieto fine di provincia ma dentro a "Pane e Burlesque" ci sono tutte le contraddizioni moderne del quotidiano. Manuela Tempesta viene dall'esperienza dei documentari e, stimolata dal fatto di avere come produttori RaiCinema e Lucisano, ha finito per mettere tutta se stessa nella sua opera prima.
"Con i miei 36 anni alle spalle – ha spiegato giovedì 31 luglio di fronte al pubblico del Cinema Moderno di Bolsena, calando il sipario sulla terza edizione della rassegna 'CineCastello' – di disavventure ne ho viste e vissute. Per questo, ho sentito l'esigenza di ancorarmi alla realtà. L'intento era quello di scattare una polaroid al Paese. Il film, però, non parla solo di crisi economica. A quello ci pensano ogni giorno, da anni, giornali e tv. Ma anche del cambiamento sociale e identitario delle famiglie, dei pregiudizi intorno alle donne che lavorano, di uomini in cassa integrazione e della capacità, tutta italiana, di sapersi reinventare.
Cosa c'entra il Burlesque con la crisi? È un'arte che diventa risorsa di riscatto al femminile, senza indugiare con fare morboso sul corpo ma esclusivamente per salvaguardare i rapporti e mettere a posto i conti, in una sorta di Full Monty pugliese. Rimanda a un immaginario di donna abile non solo nel sedurre con bustini, collant e culotte, ma nel gestire la propria femminilità, senza fare a pugni con il femminismo. Di donne registe ce ne sono ancora poche in Italia. Serve uno sguardo sociale in rosa, ma senza cavalcare l'onda di una rivalità con gli uomini.
È stata un'esperienza che mi ha dato moltissimo. Sono convinta che il film sia un veicolo di contenuti e messaggi. Affrontando temi impegnativi come questi, i rischi c'erano. Il documentario è un'isola più felice. Non ha vincoli di messa in onda, richiede poche persone e budget ridotti. Un film, invece, muove maggiori investimenti in termini di mercato e quindi più aspettative. Il mondo del cinema continua a suscitare una forte attrazione verso i giovani e spesso resta un mito difficile da raggiungere. C'è oggi molto mercato della formazione, a cui non corrisponde altrettanta offerta. I mestieri del cinema spesso ancora si tramandano per via familiare. Nel mio caso, ho tentato la via dei festival, continuando a studiare, per la voglia di fare un lavoro con coscienza. Ai giovani consiglio questo: studiate!”.

Nota della Redazione: Orvietonews, giornale online registrato presso il Tribunale di Orvieto (TR) nr. 94 del 14/12/2000, non è una bacheca pubblica. Pur mantenendo fede alla disponibilità e allo spirito di servizio che ci ha sempre contraddistinto risultando di gran lunga l’organo di informazione più seguito e letto del nostro territorio, la pubblicazione di comunicati politici, note stampa e altri contributi inviati alla redazione avviene a discrezione della direzione, che si riserva il diritto di selezionare e modificare i contenuti in base a criteri giornalistici e di rilevanza per i lettori.