cronaca

Il terrazzino di Anna Marchesini

domenica 31 luglio 2016
di Guido Barlozzetti
Il terrazzino di Anna Marchesini

Poco tempo fa ad Orvieto, nella sala del Consiglio Comunale, Gianni Marchesini insieme con la sorella Teresa avevano ricordato la madre, la maestra Zaira che ad Orvieto per tutti era "la maestra", una di quelle che con ironia e dedizione hanno passato la vita fra i bambini più disagiati e sfortunati, in paesi dove lavorare significava la zappa e la vanga.

In quella occasione, Anna aveva mandato una lettera. Le sue condizioni non le avevano permesso di venire, ma aveva voluto essere presente nel giorno in cui un'associazione di donne imprenditrici aveva voluto offrire alla città l'esempio di sua madre.

Nella memoria, letta da Teresa, ritornavano le Madonne davanti a cui la Zaira si inginocchiava, le corsie degli ospedali fra i malati, gli alunni, le peripezie incredibili per arrivare nelle scuole di paesi a dorso di asino, le merende nella Confaloniera, le filastrocche, i modi di dire che sarebbero diventati poesie…

Era un tributo d'amore. Una mamma che sembrava prigioniera delle circostanze della vita, che aveva riempito i suoi giorni di doveri e costrizioni, di generosità e sollecitudine per gli altri, e che, in realtà, nel profondo di sé e, forse anche alla faccia di tutti, delle trappole in cui tutti ci vorrebbero rinchiudere, era una donna libera. Libera!

Non bisogna mai cedere alla tentazione di spiegare, non conosciamo mai gli altri, nemmeno quando ci sono vicini, prossimi, quotidiani, e per questo li chiamiamo così, "gli altri". Fatemi dire, però, che la libertà che Anna riconosceva alla madre era un dono che sentiva proprio. La voglia, il piacere di ridere dei tic, delle piccole abitudini, dei vestiti che ci tocca di indossare e di cui magari ci innamoriamo, il piacere di riprendere il vezzo di un dialetto e di sentirvi dentro un'innocenza perduta che dà l'occasione felice per giocare, contro la prosopea, la retorica, le frasi fatte, la serietà dietro alla quale si nascondono sempre un inganno o l'ipocrisia che si scandalizza e si fa perbenismo.

Anna è stata la figlia della Zaira. Non c'è equazione che tenga nella vita di una persona, ogni pianta cresce come le pare, però se non ci fosse stata Zaira, se non ci fosse stata la sorniona e ironica eleganza di Galileo e se non ci fosse stato, nel tumulto divertito di una famiglia, quel terrazzino dei gerani timidi in cui le cose, le voci, le vite degli altri si mettono in distanza e sembrano svanire, ma solo per riappropriarsene e scoprirne un lascito che non si dimenticherà più, se non ci fosse stato tutto questo, forse Anna non sarebbe diventata la signorina Carlo, la Sora Flora, la specialista del sesso Generosa Merope. E' rimasta su quel terrazzino, anche quando era diventato il palcoscenico del teatro e la finestra della televisione.

E' così che voglio immaginarla. Ancora e sempre lì, fra il tetti della sua città, rumorosamente impigliata nelle beghe della vita di ogni giorno. Oltre e al di là della sofferenza che la vita le ha inflitto.

E' paradossale e tremendo questo controcanto della sua vitalità irriguardosa e piena d'ironia, dello sberleffo fresco, gentile e doverosamente crudele che non ha cessato di regalarci.

Far ridere è un dono, una disposizione spontanea che va coltivata con un esercizio di attenzione affettuosa e pungente verso se stessi e gli altri. Davanti alle nostre parole, alla pretesa improbabile di voler dire qualcosa, sono sicuro che dal suo ultimo terrazzino Anna stia sorridendo.

 

 

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