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FreeDOME mette radici lungo la Via Francigena. Progettare la libertà ridando vita a terre abbandonate

martedì 20 ottobre 2020
di S.S.
FreeDOME mette radici lungo la Via Francigena. Progettare la libertà ridando vita a terre abbandonate

Giovane, donna, architetto, designer e innamorata della biologia. Dopo dieci anni vissuti in Australia Serena Fiorelli torna in Italia e, alla guida di una piccola Lander del ’70, inizia a viaggiare in lungo e in largo lo Stivale. Ciò che cerca è qualcosa di superbo: “Progettare la libertà” per riconnettersi anima e cuore con persone, natura, cultura e tradizioni locali. Il fine è essenziale: “Vivere la terra”. Lo strumento, unico: “FreeDOME”, un progetto olistico che, attraverso principi ecologici e biologici, imita la natura e le antiche civiltà per spostare il nostro impatto da distruttivo a rigenerativo.

Sviluppatosi tra l’Italia e l’Australia negli ultimi 5 anni, ora sta cercando di mettere radici anche nel territorio intorno all’Orvietano. Perché è qui, a pochi chilometri da Orvieto, precisamente lungo la Via Francigena, che sta cercando di espandersi. L’occasione per annunciarlo è stato un primo convegno, "Castell’Araldo vive" tenutosi venerdì 16 ottobre a Marta organizzato da Lega Navale e Comune.

Si è focalizzata l’attenzione sulle forme di insediamento templare, sull’economia delle “precettorie”, le vie di comunicazione del comprensorio e, in particolare proprio su Castell’Araldo, uno degli antichi insediamenti templari, e a quel che ha resistito, sia pure malandato, alle ingiurie del tempo. Il sito templare vorrà essere un esempio pilota di questa rigenerazione partecipata tra persone, territorio, cultura e amministrazioni locali. Ma cerchiamo di conoscere più da vicino questo progetto.

Serena, innanzitutto, come nasce il Progetto FreeDOME?
Come architetto e designer da sempre affascinata dalla biologia e come libera pensatrice, ho passato molto tempo immaginare come potremmo “progettare la libertà”. … Ho dunque iniziato a cercare in natura e nelle vecchie culture la risposta. Dieci anni fa mi trasferisco in Australia per iniziare un progetto di Phd con la UTS (University of Technology di Sydney) e per conoscere più a fondo la cultura seminomade dei nativi australiani, la loro storia e tutto l’ecosistema che li circonda, che è fatto dalle loro comunità e tradizioni ma anche dalla biodiversità, dalle piante autoctone, dalla terra rossa del loro territorio.

Ho sempre creduto di poter imparare molto da loro. Conoscenza millenaria che è sempre stata messa a tacere, svalutata o ignorata. Loro che avevano la casa più grande del mondo senza muri o fondamenta. Loro che erano connessi e liberi. Ho iniziato a fare ricerche sui primi insediamenti umani, ecologici e temporanei e su tutti gli ecosistemi apparentemente semplici ma molto sofisticati ad essi correlati, che è anche ciò che ha reso gli australiani indigeni così resilienti.

Volevo sapere come portare un po’ della loro conoscenza, saggezza e libertà nella mia vita e come condividere con il mio mondo. Ho iniziato a tradurre tutto ciò che imparavo da loro e su di loro attraverso ogni mezzo possibile: architettura sperimentale, installazioni d’arte, pubblicazioni accademiche e di settore, anche coltivando cibo, che è uno dei più grandi atti di creazione e sopravvivenza, come loro sapevano (ma è stato taciuto per molto tempo).

Specialmente le installazioni di land art mi han dato la libertà di comunicare sulla natura attraverso di essa e connettermi con la gente del posto e con la loro terra. Dopo aver studiato permacultura in Australia con Geoff Lawton e dopo il master in “Futuro Vegetale, piante innovazione sociale e progetto” a Firenze con il Prof. Stefano Mancuso, ho rafforzato la mia conoscenza sull’intelligenza dei sistemi naturali come piante e insetti, la loro capacità di collaborare e creare strutture solide e resilienti, come hanno fatto anche le popolazioni indigene.

Da qui nasce FreeDOME: un progetto olistico e multidisciplinare ma soprattutto un progetto di libertà di movimento, espressione e connessione, con le persone e con il territorio. È un progetto che unisce tradizione e innovazione, facendo un passo indietro per poterne muovere 10 in avanti. "Step back to move forward". Il principio è che il passato non possa essere dimenticato ma vada fatto rivivere attraverso l’innovazione e la reinterpretazione in chiave moderna di principi e prassi sostenibili. Nato in Italia, il progetto si è sviluppato tra l’Italia e l’Australia negli ultimi 5 anni.

In Australia si traduce attraverso lo studio di diversi progetti di permacultura e campi biofilici anche con associazioni indigene, per la rigenerazione di siti di cui da poco è stata loro riconosciuta la proprietà. Vista la situazione incerta su sviluppo Covid e chiusura frontiere, a luglio scelgo di tornare in Italia. Ora la missione è quella di tradurre la mia esperienza e il mio messaggio in italiano e riprendere contatto con le mie radici e il mio territorio per poterlo diffondere.

Do avvio al progetto “Vivere la Terra” e inizio a viaggiare con una piccola Lander del ’70 per sperimentare una forma di vita semi-nomade che mi consenta di percorrere l’intero paese e riconnettermi con persone, cultura e tradizioni locali e portare avanti i progetti intrapresi. Da Torino ad Agrigento andata e ritorno. Nel Belice incontro lo psicologo-collega Gaspare Armato e il gruppo “futuro vegetale” (Antonella Piras, Alessandro Piscopiello, Andrea Balsamo, + Caterina Liva e Francesca Milani), con cui stiamo portando avanti il suo progetto di un giardino mediterraneo per ‘I luoghi della cura, la cura dei luoghi’.

Proseguendo il viaggio verso sud mi fermo a Favara dove ho la fortuna di conoscere Andrea Bartoli e sua moglie Florinda Saieva e il loro strepitoso ecosistema di Farm Cultural Park, uno dei luoghi di innovazione sociale piu’ importanti del nostro paese. Qui c’e’ stata una bella occasione di condivisione di prospettive e visioni anche con altri importanti esponenti del nostro processo di rigenerazione nazionale come l’Arch Mario Cucinella e l’Urbanista Maurizio Carta, con cui ho davvero avuto il piacere di confrontarmi a lungo progetto freeDOME semi.nomadism e i campus biofilici.

Conosco l’intrepido fotografo Santo Eduardo Di Miceli che mi riaggiorna il contatto con Giovannangelo De Angelis, presidente del Pida, Premio Internazionale di Architettura, durante il quale ho occasione di presenziare e presentare a una vasta platea di colleghi il progetto. Passando per Marta (all’andata), una serie di coincidenze fortunate mi fanno conoscere Nerino Natali dell’associazione Inside Out per la protezione della biodiversitaà del lago di Bolsena, il quale mi introduce a Lorenzo Gaperini, Presidente della Lega Navale, sez. Lago di Bolsena, il quale, a sua volta, mi fa conoscere Antonio Vallesi, abitante di Capodimonte da sempre affezionato e impegnato nella manutenzione del sito templare di Castell’Araldo.

Basta una visita al sito per evocare in me un forte senso di vuoto e semi abbandono, come altri numerosissimi siti archeologici, aree interne o vuoti urbani sul territorio italiano. Decidiamo con Lorenzo Gasperini della Lega Navale, la Dott.ssa Caterina Pisu, direttrice del Museo ‘Rittatore Vonwiller” di Farnese e l’amministrazione comunale di dare avvio al progetto ‘Castell’Araldo vive’ e proporre un primo convegno sul tema. Eccoci a Marta.

Castell’Araldo come tappa di un percorso di ri-generazione sociale, culturale e territoriale... Prossima tappa?
Il progetto si sviluppa attraverso la selezione strategica, la rivitalizzazione e la messa in rete di zone urbane, suburbane o rurali altrimenti abbandonate o sottoutilizzate come “biophilic e.coCampus”, che serviranno come fattorie tecnologiche autosufficienti per ospitare i pod (gusci abitativi elavorativi autonomi) e si distingueranno per il loro alto livello di connettività, accessibilità e caratteristiche ecocompatibili. Queste fattorie intelligenti, viste come smarter sharing-neighborhoods per i giovani del XXI secolo, sono anche immaginate come ecosistemi intelligenti e motori di trasformazione urbana che favoriranno un nuovo uso del suolo e collegheranno le città con le aree suburbane e rurali attraverso antichi collegamenti rurali trasformati in greenways o “corridoi ecologici”.

Qui i Pod (e.coShelters) potranno transitare come soluzione di mobilità lenta e intelligente collegando in un unico sistema e movimento sociale coloro che coltivano il cibo, chi lo sposta e chi lo mangia con una visione olistica ed ecologica che va dalla piccola alla grande scala, dalla smart mobility alla riqualificazione di territori fragili o abbandonati.  Le tappe individuate sono quelle di pellegrinaggio della Via Francigena, per riunire in un unico percorso ‘green’ le regioni italiane e consentire la sosta dei giovani ‘semi nomadi’ laddove una volta i Templari offrivano ricetto ai pellegrini e viandanti, sia nel centro nevralgico della città, sia fuori dalle mura, (quando questi si attardavano nelle campagne dopo la chiusura delle porte della città). Radicofani e Bolsena saranno 2 delle possibili tappe successive su cui stiamo già elaborando progetti e partnership.

In cosa consiste, praticamente, il progetto dei Campus biofilici? Come ridate vita a questi luoghi abbandonati?
Con il progetto freeDOME, Campus Biofilici, si vuole ridare vita a luoghi e culture del passato attraverso una ri.generazione partecipata tra persone, natura, territori e amministrazioni. Biophilia is “the inherent human inclination to affiliate with nature” – La biofilia è “l’inclinazione umana intrinseca ad affiliarsi alla natura”. (Kellert & Calabrese 2015: 3). La Biophilia supporta l’affermazione che gli ambienti urbani (ma non solo) debbano essere integrati con la natura per ragioni di salute psicologica e di adattamento ambientale: un corpo crescente di studi scientifici indica che gli esseri umani hanno bisogno del contatto quotidiano con la natura per essere produttivi e sani (Beatley, 2011).

La letteratura indica che alimentando le connessioni tra le persone e il loro ambiente, la biofilia potrebbe funzionare come strumento educativo per aiutare a costruire ambienti urbani ecologicamente sostenibili. I bioPHILIC e.coCampus nascono come risposta concreta al tema delle fragilità territoriali e sociali. Sono centri di ricerca, formazione e innovazione per la rigenerazione ecologica e sociale di territori urbani, periurbani e rurali in transizione (luoghi non più produttivi, terremotati o abbandonati), in modo resiliente, flessibile e inclusivo e il loro networking.

“Living Lab” basati su comunità intelligenti, sistemi abitativi e di mobilità semi.nomade che emulano la vita stessa e le antiche culture, salvaguardando al contempo il territorio e l’ambiente, attraverso un sistema intelligente integrato che si basa su Pods e Campus autonomi. Qui le persone possono connettersi e condividere, coltivare il proprio cibo e sviluppare un nuovo stile di vita più inclusivo, sano, attivo e sostenibile. Questo sistema ridurrà il traffico da e verso i centri urbani, il consumo di carburante, acqua, energia e suolo, quindi la nostra impronta ecologica, a favore di un maggiore benessere psicofisico.

La rigenerazione avviene attraverso un progetto integrato di “Landscape Ecology” e permacultura (i cui principi sono cura delle persone, cura della terra, condivisione equa). Il sito sarà oggetto di ’analisi storica, delle caratteristiche geomorfologiche del suolo, venti prevalenti, precipitazioni, soleggiamento etc. e successiva progettazione di un nuovo ecosistema rigenerativo attraverso il controllo dell’erosione, semina di ortaggi e piante autoctone, allevamento di insetti utili e eventuale acquacoltura per creare l’integrazione armoniosa del paesaggio e delle persone fornendo loro cibo, energia, riparo.

Un intervento che, attraverso la partecipazione dell’intera comunita’, trasforma questi luoghi in modo non impattante e nel rispetto della tradizione e cultura locale. Si vorrebbe diffonderli sul territorio nazionale consentendo ai giovani di spostarsi tra uno e l’altro vivendo in modo semi nomade e collettivo, lavorando-studiando in remoto mentre imparano a connettersi con i nostri territori, luoghi e tradizioni. Il sito templare di Castell’Araldo vorra’ essere un esempio pilota di questa ri.generazione partecipata tra uomo, natura, territori fragili e amministrazioni locali, attraverso un nuovo modello di habitat biofilico ispirato al passato.

Serena Fiorelli, architetto, permaculture designer e fondatrice di bioMIMESIS design, ha conseguito la laurea magistrale in architettura al Politecnico di Torino e un master in “Futuro vegetale, innovazione sociale e progetto” con il Prof. Stefano Mancuso all’Università degli Studi di Firenze. Principalmente in Australia dal 2010, si e’ qui occupata di Permacultura, Biomimetica e Cultura Indigena Australiana. Durante la collaborazione con il Politecnico di Torino e UTS a Sydney, ha presentato i suoi progetti a conferenze internazionali su tecnologia, design e rigenerazione territoriale, mentre collaborava in progetti multidisciplinari tra Australia e Italia. E’ Fondatrice di bioMIMESIS design, uno studio e start-up innovativa basati sulla R&S di unita’ abitative, comunità e sistemi di mobilità ispirati alla natura e ad antiche culture.

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Per ulteriori informazioni:
https://www.biomimesisdesign.com