"Mo 'n giorno che è". Con Gianni Marchesini il passato dell'Anita e della Marsilia si fa presente

"Du' pastorelle eravamo e du' pastorelle sémo rimaste". Ha il dichiarato sapore del ricordo, scevro però da vacue malinconie di maniera. "Mo 'n giorno che è", il secondo atto del fitto dialogo tra l'Anita e la Marsilia, firmato da Gianni Marchesini, torna a sfogliare il passato delle due donne con la giusta dose di nostalgia e moderno disincanto. Poco più di un centinaio di pagine sono sufficienti così al volumetto, pubblicato per Zorro Edizioni e in circolazione da meno di un mese, per conquistare nuovamente il lettore.
Sono chiacchiere tra signore, punzecchiature sferzanti e battibecchi pettegoli che si alternano ad occhiate complici e danno continuità a quell'appuntamento lasciato in sospeso da "Sta finestra do' da?". Dietro la veracità parolaia del dialetto dalle E aperte, ora divertente ora greve, che qui torna alle sue radici più arcaiche attingendo al chiuso della comunità mezzadrile, si nasconde però un intero microcosmo. Grazie all'annunciata visita dell'Anita, la casa della Marsilia torna a riempirsi de le marite, le fije, le nòre, le faccenne della casa, la stesa de le panne, le lummachelle.
E, intorno a loro, prende forma una spassosa galleria di macchiette, popolata da arcigne contesse e goffi camerieri, fantasmi d'Ottocento, le moniche co' quelle cappelle bianche co' du' ale da parte che treticono 'n su e 'n giu e pajono farfalle - fermate su copertina da Walter Leoni - e su tutti la Saetta che pija la cummugnone da uno che lo chiamono padre Fistietto. Per una Marsilia che le ricorde l'imbalsamerebbe, c'è un'Anita a cui ogni odore, dalla giacca del babbo al sigaro del nonno, suscita un ricordo. "Sapesse - confida all'amica - che filicità che me sale quanno me suvvengono 'ste racconte ch'erono svanite assieme a 'sto tempo ch'è passato...Che 'l tempo, Marsì, è tutta polvere che scenne e scancella via via 'gni cosa e tra 'n pò ha scancellato pure noe...".
Alla staticità della scena si contrappone un dinamico crescendo di azioni che incuriosisce e diverte il lettore. E quando l'evolversi del dialogo conduce per mano quest'ultimo verso considerazioni più serie, l'autore alleggerisce il tiro delegando l'efficacia della narrazione all'essenziale completezza di certe spiazzanti formule dialettali, già cariche e care a chi lo ha preceduto, che nel loro ermetismo ben sintetizzano stati d'animo e situazioni sapientemente (ri)costruite e pronte ad essere colte dal lettore locale che, più o meno consapevolmente, le utilizza nel suo quotidiano. A quest'ultimo non resta dunque che attendere che l'Anita torni a suonare di nuovo il campanello dell'amica. Spiando su carta gli esiti dei loro intimi incontri domestici o, perché no, confidando in una prossima trasposizione teatrale.

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