"Non si può morire per lavorare" il grido di dolore del padre di Alessio Corradini

“Non si può morire per lavorare, povero figlio mio!”. Lo ha ripetuto tante volte con il fiato rotto dal pianto e dalla disperazione. L’urlo straziante del padre di Alessio Corradini ha squarciato l’anima di chi lo ha udito; ha invocato, come tanti altri padri hanno fatto di fronte ad una tragedia simile, la giustizia terrena verso un mondo che nonostante viva di tecnologia lascia ancora morire i suoi figli in una calda giornata d’estate sotto i fili di una stazione ferroviaria.
Non si può morire per lavorare, non si può morire per lavorare a 34 anni appena compiuti lo scorso 5 luglio. Non si può morire travolti da una scarica elettrica devastante attaccati ad un filo dell’alta tensione, un filo che probabilmente non doveva essere collegato all'elettricità mentre Alessio Corradini stava lavorando sulla linea ferroviaria insieme ai suoi colleghi.
Non doveva succedere questa tragedia, ma è successa. E’ successa a distanza di pochi giorni dalla morte di Fabio Lisei e Roberto Papini, gli operai della ditta Mira morti per le esalazioni in un’impianto di compostaggio ad Aprilia. In meno di quindici giorni il territorio orvietano ha pagato a carissimo prezzo il costo della sicurezza sul lavoro. Una frase da prima pagina, una frase che rimbomba in ogni luogo che sia lavoro, una frase ripetuta senza soluzione di continuità da chi rappresenta le istituzioni, ma purtroppo un’idea troppo lontana e trascurata dal divenire azione concreta.
Alessio Corradini, quella maledetta mattina di martedì 5 agosto, è uscito da casa come faceva sempre per andare a lavorare. “Era un ragazzo serio, preciso, scrupoloso. Un lavoratore instancabile” dicono i colleghi di Rete ferroviaria Italiana (Rfi) la società controllata da Ferrovie dello Stato che si occupa della manutenzione delle linee ferroviarie. Purtroppo non sapeva che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro. Arrivato alla stazione ferroviaria di Fabro ha preso un caffè al bar con altre persone, poi si è avviato verso una delle strutture di servizio della stazione per prendere servizio. “Abbiamo preso il caffè insieme, lo facevamo spesso” dice un avventore del bar della stazione, “non posso immaginare che poco dopo è morto”.
Secondo quanto ricostruito dagli agenti della Polizia Ferroviaria di Orvieto, Alessio Corradini, intorno alle 11 di martedì 5 agosto, insieme ad altri colleghi, stava effettuando la manutenzione della linea dell’alta tensione sui tralicci che sostengono i fili elettrici del binario 3 della stazione di Fabro - Ficulle. La squadra si muoveva su un mezzo operativo che permette al personale di Rfi di raggiungere i fili elettrici e intervenire. Corradini, però, sembra fosse sceso dal mezzo e con una imbracatura era salito su un palo che sorregge il traliccio al quale sono collegati i fili. Purtroppo pare che soltanto una parte della linea ferroviaria non aveva il collegamento elettrico e quando il 34enne ha poggiato le mani sul cavo dell’alta tensione migliaia di volt gli hanno attraversato il corpo.
“Prima abbiamo sentito un urlo, poi abbiamo abbiamo visto un uomo rimasto appeso a testa in giù sul palo al quale stava lavorando”, raccontano i testimoni che hanno visto la scena a pochi passi dalla pensilina della stazione ferroviaria. Una volta giunti sul posto i primi mezzi di soccorso il corpo di Alessio Corradini era riverso a terra, sull’asfalto vicino alla macchina operatrice che stava utilizzando la squadra di operai della Rfi. Probabilmente i colleghi nel tentativo di salvargli la vita hanno cercato di riportare il 34enne a terra ma per lui, purtroppo, non c’era più nulla da fare.
Inutile l’intervento dei sanitari del 118 che una volta arrivati a Fabro hanno potuto soltanto constatare la morte del 34enne. Polizia ferroviaria, Carabinieri, Vigili del Fuoco e personale delle Ferrovie sono giunti sul posto per effettuare i rilievi del caso. Rfi ha subito diramato una nota nella quale, esprimendo cordoglio per la famiglia di Corradini, ha annunciato l’apertura di un’inchiesta interna per appurare le cause dell’incidente. La stessa Procura di Terni avrebbe aperto un fascicolo, al momento a carico di ignoti, per omicidio colposo. Sul luogo dell'incidente hanno effettuato dei rilievi anche gli ispettori del lavoro della Asl.
La salma di Alessio Corradini è stata rimossa dal luogo dell’incidente mortale intorno alle tre di martedì pomeriggio e trasferita presso l’ospedale di Orvieto. Nella giornata di oggi la magistratura ternana, deciderà se effettuare l’autopsia sul cadavere del 34enne, oppure riconsegnare la salma alla famiglia per i funerali.
Quella del povero Alessio Corradini è una morte che pone per l'ennesima volta l'interrogativo della sicurezza sul lavoro. Ma di questo interrogativo non avevamo bisogno. E non ne avevano bisogno nemmeno i politici, i tanti funzionari che si occupano di sicurezza sul lavoro. Forse più che parlarne avrebbero dovuto intervenire prima per evitare che padri, madri, mogli, figli e parenti piangano la morte dei loro cari per un incidente sul lavoro. Oggi non si può morire come 50 anni fa. Oggi che la tecnologia può sopperire anche all'errore umano chi ha il compito di farlo deve almeno tentare di intervenire per salvaguardare la vita di chi lavora in situazioni di pericolo. Le passerelle nel momento dei funerali non servono a nessuno se poi il giorno dopo tutto rimane come prima, tutto rimane fermo a cinquant'anni fa. Tutto rimane corroso dalla stessa ruggine ormai vecchia che nessuno è riuscito a nascondere da quella macchina operatrice su cui stava lavorando la squadra di operai delle Rfi insieme ad Alessio Corradini.

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